Il mondo della cultura è in lutto per la scomparsa, a 94 anni, del critico letterario, docente e saggistica Walter Pedullà (tra le altre cose anche presidente della Rai)

Il mondo della cultura è in lutto per la scomparsa, a 94 anni, del critico letterario Walter Pedullà, intellettuale militante di cultura socialista e a lungo nel consiglio di amministrazione della Rai, di cui è stato anche presidente.

Come ricorda l’Adnkronos, agenzia che ha avuto dalla famiglia conferma della scomparsa del saggista e docente, Pedullà è morto al termine di una lunga malattia legata al morbo di Parkinson.

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Come sintetizza Repubblica.it, Pedullà è nato a Siderno, vicino a Reggio Calabria, il 10 ottobre 1930; figlio di un sarto, si è laureato in lettere all’Università di Messina, dove è stato allievo di Giacomo De Benedetti, con una tesi su Gramsci critico letterario.

Dalla fine degli anni Cinquanta ha insegnato letteratura italiana moderna e contemporanea alla Sapienza di Roma, ed era professore emerito dal 2005; il figlio, Gabriele Pedullà, è docente universitario di letteratura italiana.

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Tra le altre cose, Pedullà è stato giornalista professionista dal 1962 al 1980, ed è stato critico letterario del quotidiano Avanti!; negli ultimi anni collaborò al Messaggero, dopo aver scritto per l’Unità, Italia Oggi e Il Mattino. Ha inoltre fondato e diretto nel 2001 due riviste culturali: L’Illuminista e Il Caffè illustrato.

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In un’intervista a Robinson di Repubblica del 2019, sul suo avvicinamento alla politica aveva raccontato: “(…) Quando un mio fratello partigiano morì, diventammo tutti comunisti. Non proprio tutti, nel senso che conservai qualche dubbio”. E alla domanda “come te lo chiaristi, Pedullà (“settimo figlio di un sarto che doveva lavorare 14 ore al giorno per mantenerci”) rispondeva: “Con un viaggio in Unione Sovietica. Era caduto da un anno Krusciov. Fummo invitati a un convegno dell’unione scrittori russi. Oltre me, Luciano della Mea, fratello di Ivan, e Renzo Rosso, uno scrittore triestino. La prima delusione fu quando portarono a visitare una fabbrica. Entrammo in un edificio imponente e fummo dirottati alla catena di montaggio. Scorreva con una lentezza esasperante. E io rivolgendomi a Luciano dissi ammirato: vedi il socialismo è questo: uguaglianza sociale e lentezza. Poi ci spiegarono che la catena non poteva andare più veloce a causa del fatto che mancavano i pezzi”.

Ancora due risposte dalla stessa intervista. “Sei soddisfatto di quello che hai scritto?”. “Libri di qualità diseguale. Mi accorgo di essere diventato un grafomane. Correggo, correggo. Quasi non faccio altro. E sai perché? Ho l’impressione che le grandi idee si siano tenute alla larga da me. Perciò cerco di migliorarmi con la scrittura. Ho un tasso figurale altissimo. Metafore a non finire e paradossi. Mi piacerebbe essere stato più intelligente”. E poi: “come giudichi i nostri scrittori odierni?”. “Mi pare che quasi tutti scrivano benino. Peccato che sia un fatto detestabile, come osservava Baudelaire. Esiste una cultura media di buona qualità. Ma si rassomiglia troppo. Non chiedo il capolavoro, ma qualche deviazione dalla norma sì”.

 

 

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