“Solo il tempo di morire” (Marsilio) è il nuovo romanzo di Paolo Roversi (in libreria dal 12 febbraio), che riporta alla mente l’immaginario dei “poliziotteschi” – Su IlLibraio.it un capitolo in anteprima

Prima che Milano diventi la città da bere qualcuno deve conquistarsi il proprio posto al sole sotto la Madonnina. In lizza ci sono tre banditi con le rispettive batterie, e uno sbirro cocciuto e implacabile pronto a contrastarli. Sullo sfondo, la Milano degli anni Settanta e Ottanta, la città rossa, teatro di una lotta senza quartiere per la supremazia fra grandi organizzazioni criminali e nascenti bande spietate.

Ognuna col proprio sogno terribile e ambizioso: Faccia D’Angelo, il Catanese e il bandito dagli occhi di ghiaccio, tre uomini molto diversi che si contendono la supremazia su una metropoli fatta di rapine e gioco d’azzardo, di bische e rapimenti, di bordelli di lusso e di ruffiani, di bombe e morti ammazzati, di camorristi e mafiosi, di donne bellissime e pericolose, di auto potenti e abiti sartoriali ma, soprattutto, di fiumi di cocaina e denaro.

Solo il tempo di morire (Marsilio), il nuovo romanzo di Paolo Roversi, è una corsa a perdifiato dal 1972 al 1984, dodici anni di storia criminale che hanno cambiato faccia alla città e all’Italia.

Marsilio

 

Su IlLibraio.it un capitolo dal romanzo
(pubblicato per gentile concessione di Marsilio)

Cicciobanana

I proiettili fischiano nell’aria, sopra le teste dei due uo­mini che corrono a rotta di collo verso l’auto, una Fiat 125 nera, ferma all’angolo col motore acceso.

Dalla banca è spuntato un tizio della sicurezza che si è messo a sparare impugnando la pistola con due mani. Per loro fortuna la sua mira è scarsa.

Franco Tarantino è il primo a fiondarsi nell’abitacolo. Si rannicchia sul sedile passeggero. La faccia stravolta e il fiato grosso.

«Stai pronto a filare» dice.

Cesare Argenta, al posto di guida, tiene il motore su di giri.

«Che cazzo è successo?»

«Uno stronzo ha reagito.»

«Rino?»

«Arriva. Tu tieniti pronto a schizzare.»

«Avete ammazzato qualcuno?»

Franco non risponde e le sirene della polizia improvvi­samente diventano vicinissime.

«Che diavolo significa reagito? Non avevi detto che sa­rebbe stata una passeggiata?»

Uno degli sportelli posteriori si spalanca e Rino Melis si butta lungo disteso sul sedile.

«Via di qui!» grida mentre un proiettile fa esplodere lo specchietto retrovisore accanto al guidatore.

«Dai, vai!» ordina Tarantino.

Argenta ingrana la prima e spinge a tavoletta sul pedale del gas. Mossa sbagliata. Nell’abitacolo scende il silenzio assoluto quando la 125 sobbalza e si spegne.

«Cesare non fare il coglione! Fai ripartire questo cesso di macchina! Subito!»

Argenta gira di nuovo la chiave mentre una grandinata di pallottole trafigge la carrozzeria.

«Cazzo parti! Dai!»

«Calmi!» urla.

Lo fa più per tranquillizzare se stesso che i compari. Intanto prega che il motorino di avviamento non lo tradi­sca. Il maledetto aggeggio gratta ed emette quello che sembra un colpo di tosse ma alla fine fa il suo dovere.

Appena le ruote slittano sull’asfalto, Rino lancia il sacco coi soldi ai piedi di Tarantino ed estrae il ferro.

Alle loro spalle adesso non c’è più il guardione con la mira sghemba ma due pantere della polizia che guadagna­no terreno in fretta. E sparano.

Il lunotto posteriore va in frantumi. Mille schegge crol­lano a pioggia addosso a Melis che si rannicchia sul sedile coprendosi il volto.

«Bastardi!» urla Cesare.

Tarantino si volta verso il compare.

«Stai bene?»

Melis grugnisce qualcosa mentre si ripulisce dai vetri.

Argenta, intanto, tiene d’occhio la strada e brucia senza remore tutti i semafori rossi che incontra. Ma non basta a seminare la Madama che gli sta sempre più sotto.

Rino, attraverso il lunotto posteriore infranto, risponde al fuoco.

«Spingi a tavoletta!»

«Lo sto facendo!»

«Ci sono addosso!»

«Buttati in tangenziale.»

Argenta sterza di scatto e si immette sulla Ovest. È qua­si l’ora di punta ma, per fortuna, il traffico è abbastanza scorrevole. L’auto si mette a fare la gimcana cercando di seminare la polizia. Gli sbirri gli stanno sempre sotto ma smettono di sparare. Troppo pericoloso.

Il motore della 125 ruggisce.

«Niente, non ci mollano. Ora le pantere sono tre!»

Tarantino scuote la testa poi inquadra un tizio con un’Alfetta bianca davanti a loro.

«Sorpassalo e fai in modo che lui ti si accodi.»

Cesare esegue senza far domande. La manovra riesce e l’Alfetta entra nella loro scia; per un istante le auto sono tutte incolonnate sulla corsia di sorpasso.

«Adesso inchioda!» ordina Tarantino.

L’autista ci pensa una frazione di secondo prima di ub­bidire. Solleva il piede dall’acceleratore e pesta il freno fi­no in fondo.

Rino urla e chiude gli occhi.

La Fiat si ferma in una ventina di metri. Freni eccellen­ti a dispetto del motorino d’accensione. L’Alfetta la imita alla perfezione e si blocca a un centimetro dal loro pa­raurti anche se il tizio alla guida ha la faccia segnata dal terrore.

Gli sbirri non sono così fortunati. Le tre volanti si tam­ponano, sbandano, urtano contro le auto della corsia vici­na e si schiantano sul guardrail.

Melis scoppia a ridere, gustandosi la scena: ha appena assistito a un botto di quelli che si vedono solo al cinema!

Anche Cesare si dipinge un’espressione compiaciuta sul volto mentre ingrana la prima.

Il più soddisfatto di tutti è senza dubbio Tarantino che infila una mano dentro alla sacca con i soldi e ne estrae una manciata di banconote da diecimila lire. Quando ri­partono si sporge dal finestrino e, beffardo, le lancia verso l’incidente.

«Questi sono per i danni!»

 

(continua in libreria…)

Libri consigliati