Ne “L’altro addio” Veronica Tomassini affronta il lato più oscuro della storia già raccontata in “Sangue di cane”, il suo esordio: su ilLibraio.it un capitolo dal nuovo romanzo

Ne L’altro addio (Marsilio), Veronica Tomassini, siciliana di origini umbre, affronta il lato più oscuro della storia già raccontata in Sangue di cane (Laurana 2011), il suo esordio: se quel romanzo affrontava il grande amore, difficile e dolorosissimo, della giovane donna per il bel ragazzo polacco che chiede soldi ai semafori, qui il racconto si concentra su di lui, sulla Polonia sedotta e abbandonata dall’Occidente, su una vita di soldi facili e di rapine, di violenza e d’alcol, e poi sulla fuga in Italia e la vita in strada, la miseria, la tubercolosi. È in sanatorio che lei lo ritrova: e in un monologo ripercorre ogni passo dell’inesorabile caduta.

l'altro addio

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, pubblichiamo un capitolo

Nella mensa di San Francesco, le file davano il senso di un’apocalisse. Una lunga coda di uomini attendeva il pro­prio turno. Oltre il cortile, si intravedevano i grattacieli della città che fremeva. Era un’altra cosa. Tu conoscevi Varsavia, Varsavia era un’altra cosa. Non parlavi, non ti guardavi intorno, non mostravi curiosità per gli altri, che anzi detestavi, perché ti restituivano la miseria da cui fug­givi, un decadimento morale e fisico che temevi sopra ogni cosa. Tu eri quello degli zloty bruciati al fuoco della can­dela, arrotolati su una pista di coca, una montagna di zloty, delle puttane e di Varsavia, dei taxi, dei vestiti cuciti dal sarto. Varsavia era spesso uggiosa, quando non c’era la ne­ve. Ci portasti la prima moglie e anche Viola, durante il tuo ultimo Natale in Polonia. La tua prima moglie deside­rava la grande città, non ci fu il tempo per pianificare, era­vate così giovani e intemperanti. Bastava nulla per finire in una rissa o per fare l’amore. Avevi preso un piccolo locale, al secondo piano di un condominio di Targówek, Varsavia est, per certi versi un orinatoio. Gli ubriachi sul pianerot­tolo pisciavano e ti crollavano addosso con brutale preca­rietà e indifferenza. Tutto era così misero a pensarci bene, così grigio e retrò. Vi portasti Viola, la conducesti per ma­no, desiderandola, senza alcuna passione, desiderando il suo corpo sciupato, come la vodka per un bevitore. L’ada­giasti sul letto, Viola coprì i suoi seni, dopo aver sfilato il vestito, lasciandosi desiderare. Sapevi amare le donne, un’arte acquisita con la raffinatezza e la perversione giu­ste, adeguate, tali da strappare gemiti e soldi e favori dalle destinate, in egual misura. Soltanto quando alla fine fuma­sti al davanzale, spiando la vita grigia e misera di quel con­dominio, Viola ti venne dietro e ti sfiorò i capelli. Solo al­lora ti confidò: «Sto morendo.» Era tornato il male. «Eri il mio ultimo desiderio» disse e levò il viso per un momento. Tu la guardavi con attenzione, sperando di sentire un qualche turbamento, ma ti accorgesti che nulla oramai aveva potere sulla tua emotività, sul senso di perdita e di cedimento avevi giocato tutta la tua esistenza, avevi vinto la tua battaglia, avevi esaltato il tuo cinismo fino al raggiungimento dello spregio verso il mondo e il genere uma­no, verso te stesso anche. La prendesti ancora una volta, dopo averla accarezzata a lungo, le venisti dentro. Lei non ebbe sussulto, ti accolse. La vostra piccola morte.

Con Viola vi vedevate tutti i pomeriggi, a Varsavia. Era meglio così, lontano da occhi curiosi e ce n’erano tanti a Końskie. Viola raggiungeva la sua piccola morte ogni po­meriggio, dimenticando quella vera che incombeva sulla vostra lussuria, sul vostro piacere. Poi ti chiedeva: «E l’ita­liana?» Nie, l’italiana non c’è più. «Fa la giornalista?» chiedeva. Tak. «È bella?» Tak. Sì, è bella. Accarezzava i tuoi capelli, sul letto caldo, nuda e accogliente. Tu la ba­ciavi a lungo. Marek ti consigliava i suoi buoni affari, la sua merce ricettata, l’ultimo colpo al bistrot di Katowice. Rifiutavi, eri stanco, rifiutavi per far l’amore con Viola. C’era qualcosa di estremamente tragico nel corpo sciupato di Viola che si arrendeva alle tue carezze, ai tuoi assalti ora docili ora virili. E ogni volta le chiedevi remissione e lei acconsentiva. Non saresti tornato in Italia. Non ne eri così sicuro tuttavia.

(continua in libreria…)

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