A metà tra thriller hitchockiano e storia d’amore, arriva in libreria “Fancy Red”. Su ilLibraio.it un estratto dal nuovo romanzo di Caterina Bonvicini
Filippo è un gemmologo, ha incontrato la sua vocazione da bambino e ora è diventato un esperto che lavora per Sotheby’s. Con una sola regola: le gemme sono fatte per essere guardate, non possedute. Una regola che Filippo ha sempre seguito fino a quando non ha incontrato la gemma più preziosa che avesse mai visto: un Fancy Vivid Red, un diamante rosso “internally flawless” dal valore inestimabile, montato su un piercing come uno zircone qualsiasi. La proprietaria del diamante è Ludò. Giovane, ribelle, bellissima, apparentemente la figlia viziata di un miliardario milanese. In realtà Ludò nasconde un passato terribile: è stata adottata, viene dall’assedio di Sarajevo, dalla guerra.
Filippo e Ludò si sono amati, di un amore geloso e passionale, fatto di tradimenti veri o presunti, in un gioco erotico che li ha portati ai quattro angoli del mondo. Adesso Ludò è morta. Filippo di quella notte fatale non ricorda nulla. Sa solo che lui e Isabel, nel panico, si sono sbarazzati del corpo di Ludò. Ma Isabel non ha resistito alla tentazione di rubare il Fancy Vivid Red che Ludò portava sempre, per rivenderlo. E la polizia lo ha ritrovato. Adesso quel diamante è tornato, come un fantasma pronto a perseguitare Filippo e metterlo di fronte alle sue colpe.
Può davvero essere stato lui a fare del male alla donna che amava? Se sì, perché? C’entra qualcosa l’ex-fidanzato di sua moglie, violento e perverso, che per caso (sarà davvero stato un caso?) hanno incontrato nel loro albergo in Grecia?
Caterina Bonvicini, scrittrice bolognese classe ’74, torna in libreria per Mondadori con il romanzo Fancy Red. L’autrice, che vive fra Roma e Milano, ha pubblicato Penelope per gioco (Einaudi, 2000), Di corsa (Einaudi, 2003), I figli degli altri (raccolta di racconti, Einaudi, 2006), L’equilibrio degli squali (Garzanti, 2008), Il sorriso lento (Garzanti, 2011), Correva l’anno del nostro amore (Garzanti, 2014) e Tutte le donne di (Garzanti, 2016), con cui ha vinto numerosi premi, fra cui il Bottari Lattes Grinzane, il Rapallo Carige e il premio internazionale Grand prix de l’heroïne Madame Figaro.
Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto da Fancy Red:
- Grecia, luglio 2016
Aveva le stesse caratteristiche dei diamanti, mia moglie. La mia indomabile, dicevo. Per quanto fatta di carbonio come tutti noi, ai miei occhi Ludò non aveva nulla in comune con la fragilità di una punta di matita, o di un essere umano. I suoi atomi dovevano avere avuto una nascita particolare. Li immaginavo usciti indissolubilmente abbracciati da un’alta temperatura e una forte pressione, durante una terrestre storia d’amore molto diversa dalle altre. La credevo indistruttibile.
Mentre guardavo il suo corpo ancora steso ai piedi del letto, pensavo che anche i diamanti hanno un punto debole. Altrimenti non potrebbero essere tagliati. Ma li può spezzare solo un altro diamante, non si lasciano mica ferire da chi non è all’altezza. In aggiunta, quel punto debole non è mai evidente, va individuato. I tagliatori studiano mesi per cercare la sfaldatura naturale che farà cedere la pietra. Come potevo essere stato io? Intanto non avevo in me neanche un filo di polvere di diamante. E poi non conoscevo il suo piano di sfaldatura. Come c’ero riuscito?
Mi sono messo in tasca il Fancy Red, per consegnarlo al mare. Doveva sparire. Come il Fiorentino. Un diamante “dal colore che tende al giallo limone” scriveva Tavernier, che accompagna l’ascesa dei Medici e la caduta degli Asbur- go, passando per le nozze di Maria Teresa d’Austria con il Granduca di Toscana, proclamato imperatore con il nome di Francesco I e il Fiorentino sulla corona. Per poi finire, in forma di spilla, in esilio in Svizzera insieme agli Asburgo, dopo la catastrofe del 1918. Fino a quando Carlo I d’Austria, ormai deposto, decide di impegnarlo. Ma tutto gira male. È il 1922, gli Asburgo sono stati spediti a Madera e il Fiorentino, messo in conto al gioielliere Alphons Sonderheimer, con l’intermediazione del barone Steiner di Valmont, non si trova più. Sparito il barone, sparito il diamante.
Mi sono chinato su Ludò e le ho abbassato piano le palpebre. Avevo la sensazione che i suoi occhi brillassero ancora e non volevo guardarli più. Forse era colpa del carbonio, che dimezza la velocità della luce e ha il potere di rallentarla.
Ho raccolto le forbici. Stringevo la lama fra le dita e la fissavo. Mi sembrava di non averle mai viste. Tanto meno toccate. Davvero le avevo usate? La ragazza si è avvicinata e me le ha sfilate di mano con delicatezza, come per togliermi un peso. L’ho ringraziata con un sorriso triste.
Poi ho avvolto Ludò nella coperta di raso, quasi per proteggerla dal freddo, e l’ho presa in braccio. Aveva ancora addosso gli shorts grigi e la canottiera viola con il disegno stilizzato di un guanaco con cui era scesa nella hall dell’albergo la sera prima. Era il suo pigiama. Certo non immaginava di incontrare una spagnola vestita di blu, che l’avrebbe invitata a bere qualcosa intorno alla sua piscina. Ma la gente al mare va in giro così, in canottiera e shorts, quindi non era tornata in camera a cambiarsi. Del resto, Ludò era capace di uscire in pigiama anche a Milano. Quante volte l’aveva fatto, con o senza cappotto sopra. Se ne fregava. Si alzava dal letto e andava a prendere il cappuccino al bar senza vestirsi.
Era ancora tiepida e io pensavo che un diamante in fondo funziona come la nostra memoria quando siamo innamorati: trattiene la luce, trattiene il calore, trattiene l’energia del momento che viviamo. E di tutta quell’enormità alla fine ci rimanda solo un riverbero distorto.
«Dirò che è andata a farsi una nuotata di notte, ubriaca.»
La ragazza mi guardava. Chiaramente era turbata. Tenevo stretto il corpo di mia moglie come un uomo in guerra pronto a correre fra le bombe con un ferito in braccio, ma parlavo come chi ha premeditato un delitto.
Sempre con Ludò in braccio, le ho spiegato che lo faceva spesso. E che qualche giorno prima mi aveva addirittura lasciato un biglietto sul comodino, che forse adesso poteva tornare utile. Ho usato proprio l’aggettivo utile.
La ragazza non si muoveva più. Mi fissava.
Mi aveva scritto qualcosa tipo Se ti svegli nel cuore della notte e non mi trovi, non ti preoccupare. Vado a farmi una nuotata, così ma- gari mi passa la sbronza. Ricordavo perfettamente anche la riga sotto: Ps. Ti giuro che resto dove si tocca. Sì, mia moglie avrebbe potuto tranquillamente morire così. Solo che non era morta così.
Ho visto la lingua della ragazza sporgere leggermente fra i denti, come per dire qualcosa. Allora ho capito a cosa sta- va pensando.
Ho stretto a me il corpo di Ludò, per farmi coraggio. Ma la scossa ha mosso un polpaccio. Una infradito ha cominciato a traballare, è scivolata nell’incavo del dito e subito dopo per terra. La ragazza ha urlato. E io, per lo spavento, ho fatto cadere Ludò con un tonfo orribile. Era come se mi fosse scivolato di mano un neonato.
«Oddio» ho gridato.
Ci siamo chinati entrambi per raccoglierla e ci siamo trovati fronte contro fronte. Il contatto fra due pelli vive e suscettibili era spaventoso, sentivo il suo sudore mescolarsi al mio.
«Al tre, la solleviamo insieme» ho detto. «D’accordo» mi ha risposto. «Uno, due…» Quel tre, numero molto più imperfetto di quel che si crede, ci ha devastati. Eravamo dritti, sì. Ma esistevano solo due respiri. Io sentivo il suo fiato caldo e affannato sul viso e lei sentiva il mio.
(continua in libreria…)