Se il mostro di “It” tornava a tormentare la sua città ogni 27 anni, a 27 anni dall’uscita italiana della miniserie tv sul romanzo di King, nel suo primo romanzo, “Crocevia di punti morti – Quattro anime nel Pozzo”, Matteo Grilli rielabora il trauma e l’immaginario di una generazione – Su ilLibraio.it un estratto

Matteo Grilli, classe 1988, autore di articoli per diverse riviste, ha esordito scrivendo racconti horror e sceneggiature per fumetti. Ha sceneggiato la serie tv Anime & Sangue per Amazon Prime Video e attualmente è impegnato nella stesura di nuove serie tv.

Ha anche pubblicato un saggio, dal titolo “La liberazione dell’otaku”, contenuto nell’antologia Nerdopoli (effequ 2018). La stessa casa editrice ha portato in libreria il suo primo romanzo, Crocevia di punti morti – Quattro anime nel Pozzo.

Crocevia matteo grilli

Il Pozzo, una città della remota provincia, aspetta il ritorno di quattro suoi abitanti. Massimo è dovuto tornare per stare vicino a sua madre; Celeste dopo un anno fallimentare a studiare filosofia ha scelto di rinchiudersi nella sua stanzetta per farsi seppellire dalle ossessioni; Leonardo ha mollato un lavoro stabile mosso dalla certezza che la sua città sia l’equivalente della Derry di It e sotto ci viva un mostro. K, invece, non se n’è mai andato, ma torna di continuo: si muove solo con gli autobus, di notte, facendo sempre lo stesso percorso, ossessivamente incastrato tra luoghi abbandonati e sfigurati dal tempo; convinto di essere l’incarnazione dello spirito della città, K si accorgerà del ritorno dei tre nel pozzo e forse finalmente qualcuno realizzerà il proprio sogno: morire.

Se il mostro di It tornava a tormentare la sua città ogni 27 anni, ecco che, esattamente dopo 27 anni dall’uscita italiana della miniserie tv sul romanzo di King, Grilli rielabora il trauma e l’immaginario di una generazione, soffermandosi sulla provincia, la solitudine e la paura.

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, pubblichiamo un estratto:

La seconda volta dell’ombra
(Video Haunting System)

Al centro del Pozzo, a pochissima distanza dalla colossale Madonna del Sacro Cuore che spacca un crocevia di anime dove c’è Massimo inondato dalla luna in fase di ricomposizione, Celeste che sta per chiudere gli occhi scassati dalla luce morta del tubo catodico e K. che dorme in una cappella piena di fiori profumati nel cimitero della città, Leonardo sta salendo in soffitta per dissezionare i suoi vecchi diari. La sua villa di tre piani è un gioiello di alta borghesia pastel-goth, un austero maniero dipinto di rosa confetto che ti prende a cazzotti le diottrie, il luogo impeccabile per una rivisitazione horror postmoderna della storia di Hansel & Gretel. Una versione dove il cannibalismo della strega è ancora più atroce e realistico, il loro terrore di essere cucinati autentico e perturbante.

Leonardo ha trovato a casa sua zia, una dolce signora profumata che una volta a settimana pulisce tutto da sola, con calma e grazia. I suoi genitori sono una delle pochissime coppie di un’età abbastanza avanzata da essersi rotti le palle del Pozzo: hanno preso un camper e viaggiano continuamente.

Il fatto di avere una delle pochissime fabbriche ancora utili della zona ha permesso loro di avere tutto, e forse è stato anche questo che ha portato Leonardo ad alimentare la sua magnifica ossessione fuori da ogni dinamica di sopravvivenza.

È andato via dal Pozzo quasi con la speranza che ci fosse altro a parte l’ossessione, ma non ha trovato niente di veramente interessante. Milano gli ha consentito di farsi conoscere per i suoi esperimenti di video arte, e per mettere a sistema i suoi studi trovandosi un lavoro in agenzia pur di avere qualcosa da fare che non fosse sognare e sognare e restare incastrato in un mondo di videocassette, libri polverosi, bisbigli dagli scarichi dei sanitari, risate di bambini morti e parzialmente divorati.

La magnifica ossessione non era sparita ma sedimentava, rubava dai suoi occhi quello che vedeva, si nutriva delle sue parole, si modellava in base alle relazioni che Leonardo cercava di stringere con ragazzi e ragazze. Si muoveva con fluidità, non riusciva a identificarsi con un genere fisso: genderfluid, o quelle cose lì insomma, era sempre stato così e ora tutto ciò aveva un nome, eppure ancora non gli sembrava sufficiente. Nessuna relazione era adatta, le sue emozioni erano frastagliate e gli altri percepivano quel suo modo di presentarsi come affascinante, misterioso, insomma lo sconosciuto che ti fa pensare “interessante, questa creatura”.

Leonardo si sentiva intrappolato in un sogno lucido, dove si alternavano momenti di dolcezza estrema con la percezione che ogni cosa, persona, elemento atmosferico, cumolo di polvere sotto il suo letto lo volesse fare a pezzi. Fagocitare, mangiare vivo.

Una paura cosmica e bellissima, ma quanto cazzo era faticoso vivere così ogni giorno della tua vita.

La sua casa enorme e vuota al centro della città era un mausoleo dove ogni piano spezzava in tre atti la sua vita: l’infanzia al piano terra a vedere cartoni animati in videocassetta, annusare gli smalti di sua madre mentre lei si preparava a una cena a cui lui non era invitato, mettersene un po’ di nascosto e toglierselo velocemente con l’acetone prima che suo padre lo vedesse, rubare la marmellata dalla credenza e finirsela a cucchiaiate, disegnare i suoi sogni da moccioso, rannicchiarsi vicino al camino quando la magnifica ossessione diventava soffocante, ascoltare sua madre che per ore gli spiegava di non dover fare così, i mostri non esistono, sei troppo grande per crederci ancora, ti rendi conto di che fine farai? Vuoi impazzire? Ti dobbiamo chiudere in un manicomio?

Il camino è chiuso da anni, ora. Leonardo si avvicina e i suoi neuroni rievocano l’odore di cenere penetrante, il nero eterno della cappa incrostata, il calore tossico della fiamma che lo scottava sulle guance paffute, mentre rimuginava e immaginava e rifletteva di come fosse ridicola la sua paura. Clown cannibali che escono fuori dagli scarichi: ma per favore Leonardo, riprenditi.

In certi momenti di lucidità la paura spariva del tutto, e Leonardo poteva riprendere a fare i compiti, guardare videocassette, disegnare, ma bastava un dettaglio minuscolo, un film in cui si intravvedeva un canale di scolo, la panoramica su un cielo grigio, un campo lungo su dei bambini soli, ecco che ritornava vicino al camino ad aspettare il ritorno a casa dei suoi. Il tempo disintegrato dalla sua fobia trascorreva a una velocità impressionante, le ore passavano velocissime, la notte arrivava alle quattro di pomeriggio.

Correvano mesi così, forse anche un anno. Leonardo non ricorda, e meno male.

Sale al secondo piano, dove lo attende un salone stupendo, bloccato agli anni in cui i suoi genitori erano fissati con l’antiquariato. Ogni sedia era inutilizzabile, i divani preziosissimi e i radiatori non funzionanti perché nessuno abitava quel luogo a parte lui. Un periodo di fidanzatine ufficiali e fidanzatini non ufficiali lì insieme a lui a giocare, studiare, vedere film. Momenti in cui si sentiva pieno di coraggio, pieno d’amore e forse anche ‘giusto’, perfettamente funzionante.

Della magnifica ossessione forse ne ha parlato con qualcuno, o forse no.

Mostrava disegni di cose fatte a pezzi e ricomposte, poi fotomontaggi rudimentali, qualche video fatto alla cazzo con Windows Movie Maker. A qualcuno piaceva, ad altri sembravano merdate; per Leonardo che parlava poco e temeva cose inesistenti, erano prove per essere certo di stare nel mondo reale, dove ti possono fare male persone e oggetti e non creature indistruttibili.

Il salone è sempre stato freddissimo, non ricorda un solo momento di calore. A parte qualche bacio e quella volta in cui era riuscito finalmente a confessare un pezzo di quello che gli era successo a cinque anni e in seguito a tredici.

Un ricordo di sangue, un patto di sangue. Leonardo si guarda i palmi e vede le ferite richiuse in due cicatrici pulite e perfette. Non sa se sono vere e neanche gli importa, ma è certo dell’esistenza di un’altra cicatrice, più piccola.

La prima volta che si è innamorato avevano deciso di fare come i Perdenti di Derry, solo usando un taglierino dell’azienda del padre: Leonardo feriva l’altro e l’altro feriva lui; poi si sono stretti i palmi e il patto è stato siglato.

«Se te ne andrai e non ci vedremo più, ogni volta che tornerai qui ti ricorderai di me» dice Leonardo a voce alta.

La casa vuota non gli risponde, anche se lui vorrebbe.

Un ricordo è riemerso, pensa, proprio come quando i Perdenti sono tornati a Derry.

Ora deve aspettare il ricordo della seconda volta in cui l’ombra si è manifestata, quella dei tredici anni, quando è stato distrutto e infestato da qualcosa di più profondo e famelico, quando è stato investito della carica di Guardiano del Pozzo.

Non può essere un caso, niente accade per caso qui, almeno non a me.

Terzo piano: la sua tana. Letto matrimoniale, una libreria nera dipinta da lui con dentro volumi con copertine colorate di nero. Vangeli che vanno a comporre la bibbia della sua vita, una incessante ricerca di conferme di non essere un pazzo finito pronto a essere buttato in un posto lontano, immerso nei boschi, stordito dai sedativi.

E soprattutto la prova che in un mondo terribile qualcosa di magico poteva esistere, se continuavi a coltivare la tua convinzione, assoluta; non importa se magia nera come la pece e fatta di massacri, sempre meglio di qualsiasi cosa che fosse, boh… reale?

Tira fuori le sue copie di It e tutta quella mitologia del Clown assassino, poi i deliranti e pallosissimi libri dei sogni di Lovecraft, poi Casa di Foglie; e riprende a leggere pagine, scriversi appunti, in cerca di tutti gli elementi che risuonano con lui, sprofondando nella spirale e nel Pozzo.

La scuola media della città costruita accanto a un gigantesco canale di scolo che finisce dritto nelle acque disgustose della Ferita, dove sulle sponde sono stati ritrovati materassi bruciati e cerchi magici.

Il cimitero e i gatti neri sgozzati lanciati oltre il cancello.

Un capanno degli attrezzi vicino all’asilo nido.

L’oratorio abbandonato.

La casa di fronte alla statua colossale della Madonna, dove l’erba a un certo punto è morta per sempre.

Come quando era al piano terra, le ore si distruggono a ogni rilettura di un paragrafo, ogni suo appunto lo avvicina di più al cuore della notte. Solo nella sua casa abbandonata coltiva l’ossessione e riavvolge il nastro magnetico dei suoi ricordi e alimenta la fiamma dell’incubo rivelatore.

«Fatemi sognare questa notte» dice Leonardo alle ombre.

Le ombre del primo capitolo di It, le ombre che diventano più lunghe e fameliche in Casa di Foglie, e tutto che si collega alla casa dove la magnifica ossessione ha messo radici attraverso una videocassetta, arte assemblata a pezzi attraverso il trauma, Lovecraft che ha paura di tutto, colori inclassificabili nei suoi racconti, mostri bellissimi nei racconti di Clive Barker, in uno c’è un mostro che infesta un luogo di periferia abbandonato: il portale è sempre in un posto dimenticato.

Nel Pozzo i bambini non spariscono, ma vengono posseduti da qualcosa, e quella cosa vive sotto, e aspetta, e muore. Leonardo lo sa, lo sogna, lo disegna, mette insieme i pezzi e tutto lo ha riportato qui, di nuovo.

Come ogni ventisette anni It si risveglia per nutrirsi, ora dopo ventisette anni dalla prima volta che l’ombra l’ha infestato Leonardo è tornato per l’ultima volta a casa. La magnifica ossessione verrà uccisa o sarà lei a uccidere lui?

«Mi basta che esisti» sussurra. «Mi basta questo».

Legge e costruisce e scrive e disegna fino all’alba. Infine, saturo di orrori, coperto da lame di luce che gli tagliano la faccia mentre è disteso sul pavimento della camera in posizione fetale, Leonardo sogna.

(continua in libreria…)

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