Ne “Il grande cacciatore (e altre violenze)” (che torna in una nuova versione), Carlo D’Amicis indaga temi come l’umano e il disumano, il tragico e il comico, la generosità e l’egoismo – Su ilLibraio.it un estratto

Nel racconto lungo Il grande cacciatore (e altre violenze), Carlo D’Amicis (scrittore e autore per la radio e la tv classe ’64) indaga temi come l’umano e il disumano, il tragico e il comico, la generosità e l’egoismo.

Il testo, uscito originariamente per :duepunti nel 2011, viene ora riproposto da TerraRossa Edizioni dopo un’ampia revisione e una parziale riscrittura.

Lo scrittore nato a Taranto, autore del programma di Rai 3 Quante Storie e della trasmissione di Rai Radio 3 Fahrenheit, ha pubblicato, tra gli altri, Piccolo Venerdì (Transeuropa, 1996), Il ferroviere e il golden gol (Transeuropa, 1998), Ho visto un re (Limina, 1999) e Amor Tavor (Pequod, 2003).

Per mimimum fax ha poi pubblicato Escluso il cane (2006), La guerra dei cafoni (2008, da cui è tratto un film), La battuta perfetta (2010) e Quando eravamo prede (2014). Mentre Mondadori ha edito le uscite più recenti: Il gioco (2018, finalista al Premio Strega) e La regola del bonsai (2022).

Il grande cacciatore (e altre violenze) è un racconto dall’ironia amara, dove il bene e il male possono esercitare il medesimo fascino. E a incarnare questi concetti sono due figure contrastanti, accomunate da un amico a quattro zampe…

Il grande cacciatore (e altre violenze) di Carlo D'Amicis

Le due protagoniste di questo beffardo testo vivono in due appartamenti ravvicinati. La prima è un’infermiera vocata al soccorso, apparentemente ingenua, mentre la seconda è una ex playmate, apparentemente smaliziata. Le due ragazze si contendono il pianerottolo, i ruoli di vittima e carnefice e un fidanzato fissato con gli alieni e con la caccia.

Il tutto finché tra di loro irrompe la semplicità di un cane, a svelare l’abisso che si è aperto tra la natura e i contorti sistemi elaborati dagli esseri umani per sentirsi amati e un po’ meno soli…

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:

È strano che dei cani capiscano cosa sia un ospedale. Eppure, da alcuni giorni, un branco di randagi gironzola nei pressi del parcheggio, forse sperando che qualcuno possa prendersi cura dei loro acciacchi. Sono deboli, spelacchiati, denutriti. Sdraiati sull’asfalto, sollevano il muso ogni volta che si alza la sbarra, come a domandare se sia arrivato il loro turno.

Oggi ne ho trovato uno proprio in mezzo al viale d’accesso, ma è bastato un leggero colpo di clacson e il cane si è tirato sulle zampe e si è spostato. La sua docilità mi ha destato una profondissima impressione. Percorsi pochi metri, si è accucciato di nuovo sul bordo della strada e ha iniziato a grattarsi furiosamente il mento con la zampa.

Apro la porta e ho subito un presentimento. Due camere, il bagno e la cucina: la mia casa è tutta qui, eppure continuo ad andare avanti e indietro come se il divano vuoto non fosse già un segno inequivocabile. Controllo anche l’armadio e lo sgabuzzino, nel caso la mia vicina abbia voluto farmi uno scherzo. Ma nessuno salta fuori a farmi buuu!

Allora rientro di corsa nel bagno e tiro su l’avvolgibile.

Le tende della camera da letto, nell’appartamento di fronte, sono aperte. Il letto è disfatto. Tra le lenzuola, luccica qualcosa che potrebbe benissimo essere l’involucro argentato di un preservativo.

«Ma guarda ’sta troia!», ringhio richiudendo la finestra.

Esco a passo di carica sul pianerottolo e vado ad attaccarmi al suo campanello. Lei mi apre scalza, sudata, in mutande e reggiseno. Il cerotto che le ho cambiato poche ore prima spicca a dieci centimetri dai suoi merletti.

«Senti un po’», le rinfaccio, «non è che uno può fare sempre come gli pare. A questo mondo ci sono delle regole da rispettare!».

Ancorata alla maniglia della porta, Marilyn mi chiede di quali regole vado parlando. «Sono venuta solo a far cambiare l’aria», si giustifica.

«Sì, vabbè», schiocco la lingua.

Mentre alzo gli occhi al cielo mi sembra di percepire un movimento alle sue spalle – un cambio di luce, un’ombra. Provo inutilmente a catturarla. Poi faccio un passo in avanti, ma la mia vicina resta piantata sulla soglia.

«Ah! Hai dormito e mangiato per cinque giorni a casa mia e ora non mi fai nemmeno entrare un minuto nella tua?»

Lei sospira, oltre che con il corpo sembra volersi opporre anche con delle parole, ma alla fine rinuncia a cercarle.

«Fammi almeno vedere come va la ferita», dico allungando il braccio sul suo seno, ma Marilyn si ritrae immediatamente.

«Senti», propone, «dammi il tempo di farmi una doccia. Poi torno di là, ceniamo insieme e mi rifai la medicazione, ok?».

La guardo come si guardano i cocci di una bottiglia appena caduta per terra.

«Insomma», piagnucola, «si può sapere cos’ho fatto di male?».

«Devo dirtelo io?»

«Sì», si scalda Marilyn, «devi dirmelo tu, perché tu, a quanto pare, sai sempre tutto!».

Al piano di sopra sentiamo girare una chiave nella toppa. Dopo pochi secondi scende dalle scale un uomo di aspetto signorile con un bassotto altrettanto distinto. Ci fanno un cenno di saluto, sollevando rispettivamente la mano e le orecchie. Noi ricambiamo. Aspettiamo che arrivino al pianterreno.

«Il tradimento è una brutta cosa», riparto.

Marilyn è fin troppo pronta: «Senti, al tuo fidanzato io non ci tengo, è stato solo un momento di fratellanza cosmica. Te lo puoi riprendere».

«Ah, ti piacerebbe! Così potete continuare a divertirvi alle mie spalle! A tradirmi sotto il naso!»

«Guarda che è lui che ti ha tradito! Fino all’altro giorno io non sapevo nemmeno della tua esistenza.»

«Adesso però dovresti saperlo.»

La mia vicina sospira e sostiene che mi ha già chiesto scusa.

«Ma quando?»

«Poco fa!», stringe i pugni. «Ti ho detto che te lo puoi riprendere.»

Non mi piace quel suo modo di parlare di Adelmo come se fosse un pacco senza valore, ma mi limito a risponderle con due parole: «Troppo comodo».

Qualcuno chiama l’ascensore. La cabina si muove con un macchinoso rumore di ingranaggi.

«Sei venuta qua per litigare?», mi domanda Marilyn.

«Litigare?», sogghigno tirando fuori le sigarette. «Ti sembro una che vuole litigare?»

Le lancio addosso il pacchetto e lei l’afferra al volo, con buoni riflessi.

Poi la saluto e, senza più voltarmi, me ne torno da dove sono venuta.

(continua in libreria…)

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