Linda Ferri, scrittrice e autrice cinematografica, decide di raccontare la sua famiglia: il rapporto con la madre, i fratelli e gli amori difficili – Su ilLibraio.it un estratto da “Il nostro regno”, un memoir che attraversa buona parte del Novecento

Il nostro regno (Feltrinelli Gramma) è la storia di una famiglia raccontata dall’interno, da parte di quella che è, di volta in volta, figlia, sorella, amica. Linda Ferri (sorella del co-fondatore di e/o Sandro Ferri) racconta il suo passato – i nonni emigrati negli Stati Uniti, i genitori e i fratelli – con dramma e ironia.

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Dopo Incantesimi (Feltrinelli, 1997) e Il tempo che resta (Feltrinelli, 2001) l’autrice cinematografica (co-sceneggiatrice, tra gli altri, di La stanza del figlio di Nanni Moretti e di Luce dei miei occhi di Giuseppe Piccioni) decide di raccontarsi in un memoir delicato. Una storia che attraversa buona parte del Novecento, dove i ricordi sono i veri protagonisti: la figura di sua madre, il rapporti con le amiche, gli amori difficili.

In continuo equilibrio tra vita privata e storia pubblica, Il nostro regno ci rende testimoni di una storia famigliare ma anche partecipi di scene di vita vera.

il nostro regno di Linda Ferri

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:

Mamma, non solo sarò sempre la migliore a scuola, ma per te scalerò le montagne, attraverserò a nuoto gli oceani, curerò le tue ferite, ti darò solo conforto, dolcezza e amore. Guardo le tue foto più belle, che ho scansionato e poi corretto al computer. Quella in bianco e nero del giorno del battesimo del tuo primogenito, Giulio. Nell’originale, vicino a te, c’erano parenti e amici che ho tagliato con un ingrandimento, lasciandoti sola con il tuo bambino.

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Vestita di chiaro, indossi un cappellino con una veletta bianca tirata su e intorno al collo hai un filo di perle. Guardi verso il basso, ma non verso tuo figlio, che tieni leggermente distante, appoggiato a una spalla, come per esibirlo, un po’ come fa Maria nella Presentazione al tempio di Giovanni Bellini. Lei però fissa davanti a sé il severo sacerdote che sta per prendere Gesù bambino, mentre tu, con le palpebre abbassate, sembri concentrata su te stessa. Sulle tue sopracciglia, su guance e labbra affiora, appena accennato, un sorriso enigmatico. Continuo a guardarti, nel tentativo di afferrare il mistero della tua espressione. E quel che d’improvviso credo di capire mi sconcerta: del bambino non sembra importarti, sei semplicemente orgogliosa di aver fatto il tuo dovere, di aver dato un primogenito maschio al tuo arcaico ed esigente marito. È così, mamma?

Un’altra foto in bianco e nero, questa volta scattata da Alberto Burri. Un arazzo con scene di caccia ti fa da sfondo, riempiendo tutto il campo visivo. Hai all’incirca quarant’anni, Sophie deve essere nata da poco, perché il viso, le spalle e il petto sono pieni come dopo una gravidanza. Intorno al collo hai tre fili di grossi grani di malachite, una collana pesante che ricordo bene, e anche qui non guardi l’obiettivo, ma sorridi fissando qualcosa o qualcuno in lontananza. Chi o che cosa stai guardando, mamma? Di nuovo sento solo silenzio.

Tutte le cose che non ti ho chiesto quando ancora avresti potuto rispondermi. Tutte le cose che mi guardavo dal sapere. Senza volerlo, dai racconti che mi facevi della tua infanzia si sprigionava una tristezza così densa e scura che dopo un po’ ti interrompevo. Non si trattava solo di Ellie Eligman o del maestro di violino, incidenti di percorso certo gravi, ma che sarebbero potuti capitare a chiunque. Per quanto li trovassi odiosi, lo capivo bene anch’io. No, la desolazione dei tuoi racconti aveva a che fare con l’infelicità con cui eri venuta al mondo e che il mondo si era incaricato di nutrire, una malinconia come un pozzo senza fine che tu ti sforzavi di tenere sigillato, ma io sentivo che c’era, che era lì, e mi attirava e mi respingeva al tempo stesso.

Linda Ferri, credit Basso Cannarsa

Linda Ferri nella foto di Basso Cannarsa

C’era una frase di tua madre che ripetevi spesso: “I bambini si baciano solo quando dormono”. Non la dicevi con enfasi o con toni drammatici, ma io non la potevo soffrire. Conteneva un monito per noi figli, e un rimprovero verso te stessa, come nel timore di allevarci in una mollezza, in un eccesso di coccole e parole dolci che ci avrebbero sciupati.

Non ci hai mai vezzeggiati. Papà era molto più affettuoso di te: sento ancora le sue guance ruvide per la barba quando mi dava il bacio della buonanotte, mentre non ricordo nessuno dei tuoi abbracci nei miei primi anni, solo quel tuo profumo di arancia dopo pranzo quando mi aiutavi a fare i compiti.

Mi avevi raccontato che ero stata una neonata difficile, che piangevo di continuo, mentre in un’altra stanza della casa tuo padre stava morendo. Sento la fatica, il dolore, l’esasperazione, mentre vai da una camera all’altra per prenderti cura di noi, del padre che adoravi e di questa quarta figlia impossibile. E di nuovo mi viene in mente l’icona dell’arcangelo Michele: sotto i suoi piedi c’è il cadavere di un vecchio disteso a terra, nella mano sinistra alzata tiene un bambino in fasce, mentre con la destra brandisce una spada, eternamente destinato a proteggere la vita e a sconfiggere la morte.

Published by arrangement with The Italian Literary Agency
© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano

Prima edizione in “Feltrinelli Gramma” ottobre 2024

(continua in libreria…)

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Fotografia header: Linda Ferri, photo credit Basso Cannarsa

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