Ecco com’è nata la vera e propria storia d’amore, con emozioni e sentimenti non dissimili da una storia fra esseri umani, tra un uomo e una gatta…

Nils Uddenberg, docente di psichiatria, ne “Il vecchio e il gatto” (Corbaccio), racconta come possa nascere una vera e propria storia d’amore, con emozioni e sentimenti non dissimili da una storia fra esseri umani, tra un uomo e una gatta, che “si è presentata davanti alla finestra della camera da letto una mattina d’inverno e lo ha fissato con i suoi begli occhi tondi e color oro…”.
Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo un capitolo:
IV
La nostra micetta è scomparsa. La notte ha dormito sul letto; quando sono andato in bagno, verso le quattro di mattina, ho aperto la finestra e lei ne ha approfittato per uscire. Poche ore dopo era tornata al suo posto vicino alle nostre teste, ad annusarci e fare le fusa. È un’abitudine che ha preso negli ultimi tempi e noi la troviamo piuttosto piacevole. L’abbiamo accarezzata, ma poco dopo lei ha deciso di uscire di nuovo, le ultime ore della notte e le prime del giorno sono il momento in cui è più attiva. Poi noi ci siamo riaddormentati, e da allora non l’abbiamo più vista. Provo un senso di vuoto.
Già durante la colazione in giardino ho sentito che c’era qualcosa di diverso dal solito. A Micia piace quando stiamo fuori e generalmente non si allontana; non ci resta proprio attaccata, ma sta comunque abbastanza vicino da tenere la situazione sotto controllo. Oggi però non c’era, e poco più tardi, quando sono andato a fare una passeggiata, mi riusciva difficile godermi lo splendore dei fiori sbocciati nella bella giornata primaverile. Forse non rivedrò mai più Micia, ho pensato. È passato un giorno e, mentre sto scrivendo, lei non è ancora tornata.
Per tutto ieri sono rimasto pervaso dalla nostalgia. I posti dove di solito c’era un gatto erano vuoti. Il cibo era ancora nella ciotola. Nostro figlio, con nostra nuora e i nipotini, che abitano a Stoccolma ma sono venuti a trovarci per Pasqua, se ne sono andati verso mezzogiorno. Dopo la loro partenza – loro e dei cani «centenari» – la sensazione di vuoto sembra ancora più opprimente. Io e mia moglie abbiamo girato per il quartiere senza un piano preciso chiamando la nostra micina. Ma non si è fatto vivo nessun gatto.
Nel pomeriggio sono venuti a trovarci mia sorella e mio cognato con i figli e i nipoti: erano allegri, loquaci ed entusiasti del nostro giardino, che proprio adesso è nel momento di massimo splendore. Ciononostante l’incontro è stato un po’ pesante. Avevano sperato di incontrare la micia di cui avevamo tanto parlato, ma non c’era nessun gatto da vedere. Dopo un paio d’ore se ne sono andati, e noi siamo stati assaliti di nuovo dalla sensazione di vuoto.
La scomparsa improvvisa di Micia mi colpisce più di quanto avessi potuto immaginare. Mi sento abbandonato a me stesso e impotente, è una sensazione che faccio fatica ad accettare. Quando le cinciallegre gorgheggiano il loro bisillabico «ti-ta, ti-ta, ti-ta», mi sembra che gridino: «Micia, micia, micia!». La notte sia io che mia moglie sogniamo Micia che entra dalla finestra con un balzo, ma era, appunto, solo un sogno, e quando al mattino apriamo il frigorifero  per preparare la colazione, troviamo la lattina aperta del suo cibo prelibato – mousse di tonno -, ma non c’è nessun gatto a cui offrire quella ghiottoneria.
Ogni tanto mi dico che in effetti non conosciamo Micia da molto. Eppure quella bestiola, che all’inizio abbiamo cercato di tenere lontano, si è fatta chiaramente strada nella nostra quotidianità diventando parte delle nostre routine, così fondamentali per sentirci sicuri. Ora siamo preoccupati perché non la vediamo da un giorno, appena qualche mese fa ne saremmo stati quasi sollevati. Negli ultimi sei mesi Micia ha risvegliato dei sentimenti in me che non ho saputo bene come affrontare. Il senso di vuoto nel quale brancolo da quarantott’ore non è che un esempio. Potrà sembrare stupido, ma è così.
[…]
Naturalmente mi domando: perché è scomparsa? Forse la presenza temporanea dei cani può in parte spiegare la cosa, però sono vecchi, stanchi e del tutto innocui. Il più piccolo e turbolento da giovane adorava dare la caccia ai gatti. Ma è passato tanto tempo, ora è mezzo cieco e sordo e il suo passatempo preferito è starsene accovacciato sulle ginocchia della padrona. Quello più grande è il cane più buono del mondo ed è piuttosto codardo; un po’ d’allenamento alle calcagna di un coniglio va bene, più che altro perché è bellissimo correre, ma avventarsi su un gatto: no! Quando Micia inarca la schiena e soffia, lui indietreggia subito. Ma è chiaro; Micia ha pensato che quei cani fossero del tutto inutili. Se mai tornerà, non ne sentirà la mancanza.
No, le condizioni atmosferiche sono una spiegazione più plausibile. Quando Micia è venuta da noi  il tempo era inclemente: neve, freddo e vento. Quelle poche cure che le abbiamo offerto devono essere state piacevoli, se non addirittura  vitali. Ovvio che si sia attaccata a noi, in circostanze simili.
Ultimamente, però, il tempo è stato splendido e anche una gattina sterilizzata sentirà un po’ la primavera. Dopo tutto sono passati solo un paio di mesi da quando le sono state asportate le ovaie con le loro secrezioni. Negli ultimi tempi a Micia piaceva stare fuori. Come un’adolescente, in casa mangiava e dormiva, e basta. Spiccava un balzo per arrivare alla sua ciotola per poi, una volta sazia, sedersi davanti alla porta perché la facessimo uscire nuovamente. Ogni tanto, quando rientrava la sera, chiudevamo la finestra per tenerla dentro. Allora si sedeva sul davanzale a guardare fuori malinconica, per poi, dopo non molto, acciambellarsi rassegnata su uno dei nostri letti e addormentarsi. E non appena aprivamo la finestra per far entrare la fresca notte primaverile, lei saltava fuori.
Forse si è sentita in gabbia ed è partita per la grande avventura. Se n’è andata dove le sue zampe l’hanno portata e dove c’è sempre qualcosa da scoprire per chi non teme il domani. Ora come ora il tempo è magnifico per un gatto, si trova sempre un posto dove dormire e del cibo si può anche fare a meno per qualche giorno. Magari tornerà quando la pancia sarà vuota o comincerà a diluviare. Allora un po’ di attenzioni umane potrebbero fare bene. Così vado fantasticando, e la nostalgia si allevia un po’. Sta bene e ci ha lasciato di sua volontà. Anche se è un po’ insolente da parte sua scomparire così dopo tutte le nostre amorevoli cure.
Il pensiero spiacevole è che possa esserle successo qualcosa. Adora esplorare angoli sconosciuti, potrebbe essersi intrufolata nella finestra aperta di qualche cantina che poi è stata richiusa, o essere finita in qualche altro guaio. Forse ha mangiato qualcosa che le ha fatto male. Oppure – ipotesi spaventosa – è diventata il gatto domestico di qualcun altro. Non ha il collare o altro che dimostri che ha già dei padroni. Il piccolo microchip che il veterinario le ha inserito nel collo quando l’ha sterilizzata non si vede. Forse qualcuno l’ha rapita o corrotta con letti più morbidi o cibo più gustoso del nostro. Infida come sono i gatti, ha scelto la tana migliore, dai padroni più generosi. Ora che le abbiamo offerto vitto e alloggio, pensiamo che dovrebbe dimostrare la sua riconoscenza, ma i gatti non conoscono questi doveri. Noi siamo più legati a Micia di quanto lei lo sia a noi, penso.
Amici e parenti ci hanno telefonato per chiedere come abbiamo passato la Pasqua. Sì, bene, grazie, abbiamo risposto, ma Micia è scomparsa. E loro ci hanno consolati: i gatti fanno così, hanno spiegato, soprattutto in primavera. Hanno bisogno di libertà e si avventurano senza meta per poi tornare felici come prima. E domestici come prima, come se non fosse successo nulla. Ringrazio per il supporto, ma non gli credo.
Dopo due notti in cui non la vediamo, siamo convinti che non tornerà mai più, perlomeno io che ho una eccellente predisposizione a fare un dramma di ogni problema. Tolgo dal ripiano della cucina le sue ciotole, occupano spazio e vederle fa solo male. Così la sua assenza diventa ancora più evidente. Vorrei buttare anche il suo cibo, ma mia moglie mi trattiene. Aspettiamo un po’, magari potrebbe servire, dice. Come spesso succede, ha ragione.
E infatti, la terza notte Micia ricompare. Nel momento esatto in cui stiamo per addormentarci, sentiamo un rumore sordo che ben conosciamo quando salta dentro la finestra, e non appena alzo lo sguardo verso il chiaro cielo primaverile vedo le orecchie triangolari e la corta coda ritta. Un attimo dopo sentiamo il tonfo familiare sul pavimento. «Micia!» grido a mia moglie. In men che non si dica siamo fuori dal letto. Accarezziamo la nostra Micia, con suo moderato entusiasmo, e ci premuriamo di darle da mangiare, cosa che invece la interessa al massimo. Tiriamo fuori le ciotole e le riempiamo con quanto di meglio abbiamo da offrirle. Insaporiamo il latte con la panna. Non c’è nulla che non vada nel suo appetito. I gatti sono creature molto pragmatiche, i sentimentalismi posso tenermeli per me.
Chiudiamo la finestra. In realtà fa troppo caldo per dormire con le finestre chiuse, ma non vogliamo che a Micia venga in mente di saltare fuori di nuovo, adesso che è appena tornata. Lei constata ben presto che la via d’uscita è bloccata, ma non insiste. Privilegia invece il contatto con noi. Quando mi alzo per andare in bagno lei fa le fusa avvolgendosi tanto stretta intorno alle mie gambe che faccio fatica a muovermi. Sale sui nostri letti; viene continuamente verso le nostre facce: ci dà colpetti, ci lecca, fa le fusa. Ogni tanto si raggomitola e noi cerchiamo di dormire, ma a ogni minimo movimento lei è di nuovo in piedi. È una notte agitata, ma siamo tutti e tre contenti, credo. Micia ci è affezionata, ma alle sue condizioni.
(continua in libreria…)

Fotografia header: Il vecchio e il gatto - Corbaccio

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