Ne “La casa senza ricordi” – di cui ilLibraio.it propone un estratto – torna uno dei personaggi più riusciti nati dalla penna di Donato Carrisi (l’autore italiano di thriller più famoso al mondo): lo psicologo infantile e ipnotista Pietro Gerber, già presente nel bestseller “La casa delle voci”

Quando parliamo di un nuovo romanzo di Donato Carrisi l’attesa è inevitabile: ci riferiamo infatti all’autore italiano di thriller più celebre al mondo. Che, a un anno dal successo di Io sono l’abisso, torna puntuale in libreria, sempre per Longanesi, con La casa senza ricordi.

E veniamo alla trama del nuovo romanzo, in cui torna uno dei personaggi più riusciti nati dalla penna dello psicologo infantile e ipnotista Pietro Gerber, già presente nel bestseller La casa delle voci: il libro si apre con un bambino senza memoria che viene ritrovato in un bosco della Valle dell’Inferno, quando tutti ormai avevano perso le speranze.

Nico ha dodici anni e sembra stare bene: qualcuno l’ha nutrito, l’ha vestito, si è preso cura di lui. Ma è impossibile capire chi sia stato, perché Nico non parla. La sua coscienza è una casa buia e in apparenza inviolabile.

L’unico in grado di risvegliarlo è l’addormentatore di bambini. Gerber, il miglior ipnotista di Firenze, viene chiamato a esplorare la mente di Nico, per scoprire quale sia la sua storia. E per quanto sembri impossibile, Gerber ce la fa. Riesce a individuare un innesco – un gesto, una combinazione di parole – che fa scattare qualcosa dentro Nico. Ma quando la voce del bambino inizia a raccontare una storia, Pietro Gerber comprende di aver spalancato le porte di una stanza dimenticata.

L’ipnotista capisce di non aver molto tempo per salvare Nico, e presto si trova intrappolato in una selva di illusioni e inganni.  Perché la voce sotto ipnosi è quella del bambino.  Ma la storia che racconta non appartiene a lui

Lo scrittore di Martina Franca, autore de Il Suggeritore (il suo acclamato esordio), è anche regista e sceneggiatore, e non a caso sta anche girando il suo nuovo film, tratto da Io sono l’abisso: il set è sul Lago di Como e il film è prodotto da Palomar e Vision Distribution, che lo distribuirà in Italia e nel mondo.

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:

(…)

8

Il ragazzino varcò la soglia quando era da poco passata mezzanotte. Per prima cosa, si guardò intorno, forse domandandosi il motivo del suono persistente che si sentiva in sottofondo, ma senza lasciar trasparire alcuna reazione. Indossava un maglioncino a rombi con sotto una camicia chiara, pantaloni di flanella e un paio di Adidas consumate. Il caschetto biondo gli scendeva sulla fronte fin quasi a coprirgli gli occhi azzurri, i tratti del viso erano delicati, quasi efebici, forse per via dell’incarnato lattiginoso. Pur essendo alle soglie dell’adolescenza, su di lui non c’era traccia di pubertà.

«Vieni avanti, Nico» lo invitò Gerber, impiegando lo stesso nomignolo che, a quanto gli avevano detto, usava con lui sua madre. Poi gli indicò le sedie basse intorno al tavolino, in modo che scegliesse quella che preferiva. «Io sono Pietro» si presentò. «Benvenuto.»

Come previsto, il bambino non disse nulla. Però andò a sedersi.

Al fine di farlo ambientare, Gerber si prese tutto il tempo per richiudere la porta e lanciò un’occhiata alla parete con lo specchio, come a voler comunicare a chi stava dall’altra parte che lì erano pronti a cominciare.

Quando tornò a voltarsi verso il bambino, Nikolin aveva allineato le matite colorate e impilato i fogli che lui invece aveva sparso poco prima sul tavolo.

Senza un motivo specifico e senza che nessuno glielo avesse chiesto.

Gerber andò a sedersi accanto al ragazzino e attese che, dopo quell’accurata operazione, si apprestasse a disegnare qualcosa. Invece Nico rimase appoggiato al ripiano, la testa china, le braccia conserte e lo sguardo indirizzato al polsino sinistro della camicia che spuntava dalla manica del maglione.

Gerber si accorse che un bottone si era quasi scucito e penzolava da un filo di cotone. Il bambino ci giocherellava con le dita, estraniandosi dal resto.

Nel farlo, però, non sbatteva le palpebre.

La cosa gli parve subito strana. Iniziò a misurare per quanto tempo fosse in grado di resistere in tale condizione. Quaranta secondi. Poteva sembrare poco ma era un’eternità, visto che normalmente una persona sbatteva le palpebre ogni cinque secondi. Anche se non si spiegava il motivo, Gerber avrebbe dovuto tenere conto di quell’anomalia.

«Adesso faremo una specie di esperimento, ti va?»

Lo psicologo non si aspettava una risposta, infatti proseguì: «Senti questo suono? Vorrei che ti concentrassi bene e che provassi a inspirare ed espirare nel momento preciso in cui ti sembra che il battito diventi più forte» spiegò.

Il respiro di Nikolin era regolare ma non andava a tempo.

Gerber non era sicuro che il ragazzino avesse capito bene, così provò a reiterare la richiesta e, per rassicurarlo, aggiunse: «Questo ti faràsentire molto rilassato: sarà piacevole, vedrai».

Però quello continuava solo a tormentare il bottone della camicia.

Gerber allora allungò una mano verso il congegno elettronico e girò la manopola affinché fosse il battito a seguire il ritmo della respirazione di Nico. Ma si accorse che il bambino ancora non si lasciava andare.

Decise d’inserire una breve nota che emergeva e si inabissava.

Niente da fare, il paziente opponeva resistenza.

Sembrava che per lui non esistesse altro che quel maledetto bottone penzolante. Era impossibile penetrare la sua concentrazione.

Lo sguardo sconfortato di Gerber cadde sulle matite e sui fogli ordinati. Entrando in quello spazio vuoto e del tutto nuovo per lui, Nikolin aveva avvertito subito il bisogno impellente di sistemare per bene quegli oggetti.

Disturbo ossessivo-compulsivo, si disse lo psicologo.

In contemporanea, ebbe un’intuizione. Era inutile eccitarsi troppo, avrebbe scoperto presto se si sbagliava.

L’ipnotista si alzò dal proprio posto e andò a recuperare l’impermeabile che aveva poggiato per terra.

Sul bavero era appuntato l’ago da cucito con il filo blu che aveva trovato nella mela dello studio.

Lo levò, portandolo con sè al tavolo. Poi afferrò con gentilezza il braccio del bambino e tirò via il bottone della camicia insieme al filo a cui era appeso: per coincidenza, anche quello era blu. Nikolin osservò l’operazione senza protestare. Quindi Gerber iniziò a ricucire con calma il bottone al polsino col nuovo cotone.

Poteva immaginare cosa stesse pensando la Baldi dall’altra parte dello specchio. Sicuramente il magistrato si stava domandando cosa diamine stesse accadendo.

Ma lui era sicuro che fosse la mossa giusta.

Infatti, quando il bottone tornò al proprio posto e l’ordine delle cose fu ripristinato, il bambino gli dedicò completa attenzione. Di lì a poco, anche il respiro rallentò, segno che stava scivolando in uno stato di quiete. Gerber ne approfittò per modificare il metronomo.

Grazie a quell’espediente, Nico era caduto in una trance leggera. Lo testimoniavano lo sguardo perso e le braccia abbandonate lungo i fianchi.

«Mi senti?» domandò allora l’ipnotista.

Si aspettava di vederlo semplicemente annuire, invece si sorprese quando udì il suo: « Sì».

Lo psicologo era galvanizzato da quel progresso imprevisto. «Sai dove ti trovi?»

Una breve pausa. «No.»

«Sai almeno come sei arrivato qui?»

«No.»

La seconda risposta negativa non era un buon segno: significava che probabilmente il bambino versava in uno stato confusionale, qualcosa di simile a una specie di shock post-traumatico. «Sai chi sei?»

«Sì» disse stavolta, sempre parlando in maniera automatica.

Gerber si aspettava l’inflessione tipica di uno straniero che ha dovuto imparare l’italiano, e si meravigliò che la pronuncia fosse così limpida. «E ricordi anche il tuo nome?»

L’altro non rispose, ma il respiro accelerò: la banalissima domanda lo rendeva inquieto.

Gerber decise di non insistere, la sospensione in cui si trovava il ragazzino era fragilissima e poteva infrangersi da un momento all’altro. «Qual è l’ultimo ricordo che hai?» chiese allora.

«Il bosco.»

Fu come se, improvvisamente evocato, il bosco si materializzasse intorno a loro. «Cosa c’è nel bosco?»

Il bambino iniziò ad agitarsi. «Prima le tre condizioni, poi le domande.»

Gerber non capiva. La frase era incomprensibile, ma fu soprattutto il tono autoritario a sembrargli stranamente fuori luogo. La definizione esatta era che stonava in bocca a un bambino, però lo psicologonon sapeva perché. Decise di spostare l’attenzione su un altro tema. «Ricordi l’incidente, quando tu e tua madre avete forato la gomma dell’auto?»

Nico annuì.

«Cosa ricordi di quel momento?»

«Sono stato io» disse.

La risposta spiazzò Gerber. «In che senso sei stato tu? Vuoi dire che hai bucato tu la gomma?»

«Sì» confermò l’altro, secco.

Non aveva tentennato, pensò l’ipnotista. Anche questo gli parve strano. «Perché?» azzardò allora.

Il ragazzino sembrò pensarci su. Poi disse, tutto d’un fiato: «… Arnau aveva capito dove sarebbe andata a finire prima degli altri, ma lui non poteva più farci niente…»

La frase non aveva senso. «Chi è Arnau?

Nikolin tacque.

L’ipnotista attribuì quelle parole a una sorta d’interferenza: come se un ricordo, venuto da chissà dove, si fosse inserito arbitrariamente nella ricostruzione dei fatti. «Ti va di parlarmi di tua madre?» chiese.

«Arnau aveva capito dove sarebbe andata a finire prima degli altri, ma lui non poteva più farci niente» ripeté invece il bambino, come una cantilena.

Cercava di sviare l’argomento? C’era solo un modo per scoprirlo: insistere. «Nico, cosa è successo a tua

madre?» domandò, in modo diretto.

Silenzio.

«Le è accaduto qualcosa?»

«Sì.»

«È colpa di questo Arnau?»

«No.

«Allora di chi?»

«Sono stato io.»

La stessa frase di poco prima, la stessa nettezza. Pietro Gerber provò un senso di disagio. Improvvisamente, si pentì di non essere rimasto a casa quella sera.

Non voleva più stare lì. «Cosa intendi? Puoi essere più chiaro, per favore?» si sforzò di domandare.

Stavolta il bambino voltò lentamente il collo verso di lui. Lo fissò e, con tono glaciale, ribadì: «Sono stato io».

(continua in libreria…)

L’APPUNTAMENTO CON LIBRERIE LIVE Domenica 28 novembre, a partire dalle ore 19, Donato Carrisi incontra le sue lettrici e i suoi lettori in una diretta esclusiva trasmessa dalla nostra pagina Facebook. Un appuntamento digitale parte del palinsesto di LibLive, e che viene proposto in streaming anche da decine di librerie italiane.

Fotografia header: Credit foto: Gianmarco Chieregato

Abbiamo parlato di...