Con “Le spose sepolte” la scrittrice bolognese Marilù Oliva propone al pubblico un romanzo giallo carico di tematiche di genere: una giovane investigatrice è alle prese con un killer che sembra intenzionato a vendicare ogni femminicidio non processato dalla giustizia… – Su ilLibraio.it un capitolo

Nell’Appennino bolognese si trova un paesino governato da una giunta tutta femminile: si chiama Monterocca, ma è anche nota come la Città delle Donne, una realtà di provincia isolata e immersa nella natura montana. Qui si ritrova Micol Medici, giovane e brillante ispettrice che sta indagando su alcuni crimini sanguinosi e inquietanti, tutti accomunati da una particolare caratteristica: il killer sembra essere intenzionato a vendicare tutte le donne che non hanno mai ottenuto giustizia per la loro morte violenta e, per farlo, si occupa di stanare e uccidere tutti coloro che non sono stati processati per i femminicidi commessi, e dopo aver ucciso una donna e averla fatta sparire sono riusciti a evadere la pena. Per individuare il vendicatore delle “spose sepolte”, Micol dovrà affrontare tutti i segreti che il paese nasconde sotto un’apparente tranquillità, mettendo a rischio la sua stessa vita…

le spose sepolte marilù oliva harper collins copertina

Insegnate di lettere bolognese, Marilù Oliva è autrice del romanzo giallo Le spose sepolte (Harper Collins), un’indagine ai limiti del thriller dove il tema della condizione femminile diventa fondamentale; l’autrice, che cura un blog su l’Huffington Post e si occupa anche di questioni di genere, costruisce una forte eroina femminile costretta a farsi valere in un mondo dominato dagli uomini, mentre la sua storia si attorcigli intorno a una semplice ipotesi: come cambierebbe il mondo, se fosse governato dalle donne?

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it un estratto del romanzo:

Micol cominciò a sbadigliare; era stanca. Entrando nella stanza aveva notato il caffè solubile nel kit per la colazione in camera, ma certo non le avrebbe fatto effetto. Tentò di resistere, ma al quarto sbadiglio decise di
stendersi sul letto. Solo cinque minuti. Di solito la sua sveglia mentale funzionava: si staccava per poco tempo dal mondo, cascando in un sonno che la ristorava anche se non durava molto. E i suoi sogni erano, come spesso le accadeva anche la notte, visionari e movimentati. Così fu anche quella volta.

Si stava quasi per addormentare, ma qualcuno bussò. Senza che Micol avesse il tempo di alzarsi dal letto, la porta si aprì lentamente e una donna apparve nell’ombra del breve corridoio, in fondo. Micol la vide avanzare verso di lei: zoppicava e aveva qualcosa di anomalo. I capelli erano lunghi e neri come quelli di Lucia Ginevri, ma rovinati dal tempo; il volto livido e senza espressione era quello disumano dei morti, così come la magrezza, le braccia pelle e ossa e i vestiti a brandelli. Era proprio la moglie di Cionti, e indossava la stessa camicetta che Micol aveva visto tante volte in foto, quella scozzese a quadretti verdi, neri e bianchi. Si dirigeva verso di lei incespicando e Micol si alzò con un balzo, mentre il cuore le saltava in gola. Ma non riusciva a muoversi, perché più lei indietreggiava, più quel che restava della donna le si avvicinava. Quando arrivò a pochi passi da lei, parlò senza dare segni di emozione: «Io sono la sposa sepolta. Mio marito si era stancato di me. Non voleva divorziare e perdere le proprietà. La cosa più terribile non è che, dopo anni, mi abbia buttata via per un’altra. Quello che non potrò mai perdonargli è che mi ha tolto i miei figli: non li ho visti crescere, ridere, arrabbiarsi, non li ho saziati quando avevano fame, non gli sono stata accanto quando erano ammalati, non li ho protetti quando qualcuno gli ha fatto un dispetto e non ho gioito ai loro compleanni».

Il cadavere di Lucia Ginevri cominciò a sciogliersi lentamente, dalla sua bocca uscì un liquame color petrolio, ma lei continuò a parlare, questa volta deformando la voce come se un registratore allungasse e distorcesse le parole, man mano che il corpo si disfaceva per diventare scheletro: «Mentre io mi putrefacevo, giorno dopo giorno, un’altra prendeva il mio posto e cresceva i miei bimbi. Come me ce ne sono mille. Stanno dappertutto, senza pace, talvolta voi ci camminate sopra: alcune non le troveranno mai. Le ossa della prossima le disseppelliranno presto. Guarda la scarpa».

Micol si alzò di soprassalto. Cazzo, si disse lei che non diceva quasi mai parolacce. Che brutto sogno. Guardò l’orologio: la sua sveglia mentale aveva funzionato abbastanza bene, era trascorso solo un quarto d’ora da quando si era stesa. Bisognava alzarsi e lavorare. Si sciacquò la faccia e accese il computer, mentre alle orecchie le riecheggiava la voce di Lucia Ginevri: Le ossa della prossima le disseppelliranno presto. Guarda la scarpa. Micol non credeva ai sogni forieri di verità; il carattere illogico di sua madre l’aveva da sempre spinta verso convinzioni
razionali. E infatti non c’era nulla di strano, in quel sogno, nulla che lei già non sapesse. Conosceva la vittima dai tanti documenti sfogliati e dai servizi visti; in fondo le parole che le aveva detto erano solo il riflesso di quello che Micol già pensava.

Eppure, delle volte, le capitava che l’elemento onirico si riflettesse sulla realtà come un suggerimento, un avvertimento, un’anticipazione. Quando era morta sua nonna investita da un autobus, Micol aveva sognato la vecchia bicicletta con la quale la nonna era solita percorrere la città, accartocciata: era successo una settimana prima che l’autobus gliela riducesse tale e quale. Quando aveva passato il concorso in polizia, ne aveva avuto notizia tre giorni prima dell’annuncio ufficiale, perché una commissione mai esistita si era intrufolata nei suoi sogni e le aveva comunicato il punteggio esatto con cui si era classificata. Coincidenze, soltanto coincidenze. In fondo la vita è governata dal caso. Considerava queste sinergie semplici casualità e si era data anche una spiegazione scientifica: certe volte, a livello energetico, circola nell’aria l’intenzione di quello che sta per accadere e Micol,  attraverso i suoi sogni, dimostrava di saper avvertire tali manifestazioni, tutto qui: la sua, era – semmai – una forma progredita di sensibilità, come se fosse dotata di parabole invisibili in grado, talvolta, di captare i segnali segreti del mondo.

(Continua in libreria…)

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