Tra Sesto Fiorentino e Castiglioncello, tra un viaggio di partito in Crimea e l’abbacinante campagna senese, ma soprattutto tra i raggi del sol dell’avvenire e le ombre del cinema, delle chiese e dell’immaginazione si dipana “Le streghe non esistono” di Luca Scarlini, una storia di formazione e di ribellione, che dischiude i nostri occhi anche all’invisibile verità della magia… – Su ilLibraio.it un estratto
Da una parte la Casa del Popolo, la Festa dell’Unità, Berlinguer, il Vietnam, gli Inti Illimani, i corsi di russo: questo è l’universo del Retore, ex partigiano, comunista stentoreo e smanioso fino all’inconcludenza, o fino alla violenza. Sì, perché il Retore è anche il babbo di Luca, che nel 1975 ha 9 anni.
Ed è questa la cornice in cui si inserisce Le streghe non esistono (Bompiani), il romanzo con cui il saggista, docente e storyteller Luca Scarlini (Firenze, 1966) torna in libreria raccontandoci di un babbo adepto del più ortodosso machismo comunista e di un bambino curioso.
Tra i due si erge con sorniona fermezza la mamma, che lavora per pagare l’affitto perché i comizi non fruttano uno stipendio e che non appena il Retore chiude un occhio introduce il piccolo Luca al suo mondo di amiche femministe, gay e drag queen che vivono nel culto della cultura angloamericana odiata dal babbo.
Tra Sesto Fiorentino e Castiglioncello, tra un viaggio di partito in Crimea e l’abbacinante campagna senese, ma soprattutto tra i raggi del sol dell’avvenire e le ombre del cinema, delle chiese e dell’immaginazione si dipana per il giovanissimo narratore un anno cruciale: quello in cui la sua intima ribellione alla prepotenza dell’universo paterno verrà trasfigurata in qualcosa di più grande dall’incontro con Graziosa, che dischiude i suoi occhi all’invisibile verità della magia…
Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, pubblichiamo un estratto:
Malgrado il suo strepitoso odio per le case dei ricchi, il Retore è contento anche lui quando vede un luogo bello. Due o tre volte all’anno, un giorno che per me è una grande festa, andiamo a trovare il Grande Vecchio nella villa magnifica dei suoi parenti a Fiesole. Allora non gli dispiace certo entrare nel giardino delle rose e poi in quello delle mimose, per poi passare alla serra delle abelie, profumate fino allo svenimento.
L’anziano musico è magrissimo, spirituale, coltissimo, autorevole, parla molte lingue, scrive libri, compone sinfonie, dirige l’orchestra. Una persona fascinosa, con tutto il traffico di artisti aspiranti, mogli, figli, fidanzati. Si dice sia una spia dal tempo della guerra, al servizio della Russia, o proprio un agente del KGB, e certo sta sempre sul chi vive, non emette mai una parola che non sia pesata. Il Retore lo ha conosciuto da partigiano.
Una macchina della polizia è sempre alla porta di servizio, nessuno però sa dire niente di preciso. Il musico non parla mai del suo paese di origine, sepolto oltre la cortina della memoria, lasciato per sempre anche nell’immaginazione quando aveva poco più di vent’anni.
Poi mi spiega con parole magnifiche la musica di Igor Stravinskij, chiamando anche il figlio maggiore del giardiniere, che suona il flauto nella banda municipale.
La Sagra della primavera non ha più segreti per me: conosco benissimo la trama e le immagini del sacrificio, e mi sembra tutto perfetto e necessario. La visita dura mezz’ora di conversazione con il musico e mezz’ora di gioco con il flautista, mentre mio padre e il gentiluomo parlano fitto fitto in cucina a voce bassissima lontano dalle nostre orecchie.
Quando usciamo dico sempre, con la massima carica polemica: “Allora non si sta poi così male in una casa di proprietà?” Segue, immediato, il ceffone di ordinanza, dato con la manona piena, che di rado riesco a schivare.
Di tutte le destinazioni di dimora, la più eccentrica e assurda rimane la cabina di un proiezionista alla Casa del Popolo di Quinto. Pochi giorni, cinque, forse sei, mentre un’impresa cercava di asciugare con un ritrovato chimico americano la macchia dell’eterno umido nella casa di Quinto, ovviamente senza fortuna, anzi con un sensibile peggioramento, vista la comparsa di un colore giallo fosforescente assai spaventoso e dal soffocante aroma tossico.
Per andare a letto, su un materasso sul pavimento, bisognava aspettare che finisse lo spettacolo, che terminava alle dieci e mezzo. Mi addormentavo prima, malgrado il rumore devastante del proiettore. Il film era Queimada: cominciava con un suono d’organo, a cui si aggiungeva un coro africano di signore cantilenanti, con un rumore crescente di spari. Le musiche cantavano una sola parola, incomprensibile. L’ultimo giorno, quando rifacevo la mia minivaligia, avevo domandato lumi al proiezionista, un capellone stonatissimo dall’hashish, che parlava solo delle ferie e del suo sospirato ritorno in Afghanistan con gli amici, la prossima estate, a sfarsi nei narghilè. Spesso, quando era troppo fumato, metteva le bobine al contrario, con urla di protesta dalla sala.

(Luca Scarlini)
“Sono nere che cantano abolisson, in francese storpiato, vuol dire l’abolizione della schiavitù.” Per dirlo ci ha messo del tempo, mentre tirava su boccate dense che gli impastavano la bocca e abolisson proprio non gli veniva.
A quel punto volevo vederlo il film, a tutti i costi, ma era vietato ai minori. Ho provato a sgattaiolare due o tre volte in sala, ma mi acciuffavano sempre. Per rappresaglia mi addormentavo sempre al quinto minuto della proiezione, quando dicevano: “Sir, stia attento alle tre M: mosquitos, mulatas y muerte.” Allora mi è toccato immaginarmelo, pensavo a delle bellissime mulatte nude, contornate da mosche frenetiche, che intonavano la loro unica parola in modo variato, ma infine ossessivo, mentre intorno maschi bianchi e neri altrettanto nudi si ammazzavano a ritmo di danza, come in un balletto di Canzonissima, con una finale orgia di sangue e sesso e le bellissime signore che ballavano a tette scoperte sui cadaveri, travestite da scheletro.
La Casa del Popolo è comunque il posto dove per me è sempre possibile, anzi raccomandato, andare. Ho una golden member card, data dalla genitorialità del Retore eroico, ma ancora di più dal mio rutilante secondo nome: Josipstalin, nume tramontato, ma di cui a Sesto si parla ancora, eccome. Il suo busto è con ogni cura conservato in cantina, non si sa mai giunga il sospirato ancien régime bolscevico.
Non pochi tra i partigiani di un tempo hanno peraltro ancora i mitra murati negli infissi delle finestre dal tempo della Resistenza. Nel caso arrivasse il tempo della rivoluzione. L’anno scorso uno dei partigiani più anziani, che stava in campagna, nel frattempo gravemente suonato dalla tarda età e dai morbi, si era scordato di avere dodici armi nelle finestre, e aveva cominciato imponenti ristrutturazioni della magione avita. Ai figli era toccato far sparire tutto in fretta e furia, appena il capomastro lucano aveva detto cosa aveva trovato, prima che i vicini democristiani spifferassero tutto alla polizia.
Può interessarti anche
A forza di parlare di questi scenari, al tempo delle Brigate Rosse, non sono mancate certo le ispezioni nelle case dei vecchi partigiani (e anche noi ne abbiamo avuta la nostra parte, con scene isteriche della polizia che piombava nel mezzo della notte per creare problemi di ogni tipo con i vicini), ma nel frattempo gli Sten paracadutati dagli inglesi erano stati fortunatamente venduti come ferri vecchi o usati in uno dei tanti film sulla Resistenza e sulla guerra.
Non si sa in giro del mio doppio nome: ho ottenuto dal genitore dopo un litigio memorabile in prima elementare e un broncio chilometrico che la cosa rimanesse segreta. Josipstalin è un problema solo tra me e l’anagrafe, che ha l’obbligo di tenere il riserbo. A scuola nessuno lo sa e il nero segreto è da tenere prigioniero nella quieta palude del tempo, dove nessuno lo potrà mai scoprire.
Già ho i miei problemi, come unico che non frequenta la tediosa ora di religione a scuola con il mellifluo don Sandro. Quando arriva in classe il prete-professore mi squadra con compassione mista a terrore e dice, indicandomi con un gesto degno di un Savonarola che predica a San Miniato: “Ti compiango, figlio di bolscevichi senza Dio.”
Io esco senza battere ciglio, come mi ha detto di fare la mamma, ma rimugino le sue sentenze. Il risultato di questi predicozzi è che per un’ora mi sento alienato dal resto del mondo, ma anche il vero protagonista del giorno. Il quotidiano locale ha anche pubblicato un articolo sui figli degli eretici, senz’altro già votati, così piccini, alle fiamme dell’inferno, per colpa dei loro genitori scriteriati. La verità vera è che invece io ogni tanto in chiesa ci vado, per omaggio al fascino del proibito, per sfidare le leggi del Retore, e per condividere dei momenti intimi con la bella Rosina, di origini mugellane e di famiglia assai osservante (sua madre Amalia, folle di Dio, ha furori mistici degni di Lefebvre). Suo padre quando mi vede dice: “Dovresti farci venire quel senzadio di tuo padre, in chiesa.”
Può interessarti anche
Ovviamente rispondo che mi adopererò alla sua edificazione. So benissimo che per il Retore questo mio passaggio nel mondo del sacro è un crimine di lesa ideologia, passibile di punizioni estreme da parte sua e di denuncia al Politburo locale e forse anche direttamente a Mosca, se mi scoprisse, ma l’atto in sé è esaltante a livello teatrale.
Mentre faccio la doccia canticchio sottovoce la Messa dei giovani: “Gloooria, glooria, glooria al Signor / è qui sulla terra, è qui sulla terra, / pace, pace, pace agli uomini / che amano la pace, / noi ti lodiamo, noi ti benediciamo, / noi, noi, noi, ti adoriamo,” su ritmi di shake-beat.
Alla Casa del Popolo la musica è un’altra: “Bandiera bianca la vogliamo: no! / Bandiera bianca la vogliamo: no! / Perché è il simbolo dell’ignoranza / bandiera bianca la vogliamo: no!”
L’adiacente parrocchia viene deprecata, tra bestemmie e allusioni grassocce, a ogni momento, come luogo della più nera reazione e dello stupro infantile serializzato.
In effetti il sacerdote, giallastro per la cattiva salute (soffre di malattie epatiche) e cicciuto come un sacco sgonfio, ha le fattezze da malaticcio eunuco alla corte degli ultimi imperatori Qing.
Io però non gli interesso proprio, troppo cicciottello: ha più passione, casomai, per i ragazzini emaciati e scheletrici del Cilento, ospiti di un vicino centro di assistenza per l’infanzia e perfettamente esposti a qualsiasi aggressione. A loro offre cibi rari e inusitati, e carezza con mani guantate e sguardi lubrichi le teste piene di croste e pidocchi. Regala loro shampoo al piretro che restano inutilizzati, souvenir di un mondo alieno per i fanciulli che fanno il temuto ritorno nelle spelonche paterne, dove le botte e l’abuso sono l’unico linguaggio quotidiano.
La presenza a Quinto degli ospiti provenienti, come si dice, dalla Bassa Italia, è stata segnalata da una inconsulta proliferazione di pediculus capitis humani, che essi avevano generosamente diffuso al parco giochi. Ossia di pidocchi. Rossiniano era stato il crescendo di grattate in testa, finché la maestra aveva dichiarato lo stato di emergenza. Era cominciata la caccia ai lendini, ossia le uova, trasparenti come madreperla e microscopiche, che non c’era modo di staccare dai capelli.
Le madri a consulto avevano proposto rimedi che andavano dall’attacco razzista con punizione radicale ai cilentani ospiti della parrocchia, colpevoli del contagio (non scordando qualche schiaffo al prete che li aveva invitati) all’antico rito agreste dell’acqua della paura. Alla fine era venuta un’infermiera. Ci aveva sottoposto a un lavacro rituale con una micidiale lozione di piretro e poi aveva trascinato via i pidocchi morti con un pettine fitto, mentre noi ci spellavamo le mani dagli applausi.
Spelacchiati come superstiti del Lusitania, abbiamo capito subito che era necessario un gentlemen’s agreement. Inutile prendere in giro qualcuno, quando siamo tutti conciati da spaventapasseri. Da allora per prevenzione la fatina dei lendini ha imposto un lavaggio mensile con acqua e aceto, a cui facciamo di tutto per sfuggire.
(continua in libreria…)
© 2023 Giunti Editore S.p.A. / Bompiani
Scopri le nostre Newsletter

Notizie, approfondimenti e curiosità su libri, autori ed editori, selezionate dalla redazione de ilLibraio.it
