Un’epica contadina schietta, contemporanea, crudele. Un libro che fa commuovere e ridere: su ilLibraio.it un capitolo da “Macaco” di Simone Torino, il romanzo vincitore del Premio Calvino 2024
Macaco, protagonista dell’omonimo romanzo d’esordio di Simone Torino (in uscita nella collana Unici di Einaudi), vive da solo, chiacchiera con le sue gatte e non riesce a dimenticare la donna che ha amato. Con Bestemmia e lo Zitto, “amici da bullone”, muove la terra a mano nel suolo duro della Valle d’Aosta.
La domenica, quando la terra riposa, passa dai campi di patate a quelli da basket. “Tu non confondi le parole, tu confondi la vita”, gli dice qualcuno. E per confondersi di meno, Macaco comincia a raccontare. Con una lingua viva, che fa commuovere e ridere nello stesso giro di frase. I suoi sono pensieri che arrivano al cuore delle cose, che emozionano, svelano, coinvolgono. Perché vengono dalla sua testa speciale e sono calati in un’epica contadina schietta, contemporanea, crudele e potente come la vita.
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In Macaco (libro che ha vinto il Premio Calvino 2024) c’è un mondo che si potrebbe credere lontano e che invece è più vicino che mai: lo sa bene l’autore, nato nel ’79 ad Aosta, che ha fatto il bracciante agricolo per anni.
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Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un capitolo:
Il quattro
Sto facendo il letto, è una bella giornata. Rimbocco le coperte, metto i cuscini, piego il pigiama. Le galline, sotto, fanno baccano. Il vicino le libera nel prato. Il prato è un pratone, con terrazzamenti e alberi, cintato. Razzolano, stanno bene. A nessuno piace la gabbia.
Il pratone arriva al muro mio. A volte esco a scuotere la tovaglia, ci sono le pecore, libera anche le pecore, il vicino. E guardano, le pecore. Scuoto la tovaglia e scappano velocissime. Le galline no, di solito rimangono.
Apro la porta del balcone e, appena la apro, un’ombra, grigia, come una freccia. E giù, dove c’era baccano, silenzio. Il pratone, vuoto, ha un mucchietto di piume in un angolo, bianche. E, dentro al mucchietto bianco, c’è del rosso. Faccio due più due, che fa quattro. E quattro è l’ombra grigia sparata in cielo: il falco.
Scendo a vedere, mi avvicino. Piumebianche è viva.
Muove il becco. E la gola. Come se annega. Ha un buco,nella schiena, largo. Tira aria, ma sgonfia via con un sibilo.
Se la stava mangiando, il falco. Se la stava mangiando viva.
Allora vado a prendere l’accetta.
Quando torno, trema, Piumebianche. Poi mi vede, e l’occhio si apre, si apre. Ha il collo rotto. Non sa chi sono, cosa voglio. Pazza di paura, vuole vivere, ma non può. Il legno del cancelletto, lo metto come un ceppo. Prendo la gallina, la metto su. Alzo l’accetta, e abbatto. Come un boia. Ho la vista piena d’acqua, sono cieco, e sbecco il
forte: la testa cade. L’occhio sbianca. La lingua spunta, molle.
Il corpo, staccato, batte un’ala. Sgambetta, ma poco. Allora vado sotto al balcone, nell’angolo del muro. Appoggio la fronte, piango un po’. Quando il male passa, controllo che nessuno mi ha visto. Nessuno. Due uccellini sul melo. Un gatto, nel vascone delle pecore. Asciugo la faccia, e vado a prendere un sacco. Il falco, non è colpa
sua. La gallina, però, sapeva. La mangiava, e lei lo sapeva, di stare morendo. E io odio dover prendere la decisione giusta.
Altre galline non ne trovo. Poi una sì.
C’è una catasta, contro uno dei muretti, e dietro c’è un corpo. Nero. Infilo un braccio tra i legni, arrivo a toccarla col dito. La gallina, immobile. È morta di paura. Si
può morire di paura. Una voce, dalle scale, mi saluta: – Sempre al lavoro.
È il vicino. Sorride, guarda il sacco, le piume, e spegne il sorriso.
– Di nuovo, – dice.
– Aveva un buco così nella schiena. Le ho staccato la testa, ho dovuto. È morta in fretta, – dico, e gli do il sacco coi resti.
Dice: – Te non la mangi?
– No.
– Due galline al mese, mi prende. Di solito apro quando sto qui, dieci minuti son stato via.
Controlla il cielo. Non una nuvola. Non un’ombra.
– C’è la nera, lì, dietro ai rami della catasta. Le altre non so, – dico.
– Eh? – dice.
– Dietro la catasta, tra il muretto e i legni. Ce n’è una nera, morta. Di paura, mi sa, – dico.
– La nera è nel pollaio. Sono tutte nel pollaio, – dice.
– No, ti dico. Una delle nere è qui, vieni, – e vado a guardare.
Dietro la catasta, la gallina non c’è.
– Era qui.
– Avrà fatto finta.
– Come.
– Ha fatto la morta. Lo fanno bene.
Controllo meglio, sposto i rami: niente. Ha fatto finta.
Mentre se ne va lo sento ridere, dire: – Morta di paura.
Poi il telefono fa cip cip, è un messaggio. Zitto. C’è scritto: «Coumarial».
© 2025 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino
(continua in libreria…)
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