“La storia di Caterina è nata così: da una grande paura e da una fuga impossibile”: Mara Carollo, all’esordio con “Promettimi che non moriremo”, ci racconta com’è nato il suo primo romanzo, che attraversa tutto il ‘900, in una toccante riflessione sulla scrittura e sull’affrontare le insidie della vita

Scrivo quando ho paura. Questo libro è nato da una grande paura.

La prima volta che ho sentito parlare di covid, mi ero da poco trasferita in Olanda. Non avevo ancora familiarizzato con i suoni gutturali della lingua e il luogo delle nuove possibilità era già diventato una gabbia.

Tornare a casa era impossibile.

Persa in quel paese senza montagne, tra le mura di un’abitazione minuscola, ho sentito nascere in me un desiderio possente di panorami visti dall’alto. Desiderio di casa.

La storia di Caterina è nata così: da una grande paura e da una fuga impossibile.

Non mi mancava il mio appartamento cittadino. Avevo nostalgia di origini. Della terra dei miei antenati, di quei monti da cui proviene il mio cognome, fatti di boschi e vallate, di case aggrappate a pendii erti e di persone abituate alla fatica e alle calamità. Dei luoghi a cui mi sembrava di appartenere da sempre, forse perché tante volte ci ero andata a passeggiare o forse per i racconti di mia nonna.

Lei scriveva che uno dei suoi primi ricordi di bambina era un grande pallone areostatico che sorvolava le montagne durante la prima guerra mondiale. La seconda, invece, le aveva sottratto gli amici e la spensieratezza.

Come avevano vissuto i miei nonni la paura? Come avevano fatto a sopravviverle?

Tornare alla storia, quella privata e quella collettiva, è stata la mia via di fuga.

Ho iniziato così a scrivere di mia nonna, immaginando come aveva fatto lei a superare i momenti bui. Ho tentato di calarmi completamente nelle conoscenze e nelle consapevolezze che poteva avere una donna nata all’inizio del Novecento, che non sempre aveva i mezzi per comprendere le forze della Storia che si abbattevano sulla sua piccola quotidianità. Una persona spaesata, come lo ero io in quel periodo.

Per esorcizzare le mie angosce ho provato a mettere in luce le sue. Ho cercato di immergermi completamente nel suo tempo e nel suo punto di vista.

Ne è uscita Caterina, un personaggio, alla fine, inventato, ma spero autentico nella sua complessità. Una figura a tratti scomoda e lontana dagli stereotipi femminili a cui siamo abituati. Una donna indurita dalle esperienze, ostile alle ideologie, che affronta la vita aggrappata alle sue piccole certezze. L’unica cosa giusta da fare è salvarsi la pelle, concluderà durante la Resistenza.

Ma la personalità di Caterina non si riassume solo nelle sue azioni o in ciò che fa vedere agli altri, perché l’imperativo di sopravvivere non è sufficiente a tenere insieme una vita intera. A suo modo, Caterina è anche un personaggio che sogna.

È il desiderio la sua linfa vitale.

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Di fronte alle asperità della quotidianità, si rifugia in una grande aspettativa: ricongiungersi con Mario, l’amico d’infanzia che, a differenza sua, ha potuto studiare e lasciare la montagna.

Mario è per lei la speranza che la vita non sia solo salvarsi la pelle, portare il pane in tavola o garantire ai figli un futuro migliore. Ed è grazie alla tenacità di questo sogno, che a tratti rasenta l’ossessione, che riesce a trovare la forza per andare sempre avanti.

Credo che tutti abbiamo un Mario: una persona perduta, un luogo amato, una vita immaginata, un’ambizione taciuta. Un motore invisibile che guida le nostre azioni, talora senza che ne abbiamo piena consapevolezza.

E mentre ragionavo di Caterina e del suo Mario, e di come sia proprio la dimensione del desiderio a traghettarci nei momenti difficili, mi sono resa conto che, forse, scrivere questo romanzo poteva essere il mio Mario.

Mi ci sono messa con la stessa caparbietà con cui Caterina inseguiva il suo sogno mancato. Gli errori da lei compiuti e le sue occasioni sprecate hanno generato in me una tensione produttiva, quasi ossessiva, che mi spingeva a non lasciare indietro niente, come dice lei stessa ad un certo punto del romanzo.

Le ore di scrittura sono diventate giorni e infine mesi. Nel frattempo, di fuori, la pandemia allentava la sua morsa. Quando ho chiuso la prima stesura del libro (ne sarebbero seguite altre), la paura non era passata, ma, grazie a Caterina, le avevo dato una forma accettabile ed ero forse riuscita a tenerla a bada.

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promettimi che non moriremo di Mara Carollo

L’AUTRICEMara Carollo è nata a Thiene, in provincia di Vicenza, nel 1979. Dopo la maturità classica si è laureata in Filosofia all’Università degli studi di Padova. Amante della montagna e dei grandi classici della letteratura, Carollo lavora come docente di sostegno in una scuola superiore della sua città e Promettimi che non moriremo è il suo romanzo d’esordio, in uscita per Rizzoli.

Ambientato lungo il Novecento, il romanzo segue la vita di Caterina, prima bambina e poi donna alla ricerca di una strada e di un sogno. Già da piccola, infatti, Nina sente il desiderio di un’esistenza diversa quando scopre che Mario, il compagno di giochi e corse per i prati, è in partenza per Milano, per la scuola e per un futuro migliore, che non prevede pascoli e boschi.

Caterina si rifugia sui pochi libri che trova e impara il mestiere di sarta, un’occasione, spera, di poter fuggire da casa. Caparbia e a suo modo ribelle, Caterina è una donna di piccole soddisfazioni e tante rinunce, di quelle sempre presenti nei racconti di famiglia, che rende protagonista la provincia mentre i grandi eventi della Storia si susseguono. E più passa il tempo, più Mario è un’ossessione, un fantasma da rincorrere

Promettimi che non moriremo di Mara Carollo è un romanzo profondo che affonda le radici tanto nei classici dello scorso secolo quanto nelle storie di famiglia, un’indagine sulla vita che poteva essere, con le sue illusioni e passioni impossibili.

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