Ambientato in una Napoli notturna, “Nata nell’acqua sporca”, romanzo d’esordio di Giuliana Vitali (di cui pubblichiamo un estratto), racconta il disorientamento giovanile senza offrire rassicurazioni

Nata nell’acqua sporca (Giulio Perrone Editore), romanzo d’esordio di Giuliana Vitali, racconta il disorientamento giovanile senza offrire rassicurazioni, sfidando le convenzioni del racconto di formazione.

L’autrice, nata a Napoli nel 1987, vive a Roma, ed è condirettrice e curatrice della rivista culturale Achab.

Veniamo al suo primo libro: quella di Sara, la giovane protagonista, è un viaggio tra ricerca e smarrimento. La ragazza scappa da una vita che sembra non appartenerle seguendo il suo ragazzo tossicodipendente. Si muove in una Napoli notturna, cupa, popolata dagli esclusi.

Il destino di Sara si intreccia con quello di altri tre compagni di deriva. La loro amicizia è il nodo viscerale di un amore tossico.

Nella postfazione, Silvio Perrella sottolinea: “(…) Sara è una bambina, Sara è una ragazza, Sara è incinta, Sara chissà dove andrà. La narratrice la insegue, le sta più vicina che può, le succhia i pensieri e la trasforma nel sismografo psichico e sentimentale del disorientamento. Né l’amato fratellino, né l’amico di sempre, né qualche amica riescono a lenire il dolore di Sara. Un dolore che fa tutt’uno con quello di una Napoli scheletrica, dove anche il mare ha il colore della pece e dove la notte spadroneggia come una coltre che obnubila la vista…”.

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Le case celesti

La Salita del Gigante di notte era un girìo di persone che avevano in mano coppe di fritti, erba, sigarette bagnate con sopra la cocaina. Sara se ne restava seduta sulla panchina di pietra, un po’ sfasata, in mezzo agli altri ragazzi che se ne stavano zitti e, se parlavano, lo facevano bisbigliando. Davanti alla piazzetta il buio fitto nascondeva il Vesuvio e il mare che si avviluppavano con le stelle, come amanti vogliosi.

«Bella, c’hai una cartina per piacere?» fece uno, avvicinandosi di soppiatto a Sara.

Aprì la borsa a tracolla e sfilò una Rizla.

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Il ragazzo aveva gli occhi come fessurine nere, sottili, due occhiaie livide. Parlava lentamente come se il tempo nella sua testa si fosse dilatato. Come cazzo aveva fatto a ridursi così… pensava Sara. Le faceva pena.

«Saretta! Hai visto Christian?» fece Anna sbucando da dietro l’albero impiantato al centro della piazzetta senza lampioni. Sara non lo vedeva da un pezzo. Si era allontanato dall’altra parte della strada. L’autobus era di fronte, parcheggiato allo stazionamento con le porte aperte, senza luci, vuoto. Sara attraversò la via semideserta quando intravide un’ombra sul sedile, quello vicino al finestrone. Dentro, un fetore di piscio e fumo.

«Christian, oh! Che stai facendo qua?» fece Sara.

Lui non rispondeva. Stava fermo con le palpebre semichiuse, un colorito lunare sulla faccia, il corpo floscio come se stesse dormendo. Ogni tanto faceva per aprire gli occhi, come quando si sogna. La bocca umida gli pendeva da un lato. Era a piedi scalzi senza nemmeno i calzini, per terra la siringa con l’ago ancora conficcata tra l’alluce e il medio. Di colpo si mosse, alzando le braccia piano piano, con le mani voleva avvinghiare qualcosa: una scena al rallentatore.

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«Anna! Anna!» chiamava forte Sara.

«Che c’è? L’hai trovato?».

Lei indicò l’autobus, l’altra subito entrò.

«Christian scetate… jamme vien cu’mme…» prendendolo di peso con le mani minuscole, senza fatica per la stazza grossa che aveva.

Alessio e Gianni sbirciavano quelle ombre ogni tanto da lontano, a testa bassa fumavano una sigaretta. Di colpo, mentre Anna trascinava Christian, che solo per scommessa si reggeva in piedi, giù per la porticina del mezzo, un gran frastuono fece sobbalzare la ragazza.

Due macchine dei carabinieri correvano a gran velocità con le sirene accese e la paletta rossa fuori del finestrino.

Appresso una camionetta nera prendeva tutte le buche sull’asfalto, facendo tremare la terra sotto alle scarpe.

«Gianni! Piglia la macchina che questo non sta bene!» fece Anna.

«Anna, che cazzo, un’altra volta? A questo se lo portano di nuovo stasera…» disse lui.

Mentre l’auto correva con le quattro frecce accese, Sara se ne stava zitta dietro, stretta all’angolo del sedile per fare più spazio all’amica che teneva Christian abbracciato a lei, accarezzandogli la fronte bagnata. Pareva che non respirasse. Aveva gli occhi lucidi Sara, la voglia di fuggire da quell’aria che si era fatta densa e calda immaginando di aprire la portiera e lanciarsi fuori. Si tenne la mano, che prima scivolava sulla maniglia, bloccata tra le gambe. Dovevano arrivare all’ospedale il prima possibile, ricoverare l’amico, tutto sarebbe andato bene fino a ritornare come prima dell’incidente e dimenticare tutto. Con la droga puoi morire solo se esageri, si diceva tra sé, e lui non era come quelli bruciati in testa che vedi in mezzo alla strada, che ti fanno la carità per comprare la dose o che non riescono a fare un discorso sensato sbiascicando con le parole.

(continua in libreria…)

Fotografia header: Giuliana Vitali, foto di Cinzia Carcaterra

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