Su ilLibraio.it un estratto da “Odio”, romanzo di Daniele Rielli che unisce commedia e tragedia: un’analisi delle forze che attraversano il nostro tempo, dal tema dell’odio sociale e della sorveglianza digitale, fino al riemergere del Capro Espiatorio

Daniele Rielli, classe ’82, è autore di reportage, testi teatrali, sceneggiature e libri. Ha pubblicato Quitaly (Indiana, 2014), Lascia stare la gallina (Bompiani, 2015, in corso di ripubblicazione per Mondadori) e Storie dal mondo nuovo (Adelphi, 2016).

Il suo nuovo libro, il romanzo Odio, esce per Mondadori, e mostra l’abilità dell’autore, che vive a Roma, di unire commedia e tragedia, di creare personaggi iconoclasti e accompagnarli a un’analisi delle forze che attraversano il nostro tempo, dal tema dell’odio sociale e della sorveglianza digitale, fino al riemergere del Capro Espiatorio.

E veniamo alla trama di Odio: i giornalisti che oggi accusano Marco De Sanctis per una vecchia storia non sanno quanto avventurosa sia stata davvero la sua vita dal giorno in cui, anni prima, ha stretto amicizia con un eccentrico imprenditore del digitale, poi diventato il suo mentore. Non conoscono i dettagli della cavalcata che da lì in poi lo ha portato dalla provincia al cuore di una Roma di fine impero, fra palazzi opulenti e gabbiani che rovistano nella spazzatura; un viaggio drammatico, divertente e paradossale dietro le quinte del potere e dei media in cui Marco ha trovato e perso l’amore e si è dovuto ripensare da zero, accettando che la nostra è l’età della tecnologia, fino a fondare before, un’azienda di Big Data in grado di prevedere il comportamento di milioni di consumatori. I giornalisti non sanno nemmeno che al centro dei pensieri di Marco De Sanctis ora, più delle accuse e dei sospetti, ci sia il dispositivo che sta per lanciare sul mercato e la sua capacità di rivelare il cuore oscuro degli esseri umani. Non lo sanno perché non possono leggere Odio, la sua inaspettata e confessione…

Daniele Rielli odio

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:

La torta era color arancione acceso, sfumato qui e là solo dalle bruniture della cottura, e spiccava come un corpo estraneo nel salotto all white della casa di Emanuele. Sia Martina che il dolce avevano ricevuto l’accoglienza delle grandi occasioni; Giada si era spinta a pronunciare un «Abbiamo sentito molto parlare di te» che era immediatamente deflagrato negli occhi di Martina come una bomba di profondità. Persino Cristina aveva tentato di forzare la sua naturale freddezza nei miei confronti dando un benvenuto caloroso a quella che si augurava sarebbe diventata una nuova pecorella a tempo indeterminato del gregge, una prospettiva di stabilizzazione di fronte alla quale Martina si sarebbe anche potuta rivelare una perfetta stronza e per lei non avrebbe fatto alcuna differenza. Al momento delle presentazioni una nuvola temporalesca era comunque passata rapida sul suo viso, come stesse pensando: “Ha detto davvero Martina?”. Era evidente come ritenesse quella corrispondenza una perversa scelta del sottoscritto.

Emanuele si era immediatamente fatto sotto, presentandosi con il suo charme un po’ vecchia maniera.

«Sei tu dunque la ragazza che Marco ci teneva nascosta» disse con un sorriso che mi sembrò più giovane del solito; soltanto a quel punto mi accorsi che si era tagliato la barba dopo chissà quanto tempo. Anche Emanuele, come la sua donna, stava contribuendo con parole eccessive alle future delusioni della mia accompagnatrice. Martina era stata preparata nei suoi confronti. Nelle descrizioni preliminari non avevo nascosto nessuno dei segreti dei miei due amici, pur sapendo bene che sarebbe stato Emanuele ad attirare le maggiori attenzioni. Infatti, appena il mio amico pugliese si fu allontanato, Martina mi guardò con un’espressione complice: era lui?

Sorrisi: era decisamente lui.

Abbracciai Mauro e poi gli indicai le due bottiglie pregiate sul tavolo. Avevo un po’ esagerato – erano quasi scelte da russo in vacanza – ma sapevo che lui avrebbe apprezzato comunque l’opportunità. Soppesò prima il Cristal, con piacere ma senza autentico trasporto, poi lo vidi illuminarsi di fronte alla bottiglia di Amarone di Quintarelli.

«Sono trenta giorni che non bevo alcol per colpa del CDT» dissi come a giustificarmi di quella sfacciata capacità di spesa, un riflesso automatico ormai scomparso da ogni ambito della mia vita che non fosse quel genere di riunioni.

«D’altronde non ci siamo trovati per questo?» osservò Mauro senza smettere di scrutare il Quintarelli.

«C’è qualcosa da festeggiare?» chiese Martina, attenta, mi parve, a mantenere comunque un tono conciliante, non inquisitorio. Vidi Cristina illuminarsi. «Non te l’ha detto?»

Nello spiraglio s’infilò immediatamente Emanuele, mentre Mauro – il vecchio Maurone – sembrava essere l’unico a chiedersi se non fosse il caso di deviare con mestiere il discorso, se non ci fosse, cioè, qualcosa di cui Martina non fosse al corrente.

«Oggi è finita tutta la trafila per quando l’hanno beccato sbronzo alla guida.»

«Sbronzo alla guida…» fece eco Cristina, per nulla convinta che quella fosse una descrizione sufficiente.

«Ho consegnato l’ultima provetta, mi manca ancora un colloquio con lo psicologo» spiegai, come fosse cosa da niente.

Martina mi guardò stupita. Sapeva che per un periodo ero stato senza patente ma sapeva anche che da parecchio tempo guidavo tranquillamente. Come la maggior parte delle persone ignorava che razza di tortura medioevale fosse la procedu-

ra per riavere la patente dopo una sospensione per guida in stato di ebbrezza, e, una volta riacquisita, per evitare che venisse di nuovo ritirata. Si tratta di un processo praticamente a vita di test e colloqui, che a mano a mano si dilatano nel tempo. Di base, se una persona viene trovata una volta alla guida sopra i limiti alcolemici consentiti, lo Stato italiano assume tacitamente che si tratti di un beone terminale e lo sottopone a periodiche analisi del dosaggio del CDT, la transferrina desialata, un marcatore che permette di scoprire – con una discreta approssimazione – se una persona ha assunto dell’alcol durante l’ultimo mese. Di tutto questo Martina non sapeva appunto nulla, mentre riguardo alle circostanze che avevano portato la polizia a sequestrarmi la patente sapeva soltanto che una sera ero uscito con degli amici e avevo bevuto un po’ troppo, come poteva capitare a chiunque.

Lasciai a Mauro l’onore di stappare la bolla; la stavano facendo un po’ troppo lunga, non era poi questa grande occasione. L’importante era la compagnia.

«Lunghissimo» commentò Mauro, ammirato dopo un momento di riflessione. «Senti la nota di nocciola in mezzo agli agrumi?… Che bomba. Come stai, DeSa?»

«Stanco morto. Come se non avessi già abbastanza cazzi, oggi ho avuto in ufficio un giornalista.»

«Italiano.»

«Italiano» confermai, «e dei peggiori.» Mi sedetti sul divano. «Il gatto non c’è?» chiesi riferendomi alla piccola pantera che un po’ gli invidiavo.

«Sarà di là a dormire, non che faccia altro.»

«Peccato. Comunque dovevi vederlo sto tizio, che sicumera. Poi ovviamente non sapeva nulla di nulla.»

«Un’intervista su cosa?» intervenne Emanuele.

«Stiamo per fare il round B di finanziamento. L’ultimo prima della quotazione in borsa.»

«Ed è necessaria un’intervista?» chiese Mauro, che da scrittore era molto più interessato della persona media ai meccanismi dei mondi professionali che non conosceva. Poteva sempre saltarci fuori un racconto breve, forse chissà, persino un romanzo, avendo la giusta pazienza indagatoria.

«No, ma la mia addetta stampa viene dal mondo dei giornali e ogni tanto devo farla lavorare anche in quella direzione, più per tenerla buona che altro.»

Vidi un accenno di smorfia prodursi sul volto di Cristina.

«Il fatto è che è in gamba e voglio tenermela. Per dirti, a un certo punto sto giornalista ha tirato fuori tutta la vicenda di Martina Scalzi e Furetta l’ha massacrato. Uno spettacolo.»

«Furetta?» chiese allarmata Cristina.

«Non rompere tu, eh» disse Mauro con un movimento della mano in sua direzione, come a scacciarla.

«È il suo soprannome, se l’è scelto lei» spiegai senza guardarla. In realtà non avevo idea della genesi di quell’appellativo ma non avevo voglia di impelagarmi in sabbie mobili del genere. Da sobrio, poi.

«Non se la dimenticheranno mai quella storia, DeSa» osservò Emanuele, «purtroppo è così, lo sai. Però nonostante tu ti sia ormai irrimediabilmente corrotto con questi orridi computer e i loro algoritmi liberticidi, devo riconoscere che in fatto di vini rimani insuperabile. Mi ricordo quando bevevi solo Dreher da sessantasei.»

«A questi prezzi è facile. Devo farti assaggiare qualcosa di più affrontabile e comunque buono» mi sminuii.

A proposito di grandi consumatori di Dreher, Giada venne a sedersi sul bracciolo del divano, di fianco a Emanuele. «Abbiamo usato BEFORE anche noi l’altra sera, ordinando del sushi» disse.

«Noi lunedì» osservò Mauro.

«Noi… quand’era? Martedì? Ma era sicuramente dopo perché ora che ci penso su Facebook mi è uscito che Chiara aveva ordinato del sushi da Daruma.»

«È vero» confermò Emanuele, «è così che ci è venuta l’idea.»

I dati di cui disponevamo a BEFORE non lasciavano dubbi: l’unicità è decisamente sopravvalutata presso gli esseri umani. «In principio era il verbo». be’, non proprio. In principio c’è la propensione a imitare, il linguaggio è uno dei tanti sottoprodotti di quella pulsione originaria. Nei numeri di BEFORE la filosofia incontrava la scienza, mica una cosa da niente. Peccato che fosse un sapere destinato a rimanere ignoto ai più, ogni tanto arrivavo a dolermene un po’.

«Crediamo tutti nel libero arbitrio, sempre che a insegnarci il concetto sia stata una persona che stimiamo o invidiamo» sentenziai perciò, ispirato.

«Minchia, senti qui la zampata del filosofo» commentò Mauro.

Cristina ignorò quel che avevo detto, le mie parole le passavano attraverso invisibili come particelle cosmiche o, meno spesso, venivano accolte con il ruotare di occhi che si dedica alle inopportune bestialità di un selvaggio.

«Tutta questa sorveglianza è peggio del Grande Fratello» disse invece con un certo orrore dipinto sul volto, in piedi davanti allo schizzo di Mario Schifano che suo padre – ex numero due di Finmeccanica – le aveva regalato per i diciott’anni, ormai un po’ di tempo fa.

«Lo è, non c’è dubbio» convenni, «ma puoi sempre decidere di non partecipare.»

Era vero fino a un certo punto, ma per obiettare ci voleva almeno un po’ di competenza tecnica e tutto il sapere di Cristina era costituito da sferzanti giudizi morali su cose di cui ignorava anche i fondamenti.

«Io sicuramente posso riuscirci» ribatté, «ma non tutti sono così fortunati.»

Cristina, Cristina, Cristina. Una volta avevo dato un’occhiata ai dati riservati sul suo profilo BEFORE, in teoria cripta-ti e inaccessibili se non in forma aggregata, ma insomma, si sa come vanno queste cose: la donna del mio amico aveva fatto il grande slam dei social: Facebook, Twitter, Instagram (attivissima come social justice warrior sui primi due canali, in vestiti di lino e sandali Oran o scalza in barca a vela sul terzo), LinkedIn (che valeva comunque la pena di guardare per fare la tara ai racconti che la vedevano sempre professionalmente impegnatissima), TikTok (giuro), fino alla sua chiusura aveva persino avuto un account Google+. Faceva una media di 2,45 ordini a settimana su Amazon (ma nelle discussioni sosteneva a spada tratta il commercio di prossimità), era una habitué anche su Yoox, una volta aveva pure fatto la poracciata di ordinare un vestito di Etro, indossarlo a un matrimonio di un amico e poi fare il reso il lunedì seguente.

Taccio sulle sue preferenze in fatto di pornografia perché, per quanto mi renda conto che sia possibile dissentire, sono, in fondo in fondo, un signore. E poi mi dispiace per Mauro. Quello che conta qui è che la correlazione fra l’esposizione alle pubblicità che la informavano di ciò che facevano i suoi amici iscritti a BEFORE e la sua propensione a effettuare subito dopo un ordine, posizionava Cristina nella fascia più alta dei nostri clienti, l’uno per cento (cifra in fondo adeguata al suo lignaggio) degli utenti più propensi all’imitazione competitiva del gruppo di pari. Insomma, fossero stati tutti condizionabili senza sapere di esserlo come Cristina, il valore di BEFORE sarebbe stato ruffly avevo fatto un rapido calcolo, così per divertimento – 2,5 miliardi di euro. Ero nella paradossale situazione di dover desiderare, da imprenditore, un mondo pieno di Cristine.

«E poi tutta questa violazione della privacy per far arrivare prima le pizze a domicilio…»

«Hai pensato pizza?» la interruppe Emanuele echeggiando il primo slogan di successo di BEFORE e tutti si misero a ridere. A mia volta imitai l’espressione disperata – una maschera di smarrimento nota a tutta Italia – dello youtuber che nei video pronunciava quello slogan. Ci furono altre risate; presi un sorso di Cristal.

Il focus aziendale di BEFORE era in realtà sul predittivo in senso ampio. Certo, all’inizio si era effettivamente trattato di far arrivare a destinazione più in fretta ordini di cibo a domicilio utilizzando una tecnologia che prevedeva natura e localizzazione delle richieste e rendeva così più efficienti le procedure d’acquisto, quelle di consegna e la logistica dei venditori. Poi però – ed era stata quella l’intenzione sin dall’inizio – le cose si erano fatte parecchio più complicate. Di base raccoglievamo enormi quantità di dati e con essi elaboravamo predizioni sul futuro parecchio più affidabili delle profezie generate dalla mente umana, previsioni che storicamente non avevano mai fatto molto meglio del proverbiale lancio di una monetina. Il nostro segreto era un raffinato algoritmo basato su un’equazione bayesiana a cui il mio socio aveva aggiunto una rete neurale back-drop, un accrocchio che, per renderlo intelligibile anche ai non smanettoni, avevo tradotto con discreta libertà nell’aggettivo, decisamente sexy, “evolutivo”. Le applicazioni erano virtualmente infinite, tanto per fare un esempio, vendevamo quotidianamente risk assessment a diverse multinazionali petrolifere, a cui tornava utile sapere cosa bolliva in pentola in Nigeria o in Venezuela. Se si paventava un maxisciopero o a qualche gruppo d’influenza passava per la testa un’idea, anche solo abbozzata, di colpo di Stato, c’erano ottime probabilità che tutto questo non sfuggisse alla nostra analisi automatizzata delle fonti aperte. Insomma, facevamo previsioni su qualsiasi attività permettesse la creazione di una marginalità commerciale, ma per la maggior parte delle persone saremmo sempre rimasti quelli che facevano arrivare a casa la pizza ancora calda.

Non si poteva volere tutto e fra la gloria e i soldi, l’esperienza mi aveva insegnato a preferire sempre i secondi.

(continua in libreria…)

 

 

Fotografia header: Foto di Fabrizio de Blasio

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