Su ilLibraio.it un estratto dal nuovo libro di Paolo Nori (in perfetto stile Nori)

Baistrocchi è salito sul tetto a fumare, di nascosto, una sigaretta, che erano vent’anni che aveva smesso.
Sente un urlo, ma forte, e subito pensa una cosa stranissima: “Questa voce io la conosco”. È la voce di una donna che ha visto solo una volta, alla cena della scuola elementare di giornalismo disinformato. Baistrocchi aveva fatto un corso di giornalismo disinformato, alla fine avevano fatto una cena, ed era venuta anche la moglie di un suo allievo, Mantegazza, e aveva detto tre frasi: “Io, sostanzialmente, sono la moglie”, “Mio marito, sostanzialmente ha perso la testa”, “Mio marito, sostanzialmente, si è innamorato di lei”. Il bello dei fatti criminali, se c’è qualcosa di bello nei fatti criminali, e secondo Baistrocchi c’è, è il fatto che il mondo, quando succede un delitto, o anche una disgrazia, diventa più mondo. E Baistrocchi, ai fatti criminali, era uno che ci pensava, perché doveva scrivere un romanzo, e aveva un ritardo nella consegna che un po’ aveva vergogna. Aveva bisogno di una disgrazia, perché Baistrocchi, nei suoi romanzi, scriveva cose che erano successe davvero, non inventava niente, e se non succedeva niente non aveva niente da scrivere. E in quei momenti lì, intanto che fumava sul tetto, si immaginava che gli sarebbe successo qualcosa. E gli era successo davvero…

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Paolo Nori è nato a Parma, abita a Casalecchio di Reno e ha scritto romanzi, fiabe e discorsi. Torna in libreria per Marcos y Marcos con Manuale pratico di giornalismo disinformato. E ilLibraio.it qui di seguito ne pubblica un estratto:

… una cosa che mi piaceva, del mestiere del giornalista, era che io avevo cominciato a farlo nel momento che i giornali la gente smetteva di leggerli.
Cioè: quando la maggior parte dei giornalisti, prevedendo la fine del giornalismo, cercavano delle altre cose da fare, io mi ero messo a fare il giornalista ed era una cosa anacronistica che mi piaceva, mi sentivo nel buio, dopo le racconto anche il buio, non dico il buio così a caso, c’è un motivo ma salta fuori poi dopo, porti pazienza, la cosa che voglio dire adesso è che mi piaceva, stare nel buio, mi sentivo una specie di inviato nel territorio della crisi non per risolverla, per godermela, e in un certo senso me la godevo mi piaceva molto il disastro che mi stava sopra la testa mi piaceva meno il fatto di dover scrivere un articolo a settimana che non sapevo mai cosa scriverci, nei miei articoli che dovevo scriverne uno a settimana che significava cinquantadue all’anno.
Anche se io, nei miei articoli, non è che avessi bisogno di chissà che avvenimento, per un articolo, io scrivevo su dei fatti piccolissimi, insignificanti che sopra i giornali di solito non ci finivano, su dei cambiamenti da niente come il fatto che io, una volta ogni due mesi dovevo lavare le scale del palazzo dove abitavo, e quando le lavavo che poi uscivo e vedevo le scale pulite pensavo “Ma guarda che belle scale, ma chi le ha lavate bene così?”, e mi veniva in mente che se avessi fatto, di mestiere, il lavatore di scale, sarei stato sempre contento, secondo me, oppure il fatto che io, che abitavo a Casalecchio di Reno, avevo visto, a Casalecchio di Reno, poco lontano dalla biblioteca, una scritta sul muro che diceva: “Basta con la disoccupazione giovanile”.
E mi era piaciuta molto e da quando l’avevo vista quando giravo per Casalecchio di Reno mi aspettavo sempre di veder delle scritte sorelle che avrebbero potuto essere, non so “Abbasso l’invecchiamento precoce”, oppure “Viva gli sconti”, o anche “Basta brufoli, per favore”, o “Viva il beltempo”, o “Abbasso il semaforo rosso”, per esempio, che son delle cose che non sono notizie ma per me, e per quelli come me, il fatto che non fossero notizie le faceva diventare più notizie delle notizie.

(continua in libreria)

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