Arriva in Italia “Qualcosa di camuffato da amore”, il memoir di Galia Oz, in cui la figlia del celebre scrittore israeliano denuncia le violenze subite dal padre durante l’infanzia e l’adolescenza
Delle accuse che Galia Oz aveva mosso nei confronti del padre Amos si è già parlato sui media. Il memoir in cui la scrittrice per bambini denuncia le violenze (fisiche e psicologiche) che avrebbe subito in tenera età sono ora arrivate anche nelle librerie italiane per Sonda edizioni, con la traduzione di Sarah Kaminski.
Qualcosa di camuffato da amore è un’immersione in un’infanzia e un’adolescenza offese: i ricordi personali di Galia accompagnano e danno forza a un’indagine delle dinamiche dell’abuso in famiglia. Una guida per le vittime e per chi si prende cura di loro, e anche per coloro che vogliono inoltrarsi nel lato oscuro dell’amore.
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Amos Oz, morto nel 2018 all’età di 79 anni, è stato uno degli autori israeliani più acclamati, spesso considerato un contendente per il premio Nobel per la letteratura. Dopo la sua morte, la figlia Galia Oz (nella foto di Eric Sultan in copertina, ndr) ha deciso di denunciare gli abusi paterni, per dare voce a tutte quelle persone che, per paura o vergogna, non hanno il coraggio di parlare.
Alle sue affermazioni ha replicato la sorella, Fania Oz-Salzberger, anche lei scrittrice, che ha dichiarato: “Noi conoscevamo un padre diverso. Un padre affettuoso, gentile e attento, che ha amato la sua famiglia con un amore profondo pieno di preoccupazione, devozione e sacrificio”.
Mentre il fratello Daniel Oz, in un lungo post su Facebook tradotto da Haaretz, ha scritto che suo padre “non era un angelo, solo un essere umano. Ma era l’uomo migliore che io abbia mai avuto il privilegio di conoscere. Al contrario di noi, mia sorella Galia ricorda di aver subito violenze e abusi da parte di nostro padre. Sono certo – cioè, lo so – che c’è un fondo di verità nelle sue affermazioni. Non voglio che la cancelli. Ma non voglio nemmeno che cancelli noi”.
Dal canto suo, nell’introduzione al volume Galia Oz spiega il suo punto di vista, e le motivazioni che l’hanno spinta a scrivere: “(…) Quando ho iniziato a scrivere, ho avuto la sensazione di percorrere un sentiero molto stretto. La vergogna e il senso di colpa, che sono lo scotto da pagare per le continue molestie, mi avevano indotta a credere che fosse successo solo a me, che comunque non sarei riuscita a spiegarlo e che non c’era alcun motivo di scriverci sopra un libro. Mi chiedevo anche come sarebbero state accolte le mie parole, perché quando si parla di un personaggio famoso e lo si fa in forma autobiografica è facile supporre che si tratti di pettegolezzi di bassa lega, di ‘panni sporchi’. Non è questo il caso. La mia confessione si spinge solo fin dove è necessario, per inserire la mia vicenda personale in un contesto più ampio. Il libro parla di me, ma io non sono l’unica. Le case come quella in cui sono cresciuta fluttuano in qualche modo nello spazio, lontane dal raggio d’azione degli assistenti sociali e dall’influenza di rivoluzioni come il Me Too e non lasciano traccia sui social network. Tormentate dagli incubi e isolate, celano con scaltrezza i loro segreti come le organizzazioni criminali. Per scriverne, non ho scelta, devo superare il mutismo e la segretezza, l’abitudine a tenere tutto in pancia e la paura di cosa dirà la gente. In realtà, non ci sono riuscita del tutto, ma scrivo”.