Una ragazza cresce nell’Ovest dell’America, assediato dall’avvento della civiltà e sfregiato dai segni della violenza umana. “Ruthie Fear” di Maxime Loskutoff racconta la storia tenera e violenta di un mondo che sta correndo verso la propria rovina

In un momento storico in cui abbonda la scrittura di distopie, sono preziosi i libri che mostrano invece l’inferno e la distruzione del mondo come qualcosa che è già qui. Ruthie Fear di Maxime Loskutoff, edito da Black Coffee con la traduzione di Leonardo Taiuti, è uno di questi. La storia di una violenza centenaria, praticata dagli uomini bianchi nei confronti della natura e delle popolazioni indigene e che finisce per ritorcerglisi contro, avvelenando la terra e distruggendo le loro stesse vite.

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Ruthie è una ragazzina senza madre cresciuta solo dal padre Rutheford, cacciatore e forte bevitore, nella Bitteroot Valley. Siamo nel cuore del Montana, una terra strappata agli indiani Salish molto tempo prima. Un luogo aspro e selvaggio che, però, già nell’infanzia di Ruthie comincia a mostrare i primi segni dell’avvento del progresso che potrebbe trasformarlo in attrazione turistica per cittadini ricchi.

Ruthie cresce in una comunità chiusa e povera, formata dal padre e dai suoi amici, tra cui due gemelli indiani, Terry e Bill French. Gente che passa le sue giornate tra caccia e bevute, ossessionata dalle armi e preda di un sordo e implacabile rancore per i forestieri che, grazie ai loro soldi, piano piano si stanno appropriando dei boschi e dei laghi della vallata. Il padre di Ruthie è un uomo cupo e solitario, capace però, nella loro aggressività, di un rapporto così intimo con quel mondo che sembra condannato a scomparire sotto i colpi della modernità. E lui come gli altri si scopre, di fronte all’avanzare di industrie e ville private, debole e vulnerabile.

Il romanzo segue la vita di Ruthie, che diventa ragazza e dopo donna, sempre in qualche modo sotto il segno della violenza. Quella che vede nel mondo intorno a lei e quella che lei stessa si scopre ad avere dentro, e la spaventa. Ruthie prova a costruire una propria educazione sentimentale, divisa tra il paesaggio naturale e il mondo dei suoi coetanei, per il quale prova un misto di attrazione e repulsione.

Cerca e respinge l’amore, prova a fuggire verso Las Vegas ma quello che vede nella metropoli la disgusta. Nel Montana invece, il paesaggio sembra interrogarla, chiederle di capire cosa sia quel misto di tenerezza e ferocia che si porta dentro, gli stessi sentimenti che lei, divenuta cacciatrice come il padre, prova verso le prede.

Due momenti fondamentali la colpiscono, ossessionano i suoi giorni nel ricordo. Ancora bambina, nel No Medicine Canyon, ha scorto una creatura misteriosa e orribile. Una sorta di animale deforme e privo di testa, un mostro che però le è parso anche incredibilmente goffo e fragile.

Quest’essere infesterà i suoi pensieri a lungo: Ruthie si chiede se sia stato frutto della sua immaginazione o se invece è reale. E in questo caso, da dove viene? È un prodotto degli esprimenti del centro di ricerca che è stato impiantato nella valle, o una creatura ancestrale, figlia della natura irrimediabilmente offesa?

L’altro episodio che la segnerà è, ancora una volta, l’incontro con la violenza degli uomini. Una banale rapina in un alimentari, un ragazzo della sua età crivellato di colpi sotto i suoi occhi da persone armate che si credono giustizieri. Scoprirà che quel suo coetaneo era anche lui un indiano Salish. Nella sua morte insensata Ruthie vede un dolore che sembra non abbandonare mai la vita della gente della Bitteroot Valley.  

Intorno a lei il mondo cambia: suo padre e gli altri invecchiano, Ruthie cerca di costruire qualcosa, di avere una relazione stabile. Ma c’è sempre qualcosa che non funziona, il ricordo di un trauma subito, una sofferenza passata che riemerge. E intanto la civiltà avanza, inesorabile. E mangia via pezzi del mondo che Ruthie conosceva così bene, gli unici posti in cui aveva imparato a sentirsi a casa.

Len Law, un altro degli abitanti del paese, sostiene che la valle sia vittima di una maledizione del capo indiano Charlo, costretto ad abbandonare quella terra secoli prima. Ma Len Law è un razzista pervertito, che ama spiare le ragazze ed è nipote di uno sceriffo di pessima fama, che fece cose orribili ai nativi del posto. Forse invece hanno ragione i fratelli French: semplicemente quello che un tempo i bianchi hanno fatto agli indiani ora se lo stanno facendo tra di loro, ricchi contro poveri.

Maxim Loskutoff

Maxim Loskutoff – foto di Vanessa Compton

Nessuno è innocente, in questo romanzo, nemmeno Ruthie. Nessuno scampa alle miserie personali, all’odio e al rancore, ai fallimenti e soprattutto alla sconfitta di chi si vede via via sottratto il luogo dove vive. Il paesaggio della valle, che sovrasta le vite di ognuno di loro, è al tempo stesso un custode e una vittima dell’avidità umana. Quando si trova a manifestare contro il centro di ricerca insieme agli altri abitanti  (ma molti sono comunque dei fanatici, della religione come delle armi) Ruthie scopre che “manifestare davanti al centro di ricerca era come mettersi a urlare alle poste. O sbattere la porta di un bagno pubblico. Di colpo sentì di aver scoperto un altro aspetto deprecabile del mondo moderno: era fatto apposta per far sembrare normale cose terribili”.

In un intreccio di vicende private e destini collettivi, Ruthie Fear racconta la storia di una donna che cerca un contatto con un mondo che sta correndo follemente verso la rovina.

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