Con “Essere Nanni Moretti” Giuseppe Culicchia si diverte a proporre una satira dei vizi e delle distorsioni dell’industria culturale italiana di questi anni… Su ilLibraio.it un capitolo, dedicato al “Grande Romanzo Italiano” e agli autori “di nicchia”

Prima di rivelare come si comporta il protagonista di questa storia, è necessario fare un passo indietro. Bruno Bruni è uno scrittore di nicchia. Ha esordito come poeta, poi – su consiglio del suo agente – si è dedicato alla narrativa, senza mai sfondare. Ma non si dà per vinto, e, mentre per vivere traduce opere di fantascienza cyber-punk, cerca di scrivere il Grande Romanzo Italiano, quello che farà scattare l’agognato passaparola e correrà allo Strega, quello che tutti – editori, critici e lettori – stanno aspettando. Ma più ci prova più si allontana dalla meta e si deprime davanti al foglio bianco. La sola consolazione nella vita di Bruno è Selvaggia: una ragazza d’oro, che fa la pole dancer in un locale notturno, che è libera e schietta quanto il suo nome. E che continua ad amarlo e a credere in lui ostinatamente. Fino a quando viene licenziata e la situazione si fa ancora più preoccupante.

È qui che Bruno si lascia andare e si fa crescere la barba. Gli basta una giornata per rendersi conto che al supermercato, per strada, al ristorante, in palestra, tutti lo scambiano per Nanni Moretti. Sarà Selvaggia a convincerlo a sfruttare le doti da imitatore che ha fin da bambino, a studiare la biografia e l’eloquio del regista e a trasformarsi in un suo clone. Spacciandosi per Moretti e la sua assistente, i due cominciano a girare l’Italia approfittando dell’ospitalità generosamente offerta da sindaci e organizzatori di festival, che non vedono l’ora di far assaggiare loro i piatti tipici del territorio, intrattenerli con gli avvincenti racconti della storia locale e proporsi per una particina nel nuovo film del maestro. Bruno inizia a sentirsi sempre più a suo agio nei panni di Nanni Moretti, ed è sull’orlo di una crisi identitaria che rischia di compromettere i suoi grandi progetti narrativi, quando alla coppia si presenta un’occasione irrinunciabile: un invito alla Mostra del Cinema di Venezia.

Con Essere Nanni Moretti (Mondadori) Giuseppe Culicchia si diverte a proporre una satira dei vizi e delle distorsioni dell’industria culturale italiana di questi anni, una riflessione lieve sull’identità, le aspirazioni, l’ammirazione, l’invidia e l’accettazione di sé.

essere nanni moretti

Su ilLibraio.it, per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo un capitolo:

Un classico

«Un classico, Bruno. Tu devi scrivere un classico.»
«Un classico, Mordecai? Un classico? Ma se sono cinque anni che sto cercando di scrivere il Grande Romanzo Italiano, che senso ha mollare tutto per mettermi a scrivere un classico? Con frasi tipo Quel ramo del lago di Como eccetera eccetera.»
«No, non ci siamo capiti. Dico un classico non nel senso di classico classico, come Manzoni. Dico classico nel senso dello spunto, della trama.»
«Cioè una storia con il protagonista che dà la caccia a una balena?
O che per noia uccide uno sconosciuto su una spiaggia?»
«No. Dico uno di quei romanzi in cui l’autore, che nella realtà vera è alle prese con un romanzo che non riesce a scrivere, scrive un romanzo il cui protagonista è un autore che nella realtà romanzesca è alle prese con un romanzo che non riesce a scrivere. Mi segui?
Se non riesci a scrivere ’sto Grande Romanzo Italiano, scrivi il romanzo di uno che non riesce a scrivere un romanzo qualsiasi.
Semplice, no? Lo fanno tutti, prima o poi. Volendo, te lo puoi pure giocare come divertissement metaletterario, e qualche critica la tiriamo su, vedrai. Certo non finirai in testa alle classifiche dei libri più venduti come Porscia Creso e i suoi thriller culinari con un tocco di sadomaso e una sfumatura alla Coelho. Ma magari ti recensiscono sull’”Indice dei Libri del Mese”, che su queste cose sono attenti. Bruno, parliamoci chiaro: tu in fin dei conti sei un autore di nicchia, altrimenti mica camperesti con le traduzioni. E a quelli dell’”Indice” gli autori di nicchia piacciono, si sa.»
«Uhm…» dico io, dubbioso.
«Senti un po’, non sarà che dopo tutti questi anni ti è venuta la paura del foglio bianco?» mi chiede Mordecai a bruciapelo.
«No» rispondo, secco. Poi però argomento: «Sarà piuttosto che dopo tutti questi anni mi sono un po’ rotto i coglioni di essere un autore di nicchia. Sai quanto mi ci devo rompere la testa, con le traduzioni?
È un lavoro che ti succhia una montagna di tempo e di energia. Mica sono di quelli che scrivono così, belli tranquilli, che tanto hanno alle spalle una famiglia di baroni universitari o industriali o palazzinari. E poi io non voglio scrivere un romanzo che abbia come protagonista uno che non riesce a scrivere un romanzo qualsiasi, io voglio scrivere il Grande Romanzo Italiano».
Lo sento sospirare. Faccio per aggiungere che comunque secondo me oltretutto c’è anche qualcuno che complotta alle mie spalle, ma lui mi precede: «Stammi a sentire, Bruno: tu una volta scrivevi poesie! No, dico: poesie! Sillogi. Plaquettes. Come Antonello Satta Centanin».
«E chi sarebbe?»
«Aldo Nove. Roba che non la leggeva nemmeno il tipografo che te la stampava. Altro che Grande Romanzo Italiano. Sono stato io a incoraggiarti sulla strada della narrativa, no? E a trovarti un editore piccolo ma vero, che non fosse a pagamento. Del resto sono o non sono il tuo agente? Ti fidi o non ti fidi di me?»
«Sul fatto che sei il mio agente non ci sono dubbi: mi hai messo sotto il naso un contratto che avrei dovuto leggere per esteso, anziché firmare fidandomi di te solo perché siamo stati compagni di banco dall’asilo all’università. E con questo direi che ho risposto anche alla domanda sulla fiducia. O vogliamo parlare delle tue percentuali, che soltanto dopo la firma ho scoperto doppie rispetto a quelle di altri tuoi colleghi?»
«Ma se non hai mai venduto più di cinquecento, massimo seicento copie… che ti credi? Che quel che guadagno lo guadagno grazie alle percentuali sui tuoi libri? Con tutti gli autori della mia scuderia? Ho tre premi Strega, Bruno, lo sai? Tre premi Strega e quattro Campiello. Tre premi Strega, quattro Campiello e due
Bancarella. E pure un Nonino. E ben sette, dico sette romanzi poi usciti al cinema, di cui due che hanno ottenuto una o più nomination agli Oscar. Per non parlare degli stranieri, che ho cinque Nobel, otto Pulitzer e due Goncourt. Ma siamo seri, dài. Lo sai o non lo sai che oggi nelle librerie vige il principio della redditività a metro quadro?»
«Della che?»
«Redditività a metro quadro. Ogni metro quadro di libri deve rendere un tot. E quanto vuoi che rendano i tuoi? Perché mai un libraio dovrebbe sacrificare chessò, un titolo di Roberto Saviano per esporne uno dei tuoi? A te ormai ti rappresento per pura amicizia.
Mi spiace dirtelo ma è così.»
Per qualche secondo taccio. Ma c’è più di una cosa che non mi va giù.
«A parte il fatto che l’editore che mi hai trovato si chiama Almacero, che non suona esattamente come Adelphi, dodici anni fa
ho venduto quasi mille copie di Cestelli di rabbia, per la precisione settecentottantadue.»
«Le hai vendute perché la gente pensava fosse un libro di Baricco. O una parodia.»
«Macché parodia. Era un omaggio. E tu lo sai. E piantiamola con
’sto discorso che il valore di un autore è dato dai premi. Per carità, non discuto certo i Nobel e i Pulitzer, e tantomeno i Goncourt, ma se al contrario parliamo dei tuoi Stre…»
«Scusa Bruno, ma questa lagna l’ho già sentita troppe volte. Siete tutti uguali, voi autori di nicchia: non vendete un tubo e pensate di essere dei geni incompresi, dei van Gogh della letteratura. E oltre a sentirvi immensamente bravi e altrettanto sottovalutati siete anche convinti che ci sia un qualche complotto, qualcuno che trama alle vostre spalle, non è vero?»
«Beh, guarda, se proprio ci tieni a saperlo, da parte mia l’ho sempre pensato. E già che ci siamo volevo giusto parlartene, perché a ques…»
«No, grazie. Ora perdonami ma ho davvero tanto tanto tanto tanto tanto tanto da fare. Qui a Milano siamo già tutti in pista proprio per lo Strega del prossimo anno, anche se poi come sempre si sa già chi lo vincerà.»
«Ma io…»
«Restiamo così: se e quando avrai qualcosa di più corposo da farmi leggere, o anche solo uno straccio d’idea decente, mi richiami,
va bene?»
«Ma io…»
«Ciao, Bruno.»
«Ma io…»
Sento un click.
Poi sento un tut-tut-tut.
Ha riattaccato.

(continua in libreria…)

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