Ambientati in un futuro prossimo, in cui liberarsi da certi beni (soldi, memoria, corpo) porta il sogno americano alla massima realizzazione (oppure no?), i racconti di “Perché l’America” di Matthew Baker (che diventeranno una serie tv), attraverso la speculative-fiction, ribaltano i valori Usa e portano a galla nuove forme di violenza e solitudine

Se volessimo esprimerci in stereotipi, come i personaggi di un film di azione poco prima dei titoli di coda, diremmo che gli Stati Uniti sono la terra della libertà. Potremmo poi aggiungere che la libertà americana è sinonimo di realizzazione, la particolare capacità di essere non solo ciò che si è, ma tutto ciò che si può essere: “Tra di loro c’erano quelli che ostentavano il silenzio impassibile dei loro antenati polacchi, quelli che invece ostentavano il gesticolare ubriaco degli antenati siciliani, quelli che ostentavano il cipiglio burbero degli antenati francesi, quelli che venivano dall’isola di Man e ostentavano una postura china per difendersi dal vento”.



Come indica Matthew Baker in questo estratto da Perché l’America (traduzione di Veronica Raimo e Marco Rossari, 2022), basta guardare la tribuna di un campo da football per scorgere l’intero ricettario dell’umanità. Ma il gioco del nostro autore sembra prendere un verso del tutto contrario: non si tratta più di aggiungere elementi, ma di toglierli.


Vediamo allora un mondo dove la ricchezza non è più uno status, ma uno stigma (uno status negativo). Quello che sembra affacciarsi sul genere distopico è in realtà piuttosto un caso di speculative-fiction. Supponiamo che la ricchezza esista ancora, ma che non sia più sinonimo di potere, influenza, celebrità. Solo allora possiamo seguire le giornate di una ragazzina benestante sul cui armadietto i compagni di liceo appiccicano banconote da un dollaro in segno di scherno.

Possiamo poi immergerci in uno scenario dove gli anziani, giunti a una certa età, organizzano fastose cerimonie in cui si tolgono la vita davanti ai propri cari, e li lasciano con la gioiosa consapevolezza che un mondo con meno persone – improduttive, tristi, malate – sia un mondo decisamente più giusto ed equo.

E ancora: un mondo dove il genere maschile è confinato in minuscole riserve e viene utilizzato solo per la riproduzione. Un mondo dove le persone ottengono il massimo del benessere liberandosi del proprio corpo. Un mondo dove le pene si scontano non aggiungendo anni di carcere, ma sottraendo anni di memoria.

Il sospetto è che, in questi paradisi artefatti, si ottenga più libertà con meno beni.

Ognuno di questi mondi, tuttavia, è ancora costituito di persone. E molti personaggi, semplicemente, non ci stanno. Ci sono vecchi che non vogliono morire. Ragazzine che non vogliono essere povere. Criminali che vogliono ricordare il male che hanno fatto. Tutt’a un tratto la malvagia banalità della vita americana riacquista un senso per opposizione, come se lo si potesse scorgere solo in controluce.



Non bisogna stupirsi se gran parte di questi racconti siano stati acquisiti per diventare una serie tv: se avete percepito i brividi da Black Mirror, non vi sbagliate. Pur rifacendosi in parte al realismo isterico di David Foster Wallace e a quello maniacale di John Cheever, Perché l’America trova una propria unicità nel ribadire che non sono i valori a definire una nazione, ma le relazioni. Non importa chi sia la vittima o il carnefice, finché vittime e carnefici esistono. Sottrarre un po’ di male, alla fine, non farà meno male.

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