Una nazione sconfitta. Una famiglia divisa. Una donna alla ricerca della verità. “Quello che resta”, spiazzante romanzo di Anika Scott, è la conferma che se, in guerra, il mondo si divide in vittime e carnefici, traditori ed eroi, in realtà non sempre il confine è così netto. In un intervento per ilLibraio.it, l’autrice parla del secondo dopoguerra in Germania, quando, per sopravvivere, molti tedeschi erano costretti a rubare, ed era diffuso il mercato nero. Allo stesso tempo, però, rinasceva il cinema…

Era la “Fräulein di Ferro”, la giovane e affascinante ereditiera delle fonderie Falkenberg, fiore all’occhiello del Reich nazista. Ora, un anno dopo la resa della Germania, Clara Falkenberg non è più nessuno. Col padre in prigione e le proprietà confiscate, è costretta a vivere sotto falso nome per sfuggire agli occupanti alleati. E, quando un ufficiale inglese arriva pericolosamente vicino a scoprire la sua vera identità, Clara decide di nascondersi dalla sua amica Elisa, l’unica persona di cui possa fidarsi. Ma Essen è una città distrutta ed Elisa è scomparsa.

Vagando tra le macerie, Clara incontra Jakob, un reduce che la guerra ha privato di tutto e che ora traffica al mercato nero per sfamare le sorelle. Forse lui potrebbe essere disposto ad aiutarla. Perché forse non la considera una criminale, bensì una figlia devota che ha fatto quanto era necessario per sopravvivere, nascondendo il suo disprezzo per il regime e obbedendo agli ordini per salvare l’impresa di famiglia. Forse lui la ritiene innocente, eppure è Clara che più si guarda indietro più si sente colpevole. E capisce che, se vuole davvero cominciare una nuova vita, deve prima fare i conti con quello che resta del passato e con le conseguenze delle sue azioni…

In guerra, il mondo si divide in vittime e carnefici, traditori ed eroi. Eppure il confine non è sempre così netto e, a volte, è possibile tracciarlo solo quando è troppo tardi. Perché non aver fatto nulla di male non significa aver agito per il bene, e spesso sono le azioni che non abbiamo il coraggio di compiere a gravare di più sulla coscienza. Quello che resta (Nord, traduzione di Alessandro Storti), romanzo spiazzante di Anika Scott, mostra tutte le contraddizioni di chi si è trovato all’improvviso dalla parte dei vinti, delineando il coinvolgente ritratto di una donna forte, compassionevole e severa, soprattutto con se stessa.

L’autrice, nata in una base dell’aeronautica militare dell’Illinois e cresciuta in Michigan, è laureata in Relazioni politiche internazionali e Giornalismo. Ha lavorato per anni nella redazione del Philadelphia Inquirer e del Chicago Tribune, per poi trasferirsi in Germania e diventare giornalista freelance. Nel suo intervento per ilLibraio.it, parla del secondo dopoguerra in Germania, quando, per sopravvivere, molti tedeschi erano costretti a rubare, ed era diffuso il mercato nero. Allo stesso tempo, però, rinasceva il cinema

Benedetti ladri

Nella Germania del dopoguerra, il comandamento “non rubare” non si applicava più. Le devastazioni subite durante i bombardamenti erano state tali che c’era carenza di tutto, da cibo al sapone al carbone. Per sopravvivere, molti tedeschi erano costretti a rubare. Era normale che alcuni disperati si organizzassero in piccoli gruppi e assaltassero i treni che trasportavano alimenti o carbone. Per crimini simili, nella sola Amburgo la polizia arrestava circa 7000 persone ogni due settimane. A Colonia, il cardinale Frings, che durante la guerra aveva aspramente criticato il regime nazista, si era resto conto di quanto fosse dura per la sua comunità. Pertanto aveva dichiarato che rubare non era peccato, se il furto era commesso per far fronte a bisogni quotidiani che non potevano essere soddisfatti in altro modo. Così, a partire dal suo nome, i tedeschi hanno creato un termine per definire questo tipo di furto autorizzato dalla Chiesa: fringsen.

Un’occasione per le donne

Per i nazisti, il posto della donna era la cucina e il suo compito primario era fare figli forti per il Reich. La guerra aveva cambiato tutto: con gli uomini chiamati a combattere – e a morire – al fronte, le donne avevano assunto ruoli di primo piano nel mondo del lavoro. Ma è stato solo dopo l’armistizio che le donne hanno cominciato ad assumere ruoli di potere. La socialista Louise Schröder, già prosindaca di Berlino dal 1947, è stata la prima sindaca di Berlino Ovest. Maria Tosse gestiva una vetreria, una delle prime fabbriche che gli Alleati hanno concesso di aprire dopo la guerra. E anche in letteratura è stata una donna l’autrice del primo bestseller del dopoguerra: Luise Rinser, con la sua testimonianza dei mesi trascorsi in una prigione nazista.

La burocrazia conta

Hans Huber non era un cacciatore di nazisti, eppure probabilmente ha fatto di più lui per rintracciare i criminali di guerra della maggior parte dei suoi connazionali. Huber era il direttore di una cartiera di Monaco e, nelle ultime settimane della guerra, gli è arrivata la notizia che di lì a poco avrebbe ricevuto un grosso carico destinato al macero immediato. Quando sono arrivati i primi colli – venti camion al giorno – ha visto di cosa si trattava: il registro centrale degli iscritti al partito nazista. Huber non era un nazista e ha capito subito quanto valessero i documenti che gli erano stati consegnati. Perciò ha posticipato il macero e, alla fine della guerra, ha consegnato i registri agli Alleati. Quei documenti sono diventati un’arma fondamentale durante le indagini per i crimini di guerra e per la denazificazione del Paese. Nessuna delle 8 milioni di persone elencate in quei documenti ha potuto negare di aver mai fatto parte del partito nazista.

La rinascita del cinema

Uno dei primi film che sono stati girati nella Germania del dopoguerra è stato Germania anno zero di Roberto Rossellini, in cui si racconta di un ragazzino di dodici anni costretto a vivere tra le macerie di una Berlino distrutta. Rossellini, che era anche sceneggiatore, sperava in questo modo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle misere condizioni di vita dei bambini tedeschi. Uscita nel 1948, la pellicola si è aggiudicata il premio come miglior film e miglior sceneggiatura originale al festival di Locarno. Tuttavia non è stata accolta con favore dalla Germania dell’epoca: la maggior parte delle persone cercava nel cinema un modo per evadere dalla miseria quotidiana, non l’ulteriore conferma di quanto fosse duro tirare avanti, soprattutto per i bambini.

Il mercato nero

La penuria di cibo e di altri beni di uso quotidiano è stata una manna per i trafficanti e per il crimine organizzato. Il mercato nero si è diffuso a ogni angolo di strada, in ogni piazza e in ogni ponte, luoghi in cui le persone pagavano cifre esorbitanti per un panetto di burro, un paio di scarpe, una lampadina o perfino l’insulina. Dato che il marco tedesco non aveva più valore, spesso la nuova moneta corrente erano le sigarette. Per il giusto prezzo, i trafficanti procuravano qualsiasi cosa: passaporti, diplomi falsi, perfino i documenti necessari per essere assolti durante i processi di denazificazione. Le bande rivali si scontravano per il controllo del territorio, ma tutti sapevano che la sede più grossa e più pericolosa del mercato nero era nella zona della Ruhr. Perfino la polizia osava avventurarsi lì solo se scortata dai militari.

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