Attivista del movimento per i diritti degli omosessuali e teorico degli studi di genere, a Mario Mieli è dedicato il nuovo libro di Luca Scarlini: “L’uccello del paradiso. Mario Mieli e la lingua perduta del desiderio” si colloca al crocevia tra narrazione e saggio per esplorare la vita, il pensiero e l’opera di un personaggio complesso – Su ilLibraio.it un estratto dal libro

Nato a Milano nel 1952, Mario Mieli era uno scrittore, un teorico degli studi di genere e un attivista per i diritti degli omosessuali, quando la sigla LGBTQ+ era ancora lungi a venire: figura centrale del movimento di liberazione omosessuale, sostenitore del marxismo rivoluzionario, personaggio controverso, noto soprattutto per le sue posizioni sulla sessualità infantile, è l’autore di opere come Elementi di critica omosessuale (Einaudi, 1977) e Il risveglio dei faraoni, un testo fortemente autobiografico la cui pubblicazione fu ostacolata dal padre dell’autore, spingendo Mieli, da tempo depresso, a suicidarsi a soli trent’anni.

Di Mario Mieli parla L’uccello del paradiso. Mario Mieli e la lingua perduta del desiderio (Fandango), il nuovo libro di Luca Scarlini, scrittore e traduttore fiorentino, saggista e docente della Scuola Holden di Torino e dell’Università Ca’ Foscari di Venezia: a partire dalla definizione di Mieli come “uccello del paradiso”, data dallo psicanalista e scrittore Elvio Facchinelli, Scarlini traccia un ritratto, portando alla luce gli aspetti più importanti del suo pensiero e, anche, della sua vita.

Luca Scarlini L'uccello del paradiso Mario Mieli

Il tema del desiderio, quello irrazionale e implacabile, ancestrale e soffocante, attraversa come un fil rouge le pagine del libro, così come aveva permeato le opere e l’esistenza di Mieli che, scomparso troppo giovane, ha condotto un’esistenza intensa, performativa, impregnata dall’ideologia che dava forma al suo pensiero, nella consapevolezza che ogni gesto e scelta ha un significato sociale e politico.

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Scarlini si munisce di una corposa bibliografia e, al crocevia tra saggio e narrazione, restituisce al lettore un Mario Mieli complesso, quello che ha preso parte ad alcuni dei movimenti culturali e intellettuali più importanti dell’Italia novecentesca, circondato dagli scrittori, dai registi e dai critici letterari dell’epoca, che costellano le pagine del volume; pagina dopo pagina, l’autore apre le porte su un personaggio molteplice e cangiante, che ha avuto un impatto straordinario sia sul movimento LGBTQ+ sia sul mondo culturale italiani.

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it un estratto dal libro:

La porta dell’amore

Malgrado l’aspetto aggressivo, le gesta provocatorie a ripetizione, la capacità di suscitare attenzione, lo strepitoso talento oratorio, la lettura marxiana, rigorosissima, di tutto quello che il capitale trasforma in merce, in Mario Mieli torna spesso la ricerca dell’amore come filo conduttore di tutta l’esistenza. Vi è quindi sotto l’aspetto del performer, sempre in scena, una visione assai diversa, più dolce. Platonicamente, solo tramite il delirio (mania), l’uomo può riconoscere la verità, la realtà dell’amore, Diotima di Mantinea (da lui ribattezzata “la divina di Magic City”) nel Simposio è una figura dell’immaginazione con cui lo scrittore si confronta. Marc de’ Pasquali, amica carissima, così sintetizza la sua visione in Biondo spinto (1995) nel raccontino dal titolo Marzo: “Mario ha lasciato una impronta nella storia. Scritta azzurra s’un palo della luce in via Lorenzo Valla – umanista del ’400. Ognuno ha il proprio Mario e la propria storia, la mia era piena di miele”. Prima di lui nel ’900 italiano il tema dell’amore come ragione di vita è stato di fatto assai poco battuto, anzi quasi sempre messo tra parentesi, quando non deriso. Si registra una sola eccezione, estrema, e altrettanto discussa, non per caso mai entrata fino in fondo nel regesto novecentesco. Sibilla Aleramo, per solito inserita nel canone solo per via della protesta femminista di Una donna (1906), è stata la sola a poter intitolare un libro Amo dunque sono (1927), inserendo nella tessitura del testo le lettere del suo compagno Giulio Parise, narrato con lo pseudonimo di Luciano. Così si inaugura quel libro: “Felicità e spasimo – nello spirito e nelle vene, come quando ci baciavamo nel bacio terribilmente erano adunate tutte le forze della nostra vita, crudeli, folli, grandi”. L ’autrice fu l’unica nel Belpaese a narrare in toni espliciti la sua passione per una donna, la bella Cordula, detta Lina, Poletti, “maschia fanciulla” con cui intrattenne un ricco carteggio, che compare nelle vesti di “Favola” nel lirico romanzo Il passaggio. La sua autobiografia detta il ritmo della prosa, fino al postumo Un amore insolito. Diario 1940-1944, in cui ripercorre il complesso legame che unì lei, sessantenne, al ventenne poeta marchigiano Franco Matacotta. Una relazione complessa, a strappi, che pure durò assai, per un decennio e che alimentò anche la scrittura di lui, in un romanzo affannoso, complesso, dal titolo La lepre bianca, in cui la vicenda diviene in primo luogo una lettura psicanalitica, per simboli, di un amore inviso al mondo. Mario Mieli, in tutt’altra modalità, culturale e letteraria, dichiara altrettanto la propria radicale volontà di dedicarsi all’amore e alla sua magica centralità.

La porta del marxismo

Mario Mieli è stato un lettore profondissimo di Marx, di cui ha dato una visione inedita, spostando la teoria del feticcio delle merci verso il territorio del desiderio, verso i riti del corpo. Nel momento in cui in Italia la sinistra contesta in tutti i modi il mondo omosessuale che non si nasconde più, chiedendo maggiore sobrietà a chi manifesta con i boa e i tacchi a spillo e un consentimento con la visione più “accettabile” di Angelo Pezzana, Elementi di critica omosessuale entra nel sancta sanctorum della virilità italiana comunista, saldamente fissato sul modello di Peppone-Gino Cervi, macho e padre di famiglia, con le perle, gli occhiali da diva e L’Air du Temps di Nina Ricci, profumo fruttato, gradito alla madre dello scrittore e da lui assai amato, che si vendeva nel caratteristico flacone rotondo dal gusto art nouveau, con un tappo adorno di due uccellini svolazzanti. Al tempo dei Com, Mieli si sente più vicino all’esperienza di autonomia operaia, di cui frequenta clamorosamente le riunioni in drag, che non al Pci che rampogna i collettivi omosessuali. Lo stesso anno di Elementi esce in libreria Corpo e rivoluzione in Marx, opera di Luciano Parinetto, docente di cui Mieli ha frequentato le lezioni alla Statale, figura eterodossa che transita dalle pagine della marxistissima rivista Acme verso la assai più multiforme Erba Voglio. Alla fine del marxismo ortodosso, il filosofo inaugura il suo saggio con una lunga e celebre citazione da Walt Whitman sulla grandezza del corpo, per approdare a un celebre pezzo sulla merda tratto dal libro, assai influente, Trois milliards de pervers. La grande encyclopédie des homosexualites, coordinata da Guy Hocquenghem, e uscita con clamore nel 1973, sotto l’egida di Gilles Deleuze. Nel momento in cui la sinistra ufficiale accetta l’alienazione dell’uomo-massa come fatto incontrovertibile, in cambio di un’accettabilità sociale, Mieli e Parinetto dichiarano la necessità assoluta del corpo, quando Nanni Moretti dichiara il suo fallimento come interprete in Io sono un autarchico in cui il suo alter ego dichiara dopo una faticosa lettura di un passo marxiano: “Ma qui non sto capendo niente, forse ho sbagliato ideologia”. Parinetto e Mieli, in forme diverse, propongono la dimensione anale come rivolta. Così si conclude la prefazione di Corpo e rivoluzione: “Il privilegiamento in questo testo, di quella che freudianamente si definisce fase anale, si fonda sul fatto che è in essa che originariamente l’autocoscienza si riconosce coatta dall’estraneo e su questa coazione si vanno originando, nel profondo, anche il lavoratore alienato, il capitalista e il capitale e con essi il tempo alienato, che, a sua volta, è una estraneazione della merda: iniziando come suo coatto controllo”. Chiosa poi nel finale l’autore, riassumendo bene una situazione di attacco agli outsider, agli artisti non allineati, ai maestri dell’eros, di cui l’autorità italiana negli anni ’70 esercitava copiosamente il copyright. Tra atti di censura, processi per oscenità ( Ultimo tango, Salò ecc.), il micidiale caso di Aldo Braibanti, arrestato e incarcerato per plagio sfruttando una legge del codice fascista Rocco, e altri metodi coercitivi, moltissimi furono gli atti di intolleranza verso un pensiero differente, sempre incentrato invece sulle glorie, estreme, del corpo. “In un paese incivile – come il nostro – dove, non potendo più bruciare i corpi degli uomini, si bruciano, tuttavia – come nel vero inferno – le loro anime (le loro oggettivazioni estetiche e concettuali, le loro opere, come ad esempio è accaduto ai film di Pasolini e Bertolucci) dove – in un perpetuo ballo in maschera – giudici (che non giudicano le stragi) indossano il saio dell’inquisitore e psicanalisti la toga del giudice, potrebbero non mancare strabici occhi inquisitoriali anche per pagine in cui, come in queste, evangelicamente si dice culo al culo.” Parinetto risulta profondamente allineato con Mieli anche nella questione della possibilità di rivelare l’alchimia al mondo, tentazione ricorrente nell’autore de Il risveglio dei faraoni, e sempre allontanata, come tradimento di una parte profonda di sé, che compare in tutti gli scritti, ma per cifra, per allusione, per metafora. Mieli recensisce assai positivamente il volume su Lambda (n. 7, 1977): “È un libro aperto, ricco di spunti interessanti e di argomentazioni efficaci, vera miniera d’oro di citazioni e di riferimenti teorici utili a chi intenda portare avanti una ricerca critica gaia e nel contempo seria, lontana dai pregiudizi sclerotici”.

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