Chi c’è dietro la maschera di Anne Sexton (1928-1974), la poetessa bellissima e dannata, straordinaria figura letteraria del Novecento? Prova a raccontarlo la biografia romanzata “Dio nella macchina da scrivere” di Irene Di Caccamo – Su ilLibraio.it un capitolo

Chi c’è dietro la maschera di Anne Sexton (1928-1974), la poetessa bellissima e dannata, straordinaria figura letteraria del Novecento? Come superarne lo stereotipo di donna volubile, egoista, dolce, furiosa ed erotica, per arrivare al nocciolo della sua identità e ricostruire la complessità di una vita così estrema e contraddittoria?

Attraverso sottrazioni e tentativi, costeggiando nel romanzo una nuova forma di verità. In un continuo sconfinamento fra realtà e immaginario, il romanzo biografico Dio nella macchina da scrivere (La Nave di Teseo) di Irene Di Caccamo (doppiatrice e dialoghista romana, classe ’67, già autrice de L’amore imperfetto) indaga liberamente il personaggio di Anne Sexton entrando in connessione con la passione, con l’autentico, con il dolore e l’urgenza della parola, per lei forma di terapia e unica risposta possibile al disagio e al caos emotivo che l’hanno attraversata.

Il libro è una riscrittura personale e intima dei suoi giorni, condotta in prima persona e dal punto di vista di Anne, e vuole essere un omaggio e un vero atto di tenerezza verso una poetessa modernissima, schietta e intensa, che, nel bisogno ossessivo di trovare “una voce”, ha stabilito il suo scarto da ogni possibile definizione e la misura irriducibile della sua vita.

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:

È arrivata l’estate e sono profondamente sola e a dispetto dei premi che mi hanno dato e del pubblico che ogni volta mi acclama, non so che farmene del successo. Le mie figlie vivono in un college e si tengono a debita distanza, forse è stato il loro psichiatra a suggerirlo o quello del loro padre.

Quando il mio ultimo amante torna da sua moglie e capisco che sono stata solo di passaggio, scrivo per lui una poesia feroce, e arrivo a sentirmi disperata come mai prima nella mia vita.

Forse è per l’alcool che cado in trance sempre più spesso. Stanotte Rosa è entrata in casa per prendere alcune cose che aveva lasciato e mi ha trovato svenuta sul pavimento. A quel punto ha subito chiamato sua sorella e si è consultata sul da farsi, poi mi ha portata in un ospedale e dopo qualche ora con una scusa è andata via di nuovo.

Qui rimango sola tutto il tempo, e appena mi riprendo al primo dottore che mi visita, dico.

“In me c’è una ferita che nessuno ha mai guarito.”

In cinque giorni di ricovero mi sottopongono anche a un elettroencefalogramma, ma escludono l’epilessia e in più i disturbi al campo visivo. Io sprofondo in un pozzo nero anche se il mio cervello è sanissimo. Quando torno a casa però non c’è nessuno ad aspettarmi e mi viene subito il panico e non riesco a controllarmi. Chiudo gli occhi e so soltanto che non c’è più mio marito a rimettere insieme i pezzi. Prendo immediatamente un cocktail di tranquillanti con vodka dopo cena e finisco ricoverata una notte intera.

La sera successiva ci riprovo con una dozzina di pillole di chinidina.

*

È una tregua l’istituto e i pensieri si acquietano mentre cammino. Solo pareti imbiancate e intorno silenzio, un silenzio continuo. Qui devo imparare a risillabare ogni cosa e tutto ha un significato diverso. Resterò stavolta almeno un mese intero.

Scopro un’altra Anne nella mia vita, nella mia stanza. Anne dice sempre il suo nome, e pure dice sempre il mio, io sono Anne e lei è Anne, non è sua la colpa se in sorte abbiamo lo stesso nome e questa camera dove dormiamo. Mi chiama e si perde in parole uguali e il suo pensiero è in questa fissità che rassicura. Rimaniamo tra questi confini, le finestre hanno sbarre che sembrano ricami gentili. A volte faccio cose quando ne ho la forza, ma lei pretende sempre tutto con una determinatezza che stanca, e in certi momenti non ne posso davvero più di ascoltarla.

Anne stasera muore delle mie parole, si soffoca di parole rilasciate e quiete sui fogli. Ha preso le pagine che tenevo nascoste e ha aspettato che mi addormentassi, poi le ha messe in bocca e adesso vuole togliersi il respiro e morire così. Chiamo immediatamente le infermiere. Ci mettono un tempo infinito ad arrivare.

La visita è finita e il personale torna a girare tra noi, le mie figlie mi lasciano incerte, Rosa si volta a guardarmi. Il cielo si squarcia e un sole estivo lo trapassa, l’erba in giardino accoglie i passi e l’odore mi respira sulla faccia. La primavera regala foglie nuove e fiori che colorano i rami, che spuntano con forza da questa terra nuda. Non credo di esagerare a dire che ho due figlie meravigliose, risparmiate, vive.

Cammino con un sentimento di fondo che non mi abbandona più e faccio quello che devo fare. Capisco solo ora che il mio divorzio è stato una vera tempesta. Adesso però ho bisogno di ritornare alla scrittura e a ciò che mi occupi la mente.

La verità, la fine del mondo.

(continua in libreria…)

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