Per chi studia la storia delle lingue gli errori sono una benedizione… – Su ilLibraio.it un estratto da “L’eccezione fa la regola – Sette storie di errori che raccontano l’italiano”, sorprendente saggio di Matteo Motolese

Dubbi e paura di sbagliare accompagnano spesso il nostro uso della lingua. Quando parliamo, quando scriviamo. Eppure, per chi studia la storia delle lingue gli errori sono una benedizione: sono la traccia che rivela una tensione latente, il fossile che permette di ricostruire un suono perduto, la linfa vitale che spinge le lingue verso il loro futuro.

Dopo aver raccontato in Scritti a mano la letteratura italiana a partire da otto celebri manoscritti, in L’eccezione fa la regola – Sette storie di errori che raccontano l’italiano (Garzanti) Matteo Motolese, che insegna Linguistica italiana all’Università La Sapienza di Roma e dirige, insieme con Emilio Russo, il più importante censimento dei manoscritti autografi degli scrittori italiani, guida il lettore alla scoperta dell’importanza degli errori nella storia dell’italiano. Dalle trascrizioni imperfette delle poesie della corte di Federico II alle celebri edizioni di Aldo Manuzio, dalle sgrammaticature di Manzoni fino al correttore di Word, queste sette storie ci conducono in un viaggio lungo oltre dieci secoli alla fine del quale anche chi una volta ha scritto quore potrà sentirsi meno solo…

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto dal capitolo “Fuori dalla letteratura”, il quinto, dedicato ai Promessi Sposi di Alessandro Manzoni:

(…) Nella storia dell’idea di errore, di come sia cambiata la percezione del rapporto tra ciò che è considerato giusto e ciò che è considerato sbagliato, quello che Manzoni mette a fuoco nel lavoro sui Promessi sposi ha costituito una frattura i cui effetti vediamo ancora oggi. La sostituzione di un modello scritto, letterario, tradizionale, con uno legato al parlato, alla dimensione reale e concreta della lingua ha determinato un cambiamento profondo. Se oggi noi ragioniamo sulla grammatica in un modo più flessibile, meno rigido, più attento alla realtà delle diverse situazioni comunicative lo dobbiamo anche alle scelte compiute da Manzoni quasi due secoli fa.

È l’effetto di un processo graduale che non riguarda solo I promessi sposi, naturalmente, ma che ha nella revisione del romanzo il suo punto di partenza più visibile. Questo si deve anche al fatto che, come abbiamo detto, I promessi sposi diventano il libro di riferimento della scuola dopo l’Unità d’Italia.
Almeno a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento, l’impostazione manzoniana si fa sempre più presente nelle prescrizioni grammaticali. Nello sforzo di rendere possibile una condivisione della pronuncia fiorentina fuori dalla Toscana, ci sono grammatiche che arrivano addirittura a inserire segni specifici per indicare le vocali aperte e chiuse oppure la pronuncia della cosiddetta gorgia.

Non sempre le innovazioni grammaticali del romanzo sono accolte pacificamente: ci sono grammatiche che continuano a prescrivere solo le forme tradizionali; altre che affiancano le forme tradizionali a quelle moderne. La resistenza a promuovere l’uso di lui lei loro soggetto è molto forte e rimarrà tale ancora a lungo. L’inversione di rotta impressa da Manzoni è però evidente: il modello esclusivamente scritto, letterario, basato sulla lingua d’autore, smette di essere l’unico possibile. Una diversa idea di grammatica si comincia a diffondere: più legata alla vita reale, alla gente, a ciò che accade fuori dalla letteratura. Un modo nuovo di guardare alla lingua che proprio la letteratura – per l’ultima volta – aveva contribuito a creare.

(continua in libreria…)

Abbiamo parlato di...