“Come sarebbe il mondo se gli uomini potessero esprimere, anziché reprimere, la paura?”. Su ilLibraio.it un capitolo (dal titolo “Libertà di essere fragili”) da “Maschi che piangono poco”, nuovo libro dello psicologo e psicoterapeuta Alberto Penna, già autore del “Manifesto per le emozioni maschili”
“Come sarebbe il mondo se gli uomini potessero esprimere, anziché reprimere, la paura?”.
Psicologo e psicoterapeuta, docente della Scuola di psicoterapia Mara Selvini Palazzoli, Alberto Penna si occupa di formazione e supervisione da oltre vent’anni.
Durante la sua carriera da terapeuta (con l’impiego di un metodo che coinvolge le emozioni e il corpo), ha divulgato l’importanza e l’attenzione per il lato emotivo dell’uomo, attraverso il suo Manifesto per le emozioni maschili, e ora, non a caso, pubblica per Garzanti Maschi che piangono poco.
A partire dall’osservazione di casi clinici e di esperienze personali, Penna punta a dimostrare che, per aiutare la nostra società, è necessario partire innanzitutto dall’educazione: accettando senza vergogna le proprie fragilità e sviluppando con le proprie emozioni un rapporto sano e maturo, bambini e ragazzi impareranno infatti a elaborare con successo frustrazioni e sconfitte, pronti a diventare, così, uomini finalmente liberi.
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In tutto il mondo, del resto, i suicidi maschili sono almeno il doppio di quelli femminili mentre il numero di donne uccise dai propri compagni si fa sempre più allarmante.
Perché? Per l’autore, questi comportamenti non siano connaturati all’essere maschi, ma il risultato di un’educazione che spinge i bambini a nascondere il proprio dolore. Fin dai tempi più antichi, la fragilità dell’uomo è stata considerata un tabù, e ciò ha finito col generare un vero e proprio handicap emotivo: negare la tristezza e la paura significa infatti aumentare la sofferenza, lasciare spazio alla solitudine, all’aggressività e alla violenza – contro sé stessi e contro gli altri.
Di fronte alle ricadute più drammatiche di questa tendenza, siamo chiamati a invertire la rotta. Come?
Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un capitolo:
Libertà di essere fragili
Nel settembre 2022 il grande tennista Roger Federer ha dato l’addio al tennis disputando l’ultima partita della sua carriera con l’avversario di una vita, Rafael Nadal. Quella partita è entrata nella storia del tennis, e chi vi abbia assistito, dal vivo o in televisione, avrà potuto riconoscervi i tratti di una vera e propria celebrazione, quasi di un rito collettivo. Le foto di Federer e Nadal in lacrime, a volte mano nella mano, hanno fatto il giro del mondo. Anche un calciatore italiano, Leonardo Bonucci, al tempo capitano della Juventus, scelse di ripostare quelle immagini su Twitter (oggi X), accompagnate da un messaggio di sostegno. Esempi come questi esistono e risplendono come fari, illuminando la notte del mondo emotivo circostante. Per questo vanno notati ed emulati in quanto modello culturale e di libertà.
Non a caso «libertà» è la parola che dà il titolo a questo capitolo. Non amo costringere nessuno a mettere in atto comportamenti che pure considero positivi: esiste il libero arbitrio, ed è giusto così. Auspico che gli uomini diventino capaci di liberarsi dalle gabbie emotive, ma resto rispettoso di chi non lo vuole fare, proprio perché credo nella libertà. La libertà è un mezzo potente, che ci permette di esprimerci come ci sembra opportuno, purché senza far male a nessuno. Oggi la libertà è l’elemento carente nell’espressione della vulnerabilità. Per dare a tutti la possibilità di decidere come comportarsi ho cercato di descrivere cosa succede realmente nella profondità del mondo emotivo maschile. Spero che questa sia un’informazione che trasforma il modo di fare e di vivere di chi mi sta leggendo, ma non posso saperlo. Almeno, mi preme informare per permettere che la scelta sia libera. Rispettando il volere di ciascuno, mi piacerebbe vivere in un mondo in cui tutti, uomini compresi, si sentono liberi sia di provare sia di esprimere le proprie emozioni.
Il principale ostacolo alla condivisione delle emozioni maschili è, a sua volta, un’emozione: la vergogna. Gli uomini si vergognano di mostrarsi spaventati, rattristati o teneri. Certo, non tutti e non sempre: parliamo qui di una tendenza generale. Sta di fatto che la vergogna è la pietra tombale della nostra umanità.
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Qualche tempo fa, al funerale di un amico, un signore sull’ottantina che conosceva la famiglia lesse con calore, alla fine della messa, una lettera molto bella e affettuosa rivolta al defunto. In un paio di momenti apparve visibilmente commosso. Fuori dalla chiesa lo raggiunsi per dirgli quanto avevo apprezzato le sue parole e così pure l’emozione che le aveva rese autentiche. Sua moglie, presente in quel momento, non si trattenne dal commentare ripetutamente: «Che figura». Ecco in che modo all’individuo viene sottratta la libertà di esprimersi, quella libertà che Ulisse e Gilgameš invece avevano, quando piangevano gli amici morti senza provare per questo imbarazzo o vergogna. La libertà è insidiata dal modo con cui le persone che ci circondano legittimano o inibiscono le nostre emozioni. In particolare dal modo in cui si pensa che gli uomini debbano nascondere la propria vulnerabilità, che è invece un elemento del tutto umano. Questo invito al silenzio si manifesta non con gesti eclatanti, ma con frasi appena pronunciate, sguardi di disapprovazione, mugugni, o attraverso lo stesso silenzio. Se la moglie di quell’uomo si fosse trattenuta dal commentare «Che figura», la libertà di suo marito sarebbe stata maggiore, e lui avrebbe accolto forse con minor timidezza il mio apprezzamento.
A un matrimonio, invece, a un mio amico capitò di assistere a una scena molto diversa: nel corso della celebrazione lo zio dello sposo lesse una lunga lettera, piangendo come una fontana dall’inizio alla fine, senza tentennare, senza scusarsi e anzi accogliendo le proprie lacrime come parte integrante del discorso. Il mio amico gli chiese poi come si fosse sentito in quel momento: lui spiegò che aveva avuto voglia di dire proprio tutto e di lasciarsi andare, succedesse quello che doveva succedere. Un bel modo di essere coraggiosi rispetto alle nostre vulnerabilità. Un bel modo di vivere la nostra umanità e di sentirci vicini.
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Ancora un ultimo aneddoto, che stavolta mi riguarda personalmente. Quando ero giovane, molto giovane, mi trovavo a casa di un amico e stavo giocando con il suo cane, quando vidi uscire dalla stanza in cui sua madre dava lezioni di piano una bellissima ragazza, che conoscevo di vista. Ricordo di essermi sentito in imbarazzo davanti a lei per il solo fatto di essere sorpreso a giocare con un cane, seduto per terra a «fare il tenero», a mostrare un comportamento di cura. Un caro amico mi disse invece che non dovevo essere per niente imbarazzato, tantomeno dovevo vergognarmi. Mi disse che, anzi, le ragazze intelligenti apprezzano quando un ragazzo sa prendersi cura degli altri, sa mostrarsi tenero. Sono passati circa quarant’anni da quel momento, e ricordo ancora quei due scambi. Non credo di avere mai ringraziato il mio amico, ma lo farò senz’altro dopo aver permesso a questa scheggia del mio passato di raggiungermi e raccontarmi la sua importanza. Conosco il mio passato e so bene quanto fossi allineato alla cultura dominante, a quel tempo.
Che mondo sarebbe se gli uomini fossero liberi? Come potrebbe essere se la maggioranza degli uomini fosse capace, come lo sono le donne, di mostrarsi premurosa, amorevole, attenta ai bisogni degli altri? Come cambierebbe la vita di ciascuno di noi se anche gli uomini potessero esprimere la propria tristezza e chiedere conforto a mogli, amici, fratelli? Quanti abbracci e quanti bei momenti in più ci sarebbero, invece di rabbia, irritazione, isolamento e stress? Come sarebbe il mondo se gli uomini potessero percepire, e non reprimere, la paura? Quanti rischi in meno correremmo, quante morti ci risparmieremmo grazie alla prudenza suggerita dalla paura? E quanto sarebbe bello se la solitudine fosse drasticamente ridotta, e non imprigionasse gli uomini nei loro momenti peggiori, condannando tante, troppe persone alla solitudine e al suicidio?
Immaginate di essere un astronauta sulla Stazione spaziale internazionale, nel momento in cui osservate il nostro pianeta dalla famosa cupola, il locale con tanti grandi oblò che incanta chiunque. Immaginate di poter guardare giù, sapendo che miliardi di uomini e donne, giovani e vecchi, sono tutti liberi di sentire, elaborare e mostrare le emozioni che li attraversano. Immaginate cioè un mondo più rispettoso, più attento alla cura di chi ha bisogno ed è in difficoltà, più pronto a stringersi con affetto nei momenti di tristezza e di paura.
(continua in libreria…)
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