“WhatsApp, applicazione usata e abusata…”. Nel mondo della scuola si è tornato a discutere delle chat di classe e di quelle tra genitori e docenti. Su ilLibraio.it l’ironia di Valentina Petri, insegnante e autrice, che torna in libreria con “Vai al posto”

La scuola funziona più o meno così: capitano cose. Tante cose. Poi qualcuna fa più rumore di altre, in genere quelle sbagliate. Ne segue un grande dibattito pubblico perché la scuola è uno di quei temi che toccano tutti, processo per direttissima sui social, divisione in fazioni degna dei comuni medievali, levata di scudi, legiferazione tardiva in merito, altre polemiche, nuove divisioni e via polemizzando fino al tema successivo, che può essere l’esagerazione dei compiti delle vacanze, gli insegnanti che fanno tre mesi di ferie, i crocifissi, i concorsi, le mascherine con l’elastico scomodo che non mette nessuno.

Adesso sul banco degli imputati ci è finita WhatsApp, applicazione usata e abusata nelle comunicazioni scuola famiglia. Io direi che, per parlarne, dovremmo prima stabilire che il 2020 non conta, fa caso a sé.

Il delirio digitale della primissima ondata pandemica che ci ha visti, specialmente all’inizio, tentare disperatamente e con ogni mezzo di mantenere un legame. Sono stati mesi, quelli, in cui è stato lecito usare tutto, piccioni viaggiatori, messaggeri a cavallo, walkie talkie e razzi di segnalazione d’emergenza, qualunque cosa pur di mantenere un filo con i ragazzi rimasti chiusi nelle camerette, soprattutto quelli più a rischio e che non si riuscivano ad acciuffare con altri mezzi. À la guerre comme à la guerre.

Con il tempo le cose sono migliorate. I contatti via chat che mi sono rimasti con gli studenti sono sempre del solito tenore: “prof, non sto bigiando, il pullman è in ritardo, giuro”, “prof, mi scusi se la disturbo, volevo sapere se per caso lei potesse spostare la verifica, immagino di no, vero?”, “prof mi rimanderebbe il link che non riesco a entrare nella call” e il bellissimo “prof, sono negativo, adesso mando il foglio a scuola ma da domani ci sono”.

Spero che fra le comunicazioni d’emergenza concesse dall’associazione nazionali presidi queste continuino a rientrare, insieme ai meme sugli autori del programma che stiano affrontando. Ho ancora salvata nella galleria del telefono l’immagine di Foscolo e Wolverine affratellati dalle stesse basette e il messaggio di un alunno “scusi, prof, ma questo dovevo mandarglielo”.

A perdere il controllo, però, io credo siano stati gli adulti. Se con il passare del tempo e il ritorno sui banchi, l’uso ragionato delle piattaforme e il contatto visivo ci ha privati di quei mille messaggi e fotografie e compiti scritti a mano  istoriati come codici miniati e fotografati e inviati con modalità digitalmente fantasiose alle ore più improbabili (anche perché in lockdown le ore erano tutte uguali); quelli che davvero sono da tenere sotto controllo siamo noi grandi. I genitori. Ed è giustissimo metterci un fermo, tante scuole l’hanno fatto subito, prima di ritrovarci tutti a doverci giustificare anche nell’arena delle chat per un voto basso assegnato. O a dover spiegare che sì, il numero degli errori era lo stesso, però il piano didattico personalizzato di uno studente ci fa tenere conto di altri fattori e che no, signora, non lo rimettiamo nel banco con quell’altro, il suo figliolo, perché insieme sono come nitro e glicerina. O discutere del perché la verifica sia stata fissata lo stesso giorno di quella di matematica o di come si sia deliberato che quella certa classe del genio guastatori non parteciperà ad un’attività. Il bello dei canali istituzionali è che sono meno immediati e obbligano a pensarci un attimo, prima di irrompere con richieste, commenti, pretese.

Ci ricordano che abbiamo tutti un ruolo da rivestire, quello degli adulti, e che i ragazzi guardano noi per capire fino a che punto si possa arrivare e dove invece ci siano i paletti da rispettare. Spendiamo un sacco di tempo a spiegarle queste cose, in classe, a ribadire che ciò che è scritto non si cancella, che ciò che è stato inviato può sempre essere salvato, inoltrato ad altri, decontestualizzato. Sta a vedere che aveva ragione quel mio studente che a lezione, una volta mi ha chiesto “prof, posso uscire un attimo? devo rispondere, è mia mamma, mi ha già mandato 20 messaggi”. “Non sa che sei a scuola?” gli ho chiesto. “Prof, guardi, dite tanto ai ragazzi, ma alla fine il telefono bisognerebbe levarlo ai genitori”.

Vai al posto

L’AUTRICE  – Valentina Petri vive a Vercelli, dove insegna lettere all’istituto professionale Francis Lombardi. Dal 2017 condivide le sue storie di scuola sulla pagina Facebook Portami il diario. Che ha dato anche il nome al suo primo romanzo, in libreria per Rizzoli. Un libro in cui racconta la scuola dal punto di vista (autoironico) di una prof di lettere in un istituto professionale.

Nel 2022 è tornata in libreria con Vai al posto (Rizzoli), una storia di ordinaria follia, che ci racconta come, tra tutti gli insegnamenti che ci dà la scuola, lo stare insieme è senza dubbio il più bello. Un libro che nasce dalla volontà dell’autrice di restituire un anno di scuola normale, in cui si sta insieme a volto scoperto, attraverso il potere delle parole.

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