La riflessione di Valentina Petri, docente e autrice, che si sofferma sulla media generale che appare sul registro elettronico, “un numero assurdo e inutile, e lo dico da insegnante”. La media di tutti i voti di tutte le materie, così, senza altro criterio, “è solo un numeretto frutto di un calcolo matematico malfatto…”

Serate di feste, tavolate di amici. E i tavoli dei bambini. Quei luoghi effimeri, come ai matrimoni, dove sconosciuti minorenni con la sola colpa di avere genitori che si conoscono (o che fingono di conoscersi dopo un quattro prosecchi a stomaco vuoto) convivono per lo spazio di una sera e imparano la difficile arte della conversazione.

Ammesso che il wi-fi non prenda, altrimenti capita di vederli tutti immersi nei propri telefoni.

Per questo sorrido bonaria quando, transitando accanto al tavolo dei bambini in una pausa digestiva tra una portata e l’altra, sento due ragazzini, databili intorno alla seconda media, sussurrare “a te, ti si è alzato?”.“No”, dice mogio mogio l’altro, mortificato. “A me sì, si è alzato eccome!”, si pavoneggia il primo.

Sarà deformazione professionale. Sarà che ero al quarto prosecco. Ma arrossisco e allungo il passo perché non voglio sapere oltre. Invece poi sento uno dei due dire “ti faccio vedere!” e allora lì decido che è l’ora di intervenire perché insomma, va bene confrontarsi, ma non vorrei mai che si arrivasse alle misurazioni e all’esibizionismo.

I dodici anni sono un’età un po’ sciocchina. (Anche i venti. I trenta. I quaranta, i cinquanta… vabbè.) E invece tirano fuori il telefono, e prima che io possa preoccuparmi di star per sbirciare cose inopportune, vedo la rassicurante videata del registro elettronico.

La riconosco al volo, è quella che uso io, da insegnante e da genitore. È un’applicazione a cui ho dedicato molti dei miei migliori monologhi, per le ragioni più disparate. Ma veniamo ai due virgulti in vena di emulazione reciproca, i due boys in piena ansia da prestazione.

Realizzo in un attimo di cosa stessero parlando, cos’è che doveva essersi alzato. Il voto. Il voto della media generale.

Il numeretto che ti appare appena accedi, che ti dice se vali 8,3 oppure 5,9 oppure 6,7. Un numero assurdo e inutile, e lo dico da insegnante, perché so benissimo che fare la media di tutti i voti di tutte le materie, così, senza altro criterio, è criminale.

Perché c’è il collega che fa dodici verifiche a quadrimestre, e quello che ne fa due, perché c’è chi dà tre valutazioni a verifica tenendo in considerazione cose diverse e chi invece inserisce un voto che è già una media.

Perché c’è chi dieci non lo dà e chi sì. E perché i voti non sono i ragazzi. La stramaledetta media che si mostrano con orgoglio, e di cui discutono nelle chat, e con cui si prendono anche in giro, è solo un numeretto frutto di un calcolo matematico malfatto.

La prima cosa che faccio quando mi chiedono “lei come fa la media prof?” è andare alla lavagna e scrivere 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8. E poi 8, 7, 6, 5, 4, 3, 2. Li sommo, danno sempre trentacinque. Divido per sette, fa sempre cinque.

Un ragazzo che è partito dal due ed è arrivato a prendere otto deve avere la stessa media di uno che è partito dall’otto ed è arrivato a prendere due?

Oltre a chiedersi cosa sia successo nel mezzo, che è la cosa principale, io l’insufficienza a uno che mi fa una ripresa così, che manco Rossi Tardelli Altobelli, non la darei mai.

La aggiusto, la correggo come faccio con la grappa nel caffè. Perché ci sono l’impegno, la serietà, la partecipazione, la costanza, la tenacia.

In quel numero ci devono stare dentro i progressi fatti e le paure vinte. Deve sintetizzare un percorso, non essere un marchio di qualità o d’infamia.

Ma con la media del registro impietosa e spietata i ragazzini ci giocano, controllano se la prof ha caricato dei voti la sera di Capodanno (a proposito di ansia da prestazione, dovrei correggere due pacchi di verifiche) sentendosi migliori per uno zero virgola, e prendendosi in giro per un virgola nove.

Senza stare a guardare il come, il cosa, il perché.

Il voto va benissimo, ma deve avere un senso e se ce l’ha va spiegato, altrimenti sembra soltanto un numero della tombola, quel rito un po’ trito che fanno al tavolo dei grandi. Dove, alla fine, non si vince niente.

Vai al posto Valentina Petri

L’AUTRICE  – Valentina Petri vive a Vercelli, dove insegna lettere all’istituto professionale Francis Lombardi. Dal 2017 condivide le sue storie di scuola sulla pagina Facebook Portami il diario. Che ha dato anche il nome al suo primo romanzo, in libreria per Rizzoli. Un libro in cui racconta la scuola dal punto di vista (autoironico) di una prof di lettere in un istituto professionale.

Nel 2022 è tornata in libreria con Vai al posto (Rizzoli), una storia di ordinaria follia, che ci racconta come, tra tutti gli insegnamenti che ci dà la scuola, lo stare insieme è senza dubbio il più bello. Un libro che nasce dalla volontà dell’autrice di restituire un anno di scuola normale, in cui si sta insieme a volto scoperto, attraverso il potere delle parole.

Qui i suoi articoli per ilLibraio.it.

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