“Continuo a leggere reportage sui giovani e a vedere servizi al tg che parlano dei giovani alle prese con la Dad e l’isolamento… e ho deciso di chiedere direttamente ai miei studenti se si sentono, o meno, rappresentati dai media…”. Su ilLibraio.it la riflessione di Valentina Petri, insegnante e autrice di “Portami il diario”, che racconta i risultati (confortanti, nonostante le non poche difficoltà) del suo “esperimento”

Continuo a leggere reportage sui giovani e a vedere servizi al telegiornale che parlano dei giovani. Ogni giorno ne esce uno nuovo.

Sono di due tipologie, essenzialmente: quelli che raccontano una generazione di scapestrati disillusi che cercano di aggirare le regole, assembrandosi per sfidare le autorità e mettendo in atto ogni astuzia per sfangarla con la dad, e quelli che li dipingono come una generazione di reclusi, ligi alle regole, depressi per colpa della didattica a distanza brutta e cattiva che spersonalizza, che impone soltanto verifiche e che non prevede altro che un travaso di contenuti.

Così ho chiesto lumi ai miei ragazzi, che mi sembrano un campione magari non rappresentativo, ma quanto meno sono adolescenti e sono le persone più adatte da tirare in causa. Ho chiesto loro se si sentissero davvero rappresentati dai media. E visto che nemmeno la didattica a distanza ha tolto loro il benedetto vizio di parlare tutti insieme, specie quando hanno qualcosa da dire, per cercare di capirci qualcosa ho chiesto loro di scrivermelo. Non il classico tema “la pandemia, ohibò, chi se la sarebbe aspettata, rifletti sull’argomento” (se ne trovano tantissimi da copiare in rete, tra l’altro), ma proprio “tu, ti senti raccontato? Quando si parla di giovani, ti sembra che si parli di te?”.

Sì, l’ho strutturata un po’ meglio la traccia, ma il senso era quello. Non era nemmeno un tema, era uno sfogatoio libero senza voti, che poi ho messo ma solo perché hanno scritto cose troppo belle.

Di solito i ragazzi, quando sanno di dover scrivere qualcosa destinato a passare sotto gli occhi di un adulto, scrivono quel che pensano che l’altro voglia leggere. Che frase contorta. Ma stavolta no, stavolta sono andati a ruota libera, magari perché in quelle camerette asfittiche la solitudine aiuta a fare ordine nei pensieri.

Ho tirato due somme, alla fine. Intanto i ragazzi sono tante persone diverse e ciascuno ha il proprio vissuto. E sono cresciuti tantissimo, nemmeno se ne accorgono di quanto sono cresciuti. Sono attenti all’attualità, si formano opinioni proprie, a volte diverse tra loro, ma proprie. Sono attenti alle proprie famiglie, sì, sgridano i nonni che vorrebbero andare al mercato e si offrono di fare le commissioni al posto loro. Hanno scoperto che diavolo succede a casa tutto il giorno, loro che non c’erano mai, uno me l’ha scritto “che fatica deve fare mia madre a casa con quei due piccoli”.

Si lamentano, molto, moltissimo, si chiudono in loro stessi, si anestetizzano davanti agli schermi, ma se ne rendono conto e la presa di coscienza è sempre un primo fondamentale passo.

A volte non ne possono più e fanno qualcosa di sbagliato. E anche qui ne sono consapevoli. Alla fine del mio pacco virtuale di temi, se avessi dovuto indicare la parola più usata credo che avrei scritto “consapevolezza”. Consapevolezza del periodo che stiamo vivendo, del fatto che non durerà per sempre, di quel che stanno perdendo, di quel che andrebbe fatto, di quel che faranno non appena possibile, consapevolezza della propria debolezza ma in certi casi anche consapevolezza delle proprie capacità. E forse sono io che sono un’inguaribile ottimista, ma penso che avere dei giovani consapevoli sia comunque un segno di speranza, anzi ne sono convinta. Convinta e consapevole di dover fare tutto il possibile, da dietro a quello a schermo, per aiutarli.

 

portami il diario

L’AUTRICE E IL SUO PRIMO ROMANZO – Valentina Petri vive a Vercelli, dove insegna lettere all’istituto professionale Francis Lombardi. Dal 2017 condivide le sue storie di scuola sulla pagina Facebook Portami il diario. Che dà anche il nome al suo primo romanzo, in libreria per Rizzoli. Un libro in cui racconta la scuola dal punto di vista (autoironico) di una prof di lettere in un istituto professionale.

Quando entra in aula per la prima volta, Valentina è “Quella Nuova” e ha davanti ventotto futuri meccanici: c’è uno che si rifiuta di togliere gli auricolari e un altro che messaggia con la tipa; c’è Amebo che fissa il vuoto con aria indifferente; Piallato steso sul banco per nascondersi; il Trucido che ingurgita un panino al tonno. Siamo a settembre, ma l’anno scolastico sembra già lunghissimo. Eppure i giorni passano: passano sempre. E, tra petardi esplosi in cortile e turbolente gite all’Expo, capitano momenti di inaspettata meraviglia, in cui gli studenti abbassano la guardia e scelgono di fidarsi. Sono i momenti raccontati in questo libro, che ci riporta tra i banchi con lo sguardo amorevole e ironico di una prof. E ci ricorda che i ragazzi, se tendi loro la mano, sanno stupirti come nessun altro.

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