Un’occasione per (ri)scoprire la trama della celebre “Favola di Amore e Psiche” contenuta nelle “Metamorfosi” di Apuleio, per riflettere sui suoi significati allegorici e su alcune curiosità legate alle altre varianti della vicenda (senza dimenticare le leggende che l’hanno influenzata e le opere che ha ispirato a sua volta durante i secoli a venire…)

Fonte di ispirazione e di importanti insegnamenti, che vengono tramandati da secoli in lingue e culture di tutto il mondo, La favola di Amore e Psiche, che consigliamo di leggere nell’edizione Garzanti tradotta da Nino Marziano, è uno dei miti latini più conosciuti di sempre, capace ancora oggi di suscitare stupore e commozione in chi lo legge.

Ma a cosa è dedicata di preciso la sua storia, e come mai è stata ripresa così spesso nella letteratura e nel mondo dell’arte? Lo raccontiamo in questo approfondimento incentrato sulla trama di Amore e Psiche, sui suoi significati allegorici e su alcune curiosità legate ad altre varianti della vicenda, alle sue origini e alle opere che l’hanno omaggiata nel corso dei secoli…

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Amore e Psiche: di cosa parla la favola?

Cominciamo contestualizzando il testo di cui parliamo: La favola di Amore e Psiche, infatti, può essere definita come un racconto nel racconto, essendo una digressione di un’opera più ampia e complessa, intitolata Metamorfosi (Garzanti, traduzione di Nino Marziano) e scritta dall’autore latino Apuleio (124-180 circa).

Il nome completo dell’intellettuale era Lucio Apuleio Madaurense e le sue origini erano africane, più precisamente per l’appunto di Madaura. Dopo gli studi filosofici ad Atene, Apuleio si trasferì a Roma per poi fare ritorno nella sua terra d’origine, dove venne assolto in un processo per magia, conservando da allora la fama di mago e di cultore dei misteri di Iside e Osiride.

Copertina del libro Le Metamorfosi di Apuleio

Oltre all’Apologia, cioè un’autodifesa al processo, e a varie opere filosofiche e retoriche, è conosciuto proprio per Le Metamorfosi, note anche con il titolo de L’asino d’oro, e che pur essendoci giunte incomplete sappiamo avere per protagonista un uomo semplice e curioso di nome Lucio, che si ritrova trasformato in asino per sbaglio e che affronta diverse peripezie prima di riacquisire la sua forma umana.

Contenuta nell’XI libro dell’opera, La favola di Amore e Psiche ci presenta il personaggio di una fanciulla dalla bellezza indescrivibile, terza di tre figlie e che viene ammirata al punto da essere paragonata alla dea Venere. Quest’ultima, però, invidiosa del fascino di Psiche, ordina al proprio figlio Amore (noto ai Greci come Eros) di scoccarle una freccia che la faccia innamorare dell’uomo più brutto al mondo.

Copertina del libro La favola di Amore e Psiche di Apuleio

Nel contempo, alla famiglia della ragazza una profezia annuncia che dovrà essere abbandonata su una cima brulla, dove incontrerà il marito che i genitori stanno tanto cercando: non si tratterà di un essere umano, bensì di un drago terribile e mostruoso, ma suo padre e sua madre obbediscono al volere divino e accompagnano Psiche sul posto.

Lì, tuttavia, la giovane viene trasportata da Zefiro fino al palazzo di Amore, che per sbaglio anziché scoccare una freccia a lei aveva ferito sé stesso, innamorandosi perdutamente di Psiche. La accoglie quindi come propria sposa con tutti gli onori e si unisce a lei in tante notti di passione, vietandole però di scoprire il vero volto del dio per evitare che si sappia della loro unione.

Quando Psiche insiste per rivedere i suoi cari e Amore invita nel palazzo le sue sorelle, viene tuttavia persuasa dalla loro invidia a temere le sembianze del suo sposo: se non si mostra mai a lei, le dicono, è perché potrebbe essere davvero un mostro pronto a divorarla da un momento all’altro. Una notte, allora, la giovane porta con sé un pugnale e fa luce sul viso di Amore per attaccarlo, ma rimane incantata dalle sue fattezze e non si accorge che una goccia caduta dalla lampada a olio l’ha svegliato.

Amore, vedendo tradita la propria fiducia, si allontana furioso da Psiche, che vaga a lungo nel tentativo di ritrovarlo e di ingraziarsi gli dèi ogni volta che si imbatte in un tempio, per poi chiedere perdono a Venere per aver infangato il nome di suo figlio e affidarsi al suo volere. La dea, irritata, sottopone a quel punto Psiche a quattro prove potenzialmente impossibili prima di concederle la sua clemenza.

È solo grazie all’aiuto di animali, piante e creature divine che Psiche ha la meglio, tornando salva perfino dagli Inferi in cui ha chiesto a Proserpina di imbottigliare un po’ della sua bellezza. Eppure, appena prova ad aprire l’ampolla per riacquisire il fascino perduto durante le sue peripezie, Psiche cade in un sonno profondo da cui solo Amore saprà risvegliarla, quando l’avrà trovata e si sarà reso conto di amarla ancora.

La porterà a quel punto sull’Olimpo, dove chiederà l’aiuto di Giove per averla in sposa, ottenendo che possa bere l’ambrosia per trasformarsi in una divinità e unirsi a lui durante un lauto banchetto – a cui viene invitata anche Venere, che nel frattempo ha perdonato i due giovani e si è riconciliata definitivamente con loro -, dopo il quale concepirà una figlia a cui darà il nome di Voluttà.

Amore e Psiche: favola o fiaba?

Fin qui abbiamo definito quella di Amore e Psiche come una favola, rifacendoci alla definizione adottata più comunemente nelle tante edizioni in cui se ne racconta la storia, anche se è importante al riguardo aggiungere una precisazione.

In italiano, infatti, i termini favola fiaba derivano dalla stessa parola latina (fabula), pur essendosi poi evoluti in maniera distinta. Di conseguenza, oggi la favola designa una vicenda con protagonisti animali e con una morale, mentre con fiaba ci riferiamo a una narrazione con protagonisti umani, elementi magici e nessuna morale finale esplicita.

In tal senso, quindi, sarebbe più corretto considerare quella di Amore e Psiche come una fiaba a tutti gli effetti, anche se anticamente era conosciuta come la fabula di Amore e Psiche e per qualche motivo, nella nostra lingua, si è poi imposta un po’ impropriamente come la favola di Amore e Psiche.

L’oscillazione nelle fonti fra queste due categorie è quindi il risultato di un uso più diffuso ma meno puntuale, da una parte parte (cioè quello di favola), e di uno meno frequente ma più esatto, dall’altra parte (ovvero quello di fiaba), che se non si hanno le idee chiare sul tema potrebbe generare una certa confusione.

Significati e curiosità su Amore e Psiche

La favola di Amore e Psiche si configura come una delle poche risalenti alla tradizione grecolatina in cui il mito si conclude con un lieto fine: ai due innamorati viene infatti concesso di passare insieme l’eternità, nonostante le difficili avventure che hanno prima dovuto affrontare.

Secondo le teorie dei più autorevoli studiosi in materia, il significato di questa leggenda senza tempo sarebbe da rintracciare nei nomi stessi dei personaggi principale: Psiche, in greco antico, vuol dire anima, mentre Amore è per antonomasia la figura associata alle pulsioni amorose ed erotiche. Di conseguenza, l’idea sottesa all’opera è che solo congiungendosi al desiderio l’anima può essere immortale, a patto di essersi prima purificata e di essersene dimostrata all’altezza.

E non è tutto, perché stando poi all’interpretazione formulata dallo psicanalista e filosofo Sigmund Freud (1856-1939) Amore e Psiche rappresenterebbero rispettivamente la razionalità e l’istinto, l’io e l’es, configurandosi come la rappresentazione di due istanze presenti costantemente dentro ognuno di noi.

Solo trovando un equilibrio fra le due sarebbe quindi possibile a suo avviso vivere in armonia con noi stessi e con il mondo circostante, mediando fra le nostre inclinazioni e sottoponendoci a delle sfide che, se portate a compimento, possono condurci alla felicità, esattamente come sembra descrivere fra le righe la favola.

Se molte sono le ipotesi legate agli insegnamenti di Amore e Psiche, non tutti sanno che ad abbondare sono anche i ragionamenti sull’origine della loro storia d’amore, dal momento che la matrice non sembra essere propriamente romana.

Apuleio, come già dicevamo, era d’altronde originario dell’Africa, oltre a essersi formato in Grecia, e da tempo è evidente nella sua stesura l’influenza del genere della Fabula milesia di Aristide (530-468 a.C.), una raccolta di novelle andata perduta, che in base alle fonti in nostro possesso doveva contenere svariate storie a sfondo erotico.

Oltre a ciò, da decenni è ormai attestato anche il rifacimento dell’autore alla cultura letteraria africana, che essendo stata tramandata spesso per via orale non ci permette di avere informazioni certe in merito, ma che sicuramente include racconti non molto distanti da quello di Amore e Psiche per come lo conosciamo noi: dalla novella cabila L’uccello della tempesta a una storia marocchina chiamata Ahmed Unamir, fino ad arrivare agli elementi di contatto con Fiore splendente, una leggenda diffusa della Cabilia orientale.

In queste varianti del mito l’epilogo coincide ora con la cacciata di Psiche dal palazzo di Amore, ora con il suo sonno profondo a seguito delle sfide a cui la sottopone Venere. In altri casi, i ruoli di Amore e Psiche all’interno della trama sono addirittura invertiti, mentre in certe versioni grecolatine Psiche perde la vita prima di tornare negli Inferi o fallisce una delle prove, perdendo per sempre il suo innamorato.

Ad ogni modo, nonostante i numerosi finali a cui avrebbe potuto attingere, Apuleio preferisce optare per il coronamento del sogno d’amore dei protagonisti, perché Psiche è descritta ne Le Metamorfosi come una fanciulla semplice e curiosa che, pur meritando di essere punita per la sua ingenuità, non è così colpevole da meritare la morte o la disgrazia, un po’ come accadrà in parallelo al personaggio di Lucio.

Le opere ispirate ad Amore e Psiche

La favola di Amore e Psiche, nel corso dei secoli, ha ispirato intellettuali e artisti di ogni sorta per via dei suoi tratti toccanti e profondi al tempo stesso, il cui fascino non ha mai smesso di conquistare i popoli di tutto il mondo.

Fra le testimonianze più celebri in letteratura menzioniamo l’Ode a Psiche del poeta inglese John Keats (1795-1821), mentre fra quelle più conosciute in ambito scultoreo c’è senza dubbio il gruppo di Amore e Psiche creato da Antonio Canova e conservato presso il Museo del Louvre di Parigi, anche se una copia realizzata dallo stesso scultore è custodita anche presso l’Ermitage di San Pietroburgo.

Amore e Psiche di Antonio Canova

Amore e Psiche, Antonio Canova

Prima ancora, nel Rinascimento, Amore e Psiche erano stati dipinti da Giulio Romano (1499-1546), che aveva portato a compimento un affresco custodito nell’omonima sala del Museo di Palazzo Te, a Mantova, e dal celebre Raffaello (1483-1520), il quale aveva invece adornato con la sua opera la loggia di Villa Farnesina, nella città di Roma.

Più avanti, dal Seicento in poi, a rappresentare i due innamorati sono stati Pieter Rubens (1577-1640), Orazio Gentileschi (1563-1639) e Antoon van Dyck (1599-1641), fino ad arrivare al quadro di Luca Giordano (1634-1705) e alle tele del XIX secolo, fra cui spiccano quelle di Amore e Psiche, bambini e Il rapimento di Psiche di William-Adolphe Bouguereau (1825-1905), nonché il ritratto Amore e Psiche del grande Jacques-Louis David (1748-1825).

Una quantità di rielaborazioni e di omaggi che testimoniano il valore della Favola di Amore e Psiche, rimasta un caposaldo del nostro immaginario collettivo tanto dal punto di vista culturale e filosofico quanto da quello figurativo.

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