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Perché abbiamo bisogno della critica letteraria (e tanti saggi consigliati)

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Quando si parla di critica letteraria vengono in mente scrivanie di legno scuro, luci calde e basse, pile altissime di fogli e scartoffie ingiallite dal tempo. La critica letteraria sembra venire da un altro mondo, un universo antico, ormai dimenticato a vantaggio di brevi “recensioni” degli utenti sui negozi online, post di Instagram e video di YouTube. E spesso si sente parlare, anche sui social, di “morte” della critica letteraria nell’era dei social.

Ovviamente non è così (e forse non bisognerebbe nemmeno paragonare le due cose, che non possono entrare in competizione perché si collocano su piani ben diversi): basterebbe fare un giro per i corridoi di una qualsiasi facoltà di Lettere per scoprire che ci sono biblioteche colme di testi critici, il cui scopo è quello di analizzare le opere letterarie con un approfondimento e un metodo unici, frutto di anni e anni di studi.

Ma perché, ancora oggi, c’è bisogno della critica letteraria? E da quali libri iniziare? Di seguito abbiamo stilato una lista – che non ha la pretesa di essere esaustiva e in cui i titoli non seguono un ordine preciso: né cronologico, né d’importanza – in cui trovano spazio alcuni dei testi della critica letteraria (italiana e non solo) che hanno rappresentato dei tasselli importanti per il pensiero Occidentale.

L’elenco, com’è ovvio, potrebbe essere molto più ampio, ma vogliamo che sia solo un punto di partenza per i lettori e le lettrici che desiderano qualche ispirazione e suggerimento per cominciare. Del resto, i saggi sono tanti e specifici, l’attività dei critici procede anche per interventi su riviste settoriali e antologie accademiche (infatti alcuni testi non sono facilmente rintracciabili). Proprio per questo il nostro invito è di iniziare piano piano, per poi lasciarvi guidare dalle vostre preferenze di lettura e, naturalmente, dal vostro istinto.

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Il ruolo del critico letterario

Come scrive Mario Lavagetto nel breve saggio Eutanasia della critica (Einaudi), per comprendere (o, almeno, cercare di comprendere) il ruolo del critico letterario, può venirci in soccorso un celebre racconto di Henry James, La figura nel tappeto (Sellerio).

Un giovane critico scrive un articolo su un famoso romanziere, Vereker, il quale, però, afferma che nessuno è riuscito a cogliere l’essenza della sua opera: nessuno è riuscito a comprendere qual è la figura nascosta nel tappeto. Allora il giovane parla con un suo amico, Corvick, che accetta la sfida e legge tutte le opere di tale romanziere, studiandole fino a scoprirne l’essenza. Sta per scrivere un saggio a riguardo, ma proprio sul più bello… muore. Il giovane critico non molla, cerca di sedurre Gwendolen, la moglie del suo amico, convinto che conosca la teoria del marito defunto, ma anche lei all’improvviso… muore. Quel segreto ha quindi ucciso tutti coloro che lo conoscevano, il solo sopravvissuto è lo sconfitto, che rappresenta appunto il critico.

Lo scopo della critica letteraria

In Vere presenze, George Steiner scrive: “I grandi libri stanno scomparendo sommersi dalle incrostazioni di un discorso parassitario che li circonda e li rende per sempre irraggiungibili. Si è creata una coltre di nebbia tanto spessa da inibire qualsiasi possibilità di rapporto diretto con i grandi autori”.

In pratica, nel 1989, lo scrittore e saggista francese mette in luce la crisi della critica, lamentandosi per il continuo proliferare dei testi, tutti legati gli uni agli altri, in un mare di richiami saggistici imperscrutabili e impossibili da conoscere interamente.

In un mercato editoriale che offre sempre più libri e stimoli sembra irrealizzabile l’idea di stare dietro a ogni uscita: la situazione ricorda il paradosso di Achille che, per quanto possa correre, non riuscirà mai raggiungere la tartaruga. Il rischio è quello che svanisca il senso della critica stessa, il cui scopo è quello di raggiungere il lettore e spiegare l’opera.

Potremmo quindi dire che l’esercizio della critica è quasi quello di riscrivere il testo o, meglio, di scrivere il testo con altre parole… ma è davvero così? Anche su questo punto ci sono diverse interpretazioni. Dostoevskij, per esempio, diceva che per esprimere quello che voleva, aveva scritto un romanzo. Ungaretti, per commentare una poesia di Leopardi, non poté che utilizzare la poesia stessa.

Sono in molti a sostenere l’autosufficienza dell’opera letteraria e a scoraggiare il fiorire di riflessioni critiche, accusate di allontanarsi dal significato primario del testo. Ma è anche vero che i libri esistono per essere letti, e che ogni lettura prevede inevitabilmente un’interpretazione personale. Bisogna solo capire come servirsi degli strumenti della critica, senza esserne completamente travolti.

Gli strumenti della critica

Per comprendere la critica bisogna prima di tutto abbandonare l’idea che tale disciplina possa avere delle pretese scientifiche. La critica è specifica, ma non è una scienza. Anzi, il testo letterario, per sua natura è soggetto potenzialmente a infinite interpretazioni, essendo ogni lettura un’interpretazione. E allora, di quali strumenti si serve la critica letteraria?

Nel primo Novecento essa è influenzata dall’Estetica di Benedetto Croce: nessuna regola, nessuno schema: l’arte è intuizione, mentre a sua volta “intuire è esprimere; e nient’altro (niente di più, ma niente di meno) che esprimere”. L’opera deve essere compresa nel suo cuore, nella sua capacità di generare eco all’interno del lettore.

Ma la via crociana si rivela ben presto una via impraticabile, perché troppo soggettiva e, dunque, inattendibile. Inizia lentamente il bisogno di trovare un codice. Così dal secondo dopoguerra la critica si apre ad altre discipline: il marxismo, la psicoanalisi, l’antropologia, la stilistica. Ma la vera rottura avviene con il trionfo dello strutturalismo e della semiotica.

Da questo momento si afferma un metodo che mira a essere oggettivo, attraverso lo studio della struttura, delle figure retoriche, della forma, della lingua. Il rischio di questo nuovo approccio, però, è concentrarsi troppo sul significante, perdendo di vista il significato: il filosofo e critico letterario Michail Michailovič Bachtin mette in guardia contro il pericolo di voler catturare a tutti i costi, con metodi esclusivamente linguistici, l’uccello azzurro – l’uccello estetico –  con il solo risultato di trovarsi tra le mani la sua misera larva: grigia e incolore.

Con il passare del tempo, la critica diventa uno studio sempre più vasto, che deve tener conto di numerosi elementi, tra cui un altro fattore da non sottovalutare: la biografia di chi scrive. Anche la vita dell’autore e il contesto storico sono un aspetto fondamentale per conoscere un’opera. Un ulteriore piano da incastrare per riuscire ad analizzare il testo, per esplorarlo in tutte le sue direzioni e per poterne restituire il valore nella sua intera complessità.

Chi legge oggi i testi di critica?

Principalmente i letterati, i critici, gli studiosi (e gli studenti) di Lettere, ma anche chiunque abbia voglia di dedicarsi a una lettura intensa e impegnativa. Non c’è una regola o un divieto. Anzi, in realtà la critica dovrebbe essere vista come uno mezzo di cui tutti – anche e soprattutto i lettori comuni – dovrebbero servirsi. In realtà, però, in tanti pensano di poterne fare a meno.

Un po’ perché, a differenza del passato, la critica non ha più un ruolo imprescindibile per avvicinarsi a un’opera letteraria. Nella società moderna tutti possono accedere ai libri senza necessità di mediazione, mentre prima il ruolo del critico letterario era fondamentale per accostarsi a determinati testi. Con l’ampliamento del mercato editoriale, qualunque libro può essere alla portata del pubblico: i grandi classici sono distribuiti in edicola o nelle librerie in edizioni molto economiche, diventando quindi completamente accessibili (almeno da un punto di vista commerciale, perché non è detto che tutti coloro che acquistano un libro lo leggano: la categoria di pubblico non sempre coincide con quella dei categoria di lettori).

Diciamo così: la critica letteraria è una torcia che può illuminare perfino negli angoli più bui di un testo, facendovi notare cose che altrimenti non avreste mai scoperto. E se siete veri amanti della lettura, sapete bene che non c’è niente di più bello che conoscere ogni dettaglio della storia che state leggendo.

Perché abbiamo bisogno della critica letteraria?

Nel 1968, a un giovane provocatore che le chiese “ma a che serve la poesia?“, Elsa Morante rispose: “e tu a che servi?“.

In fondo chiedersi perché abbiamo bisogno della critica è un po’ come chiedersi perché abbiamo bisogno della poesia, visto che lo scopo del critico è cercare il senso ultimo della letteratura. Il segreto della letteratura. Qualcosa che è sotto gli occhi di tutti ma che nessuno vede, l’intento specifico che si nasconde sotto ogni atto di scrivere.

Il compito della critica è quello di scavare all’interno della letteratura per scoprirne l’essenza. Perché quell’essenza è uno strumento per vivere la vita. L’uomo ne ha bisogno per sopravvivere. Mario Barenghi in Cosa possiamo fare con il fuoco (Quodlibet) utilizza l’immagine di Prometeo per spiegare l’importanza delle opere scritte nell’esistenza degli esseri umani: così come il fuoco è stato indispensabile per lo sviluppo e l’evoluzione dell’uomo, anche la letteratura ha una funzione vitale per la nostra esistenza. Ci permette di parlare di noi stessi e degli altri, di esprimere le nostre emozioni, di vedere riflessa la nostra natura in un personaggio. Ci permette di vivere nella società, di ridurre la distanza tra noi e i nostri simili.

Ma niente di tutto questo sarebbe possibile senza un dibattito critico che tenga in vita la letteratura. Se è vero che la letteratura è il fuoco, la critica letteraria è il legno per non farla smettere di ardere.

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