S’intitola “La natura è innocente. Due storie quasi vere” ed è l’ultimo romanzo di Walter Siti. Ma “che cos’è poi una storia vera? Esiste il romanzo-verità? La verità ha a che fare con la scienza e la giurisprudenza, non con la letteratura né con la vita”. Attraverso le due biografie di Filippo Addamo e Ruggero Freddi, l’autore costruisce la propria “autobiografia appaltata”, una narrazione che riflette sulla natura e la cultura, il rapporto conflittuale tra le due e il vitalismo che anima tanto il suo libro quanto le due vite a cui è ispirato. Ma il testo precipita rapidamente verso la confessione ultima dello scrittore. Che ammette anche, in sordina, il suo tentativo di dire addio al genere romanzo… – L’approfondimento

Autobiografia appaltata”, scrive Walter Siti nell’epilogo del suo ultimo libro, La natura è innocente. Due vite quasi vere (Rizzoli), riferendosi all’opera stessa: definisce così il suo testo che, quando incontra queste parole, il lettore ha appena concluso; ne parla anche nell’intervista rilasciata a Sette de Il Corriere della sera, in cui racconta il suo libro e le due vite, anzi, tre, che lo compongono, intrecciandosi come una sola nel ricamare il tessuto narrativo.

Walter Siti La natura è innocente due storie quasi vere

Si potrebbe parlare anche di biografia appaltata, così come sono appaltate tutte le biografie: nel romanzo, Siti racconta le due vite di Ruggero Freddi, pornoattore gay, bodybuilder, docente di matematica a La Sapienza a Roma, e di Filippo Addamo, un ragazzo siciliano che, a vent’anni, uccise la madre per gelosia, per punirla di aver lasciato il padre e la famiglia per frequentare altri uomini.

Siti, dunque, è il biografo di Ruggero e di Filippo: li intervista, si fa raccontare le loro storie, ne esplora l’infanzia, la giovinezza, i momenti che hanno definito il loro carattere; rievoca la Sicilia popolare in cui è cresciuto Filippo, ne descrive i paesaggi riarsi dal sole, le atmosfere familiari, ne ricostruisce il rapporto con la madre; ripercorre la vita sentimentale di Ruggero, gli studi, il coming out, le prime relazioni, la carriera nel porno.

Pagina dopo pagina, un capitolo a testa, l’autore ripercorre le due esistenze che, tenute insieme dalla voce narrante, si intersecano fino a diventare un’unica storia. Ma cosa intende Walter Siti quando parla di “autobiografia appaltata”?

È un termine che ha coniato lui stesso e lo spiega nell’epilogo, quelle pagine conclusive che, ammette nell’intervista, gli sono costate più dell’intero Bruciare tutto (Rizzoli), il romanzo che nel 2017 aveva suscitato non poche polemiche per la scelta di un tema tabù come la pedofilia.

L’autobiografia è appaltata come lo sono le due biografie: Ruggero e Filippo appaltano a Siti il diritto di narrare le loro vite, e l’autore appalta alla narrazione delle due esistenze il compito di rappresentare due aspetti della propria: “La ragione per cui ho raccontato insieme le loro storie è più sotterranea e radicale: perché, sommandosi, i miei due eroi hanno fatto quello che avrei voluto fare io. Uno come soggetto e uno come oggetto della frase: avrei voluto uccidere mia madre per essere libero di possedere tutti i pornoattori muscolosi del mondo”.

Due biografie, dunque, che vanno a comporre un’unica autobiografia in potenza, due vite che ne rappresentano una terza.

Non solo, si tratta di due storie vere o, come precisato fin dal titolo, quasi vere, poiché, come ricorda l’autore nella nota conclusiva, “si fa presto a dire ‘storia vera’: se la storia è raccontata in un romanzo, del tutto vera non può essere”; eppure non mancano gli appelli al mondo reale al di fuori del testo: l’autore intervista i due protagonisti per ricostruirne le vicende e la narrazione è qua e là intercalata dalle frasi dei due personaggi, riportate tra virgolette, “sapessi Walter…”, “te lo giuro Wa…”.

Le date, i ricordi d’infanzia, i viaggi di Ruggero, gli anni di carcere di Filippo, le due storie sono ricostruite con tutta la precisione che la memoria permette, e tutta la fedeltà che un romanziere può concedere al lettore, salvaguardando il proprio diritto di manipolare la storia per farne letteratura; lo scrittore non può trattenersi dal formulare ipotesi, prescrivere immaginazioni, limare ricordi, fino a ricostruire delle email scambiate tra due personaggi, che ha avuto modo di leggere ma che sono andate perdute prima che potesse copiarle: non volendo rinunciare al documento, Siti sceglie un’altra strada, “reinventandole romanzescamente”. In fondo, “che cos’è poi una storia vera? Esiste il romanzo-verità? La verità ha a che fare con la scienza e la giurisprudenza, non con la letteratura né con la vita”.

Il che vuol dire che la questione è irrilevante: che le due storie siano più o meno veritiere, più o meno esatte nel rievocare lo svolgersi dei fatti, la narrazione è autentica, grazie a quella voce narrante che permette di rintracciare l’origine del discorso nella realtà al di fuori del testo, senza per questo vincolarsi ad essa. Non è la realtà a interessare lo scrittore, che si si sofferma a riflettere sul vitalismo (“Il vitalismo è un concetto interclassista: vale per gli intellettuali dannunziani, per i giovani borgatari, per i politici golosi di Nutella e di Champions League, per il ceto medio che fa il viaggio di nozze a Santo Domingo”), spinta propulsiva che, nel romanzo, innesca il motore della narrazione, così come ha agito da spinta propulsiva, più o meno consapevole, nelle vite dei due personaggi, che “hanno cercato di fare cose un po’ meno noiose della media e sono affamati di notorietà, convinti che la loro vita meriti di essere raccontata”. E Walter Siti la racconta.

Ma racconta anche qualcos’altro, ancorandosi alle due biografie per trarne una riflessione sulla Natura, che trova spazio nell’Intermezzo vulcanico, un capitolo dal sapore saggistico che interrompe la narrazione a metà, soffermandosi a considerare la Natura con la N maiuscola, quella forza creatrice e distruttrice che l’uomo tenta di assoggettare fisicamente e culturalmente, cercando di farvi ordine e di portarvi una disciplina che non le appartiene; quella Natura che, nel romanzo, è spesso rappresentata attraverso l’immagine di un vulcano, sia esso l’Etna del panorama Catanese, che segue come un’ombra ogni movimento di Filippo, o il vulcano di Lanzarote, alle Isole Canarie. Ed è proprio in virtù della sua forza distruttiva che La natura è innocente, “perché non prevede progresso ma solo morte e rinascita”, e “se la Natura è innocente, possiamo concluderne che interpretare l’umanità come errore o come miracolo non cambia un accidente nell’economia dell’universo”.

Non cambierà un accidente nell’economia dell’universo, ma cambia tutto nella cultura, quella umana, poiché “la cultura non è mai innocente” e rappresenta lo sforzo umano di sottomissione della Natura, uno sforzo che, in ultima istanza, è destinato a fallire e culminare con “l’esaurirsi dell’elio sulla nostra stella, e il mappamondo rossastro già bollente di gas, e il convergere della nostra galassia su Cassiopea; poi il buco nero supermassivo e un altro giro di giostra”.

Dunque perché affannarsi?

“Se un tempo scrivevo per salvarmi la vita, ora la consapevolezza privata non è che un sottoprodotto marginale; ora scrivo per scrivere, per difendere la letteratura da chi la vorrebbe morta (o mutilata, o asservita)”, confessa Walter Siti, salvo poi annunciare, en passant, in una nota a piè di pagina, che quelle due vite fuori dal comune sono “storie divertenti da raccontare durante un aperitivo o una cena, vera esca al mio proprio peccato di vitalismo, al quale sto cercando di dire addio in questo che probabilmente sarà il mio ultimo romanzo”.

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