Walter Siti, in “Pagare o non Pagare”, parla di una delle sue ossessioni, il denaro, e delle sue metamorfosi nella nostra società. Oggi, al crollo dei diritti e dei salari corrisponde l’emergere di un’economia basata sul gratuito. Ne rimane escluso proprio il denaro, che “evapora”. Ma com’è cambiato il nostro rapporto con esso? Quali sono le conseguenze della sua sparizione? – L’approfondimento

Un infinito rimasto in gola. Su Pagare o non pagare di Walter Siti

In certi luoghi la storia si coagula per poi cristallizzarsi in simboli che ci parlano di noi stessi. Quella di Parigi è sempre stata la storia di tutti. Dal barone Haussmann a Les Halles. Per Émile Zola Les Halles era “il ventre di Parigi”: dal XII secolo c’era il mercato alimentare. Ma il vecchio non era abbastanza per la nuova economia di mercato, e mentre i sessantottini – come ricorda Walter Siti in Pagare o non pagare (nottetempo) – spaccavano le vetrine per mangiare il foie gras con i poveri delle banlieu, la storia pigliava un’altra piega. Dal ’69 in poi il centro di Parigi era un enorme cantiere; centinaia di edifici smembrati. Un buco all’interno del quale Ferreri girò un western su Little Big Horn. I pellerossa? I parigini sfrattati, che, ok, l’immaginazione al potere, ma ci lascino la casa.

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“Non toccare la donna bianca”, Marco Ferreri, 1974, con Marcello Mastroianni e Catherine Deneuve. (via)

Nel ventre di Parigi dunque un vuoto; poi colmato da un enorme centro commerciale sotterraneo; le nuove halles. Quello il germe del nostro presente; sostituiti gli individui e le famiglie alla società. Gli infiniti anni Ottanta del privato, del disimpegno, dell’ottimismo reaganiano, della marcia dei 40.000; del crollo del welfare state (“Oggi quest’opzione non esiste più”, era il ‘76).

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Non è un caso che Siti, nell’82, passeggiando in un triangolo stretto tra il consumismo delle nuove Halles, la pornografia di Rue Saint-Denis e l’arte del Beabourg, ne concludesse che non si può scrivere in Occidente salvo sperimentare il rapporto tra piacere e denaro. Da lì l’esordio di uno scrittore capace di descrivere, con la sua “autobiografia di fatti non accaduti”, la cartografia di una società avvolta nelle simmetrie di denaro, desiderio, ossessioni, immagini; il punto dove si incontrano consumismo e metafisica al tempo della “fine dell’esperienza e dell’individualità come spot”, con abissi e altezze verticali (“Il denaro non è che la proiezione dell’erotismo sull’asse del reale: la stessa luce, metallizzata”).

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Jenny Holzer. (via)

Ora, per la nuova serie “Trovare le Parole” dei gransassi di Nottetempo Siti descrive la metamorfosi del rapporto col denaro, proprio nel momento in cui sta diventando qualcosa di diverso. C’è – secondo Siti – un cambio di parametri. Infatti, ricorda il piacere di pagare, la metà di una “sottospecie del pregare” e l’onnipotenza per il quale “avremmo conquistato quel che due secoli prima soltanto i nobili possedevano, e vent’anni prima soltanto i padroni – saremmo stati anche noi onnipotenti come dèi”.

“Il piacere di pagare era il piacere di sentirsi uguali, di pretendere cose grandi”: l’economia dei sentimenti del centro di Parigi.

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In Troppi Paradisi, Siti scriveva che “il grande progetto dell’Occidente, l’unicum che lo contraddistingue tra tutte le società umane, sia l’ambizione di costruire una società senza Dio”. “Per resistere senza la speranza nell’aldilà, e nel Paradiso, bisogna poter sperare nel paradiso in terra. […] Dare l’illusione del paradiso in terra è l’obiettivo finale del consumismo; o, se si vuole, il consumismo è una protesta per l’inesistenza di Dio”.

Ma il denaro oggi è evaporato “in una nebbia di delusioni e speranze in cui sembra che il denaro abbia perso la propria funzione di perno”. Un nuovo paradigma, oppure la realizzazione più precisa del vecchio, in cui si è riusciti a sottrarre i consumi non cambiando altro? Dopo dieci anni di crisi sistemica “è il gioco di magia che tutti respiriamo, in un’atmosfera incantata di benessere crescente sullo sfondo di una povertà in espansione”.

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I giovani “devono fare i conti con un infinito che gli è rimasto in gola: sono cresciuti in una collettiva mentalità dell’abbondanza (“la società signorile di massa”) e ora, che i soldi mancano, devono trovare un’uscita di sicurezza”. In realtà più che un’uscita c’è un sistema di compensazioni che si autoregolamenta. Bloccato l’ascensore sociale, al crollo dei diritti e dei salari, ai lavori sottopagati o non pagati affatto, tra stage e apprendistati, e anche al lavoro gratuito (come sui social, fornendo i contenuti ai big tech) corrisponde l’emergere di tutta un’economia del gratuito: possiamo scaricare tutta la musica che vogliamo, vedere film o leggere libri, così come, per esempio, con il couchsurfing viaggiare al prezzo di un po’ di compagnia a chi cede un posto su un divano.

In questa specie di compromesso al ribasso, dall’equazione ne esce il denaro – Siti è critico “la gratuità, mascherata da libertà, diventa veicolo di effettiva dipendenza”  ̶  e “quel che si è perso è proprio il senso originario del denaro”. Non sappiamo quanto costano davvero le cose, considerate tutte le variabili.

Qual è il “costo del conformismo”? Quello della “facilità”? (“l’insalata già lavata al supermercato”). Finisce che non sappiamo più qual è il nostro di prezzo. Siti descrive i calcoli delle assicurazioni per i rimborsi alle vittime delle Torri Gemelle, che smontano l’assunto romantico per cui la vita non ha prezzo.

Ai giovani restano delle “compensazioni passive”, se gli va bene – dice Siti – trattano i padri da ingenui sfruttati, se gli va male non reggono all’abisso, oppure “ci si arrangia con quello che c’è in frigo”: “si sciala in comunicazione e in tutto quello che non costa niente”. Altri parlerebbero di beni posizionali.

Ma che resta dell’Occidente, tolto il “soggetto comprante”?

Il ceto medio, stretto tra la paura dei veri indigenti e l’impossibilità di raggiungere i veri ricchi, si sgretola in una specie di pastone in cui si scambia i tratti col proletariato. È vera l’illusione della società signorile di massa, tale da permetterci cose che i nostri avi si sognavano, ma il Siti argomentava anche la dinamica opposta. “Qualcosa di più generale che sta accadendo” – diceva in un’intervista a Francesco Borgonovo, originariamente su Link – “Ci sono dei modi di vedere la vita che per quelli che una volta si chiamavano sottoproletari erano delle verità date, cose naturali: l’assenza di futuro, l’impossibilità di programmare la propria vita, un misto di fatalismo e di imprudenza, il fatto che, in fondo, qualunque azione sia a somma zero, che non ci sia poi molta distinzione fra legale e illegale, che tutto si risolva con la frase, ‘E che problema c’è?’. Mi sembra che tutto questo si stia estendendo anche ad altri ceti sociali”.

Ma i ricchi e i poveri continuano a esistere. Non più come classi distinte, ma come due razze diverse, I Morlock e gli Eloi, del romanzo di H.G Wells: una diseguaglianza così profonda da scavare un taglio netto tra due tipi di umanità distinta che non si incontra.

Nel 2018 a Parigi sarà completata una nuova trasformazione, La Canopée des Halles, una struttura con 18.000 conchiglie di vetro che diffondono una luce soffusa col minimo impatto ambientale. 14 mila metri quadri di strutture culturali e 66 mila di spazi commerciali. Chissà come sarà. Di sicuro in certe strade, della meno simbolica Milano, se guardi a destra vedi una luccicante smart city e se guardi a sinistra vedi i migranti che dormono nelle tende. Equidistanti, non si incrociano mai.

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