Nel suo primo libro Valentina Petri, ideatrice della pagina Facebook “Portami il diario”, racconta la scuola dal punto di vista (autoironico) di una prof di lettere in un istituto professionale. Su ilLibraio.it parla degli insegnanti alle prese con i consigli di lettura agli studenti per le vacanze. E ammette: “Imporre una lettura. Che ossimoro… perché i libri sono come gli abiti, non sai come ti stanno addosso finché non li fai tuoi e comunque devi sentirtici a tuo agio tu”

Lavoravo in libreria, stavo dietro ad un bancone studiando per gli ultimi esami e la tesi. E ai primi di giugno li vedevo arrivare, loro. Li riconoscevo già ad una prima occhiata, mentre si guardavano la punta delle scarpe prima di entrare. I più giovani accompagnati dalle madri, i più grandi soli e sconsolati. Li riconoscevo perchè esibivano un’espressione piena di sconforto, avevano in mano un oggetto e no, non era un cellulare, anche se ora probabilmente usano quello.

Avevano tra le dita, tutto accartocciato e ripiegato più e più volte, un foglio di carta; ma non era un foglio qualunque. Quello era una lista. Anzi, LA lista. La temibile lista dei “libri da leggere durante le vacanze estive”, dettata dall’insegnate di lettere, copiata da una lavagna o fornita direttamente in tante pratiche fotocopie per evitare fraintendimenti o travisamenti dei titoli.

È un elenco visto e rivisto e corretto e integrato, pensato con cura, trasmesso con amore, affidato con trepidazione. Accolto con terrore. La lista dei libri è una specie di mantra che si tramanda, un elenco che ricorda quelli dei santi a cui rispondere ora pro nobis. Ci sono dentro i classici, sempre. Libri che bisogna leggere, o che bisogna aver letto, o che bisogna almeno dire di aver letto o che bisogna dire di aver assegnato come letture. Ci sono dentro i capisaldi di ogni genere, perché certo noi prof amiamo moltissimo suddividere la lista in tante sottoliste. E imporre anche. “Leggete almeno uno a scelta tra questi gialli, uno a scelta tra questi romanzi d’avventura”, che poi mica lo so se sia una buona idea, io che un’estate mi sono sfondata di fantasy e l’estate dopo mi aveva presa la mania per i gialli inglesi, e poi mi era venuta, a ondate, la mania dei racconti, poi quella per i feuilleton, poi quella per gli horror più truculenti a cui cambiavo la sovracopertina per ingannare chi mi osservava. Gli studenti avviliti mi si avvicinavano con fare circospetto, mi sottoponevano la lista come fosse quella dei beni da procacciarsi al mercato nero e poi sussurravano con aria da proibizionismo “mi può dare i più corti?”.

La brevità, gran pregio. Ne ho stilate tante anch’io di liste, inserendo di volta in volta cose che pensavo piacessero (invano), speravo ispirassero (in genere sentimenti malevoli nei miei confronti), mi auguravo prendessero (me a male parole). Non ci azzecco mai, se non raramente, perché i libri sono come gli abiti, non sai come ti stanno addosso finché non li fai tuoi e comunque devi sentirtici a tuo agio tu.

E cambiano, cambiano a seconda dell’età, e una cosa che ti schifava a quindici anni a quaranta diventa “ommioddìo questo è il libro più bello mai scritto devono leggerlo tutti” e ammorbi le amiche regalandone venti copie, mentre una cosa che a diciott’anni ti faceva tenere accesa la luce di notte, a trenta diventa “opperlacarità che mattonazzo insostenibile, ma che droghe prendevo per leggere ‘sta roba?”.

Proviamo a farci consigliare i libri dai cantanti, dai calciatori, dai famosi, dagli youtuber, dalle influencer. Inseriamo negli elenchi biografie di uomini di successo, storie di scottante attualità, ammiccanti epigoni di successoni del passato. In tanti anni ho imparato a portarli a scuola e lasciarli sfogliare senza impegno, a leggerne dei passi e fermarmi poi sul più bello, a usare tutti i trucchi più biechi. Anche il celebre “no, ragazzi, questo libro non è adatto a voi, mi raccomando, ci sono scene troppo forti, non leggetelo” che è il modo più sicuro perché diventi un bestseller.

Imporre una lettura. Che ossimoro. Che tanto poi loro entrano, ti guardano, e ti chiedono “mi dà quelli più corti, per favore?”. Io, da commessa, avevo una tattica. Li guardavo con aria complice. “Ti prendo i più corti e te li faccio trovare alla cassa, tu in cambio però devi fare un giro, non tornare prima di dieci minuti”. Non succedeva sempre, ma ogni tanto sì. Ogni tanto arrivavano alla cassa con un libro fuori lista e lo aggiungevano alla pila. Ecco quello, quello era un gran momento. Il momento in cui un libro aveva scelto un ragazzo. Insieme avranno fatto grandi cose.

portami il diario

L’AUTRICE E IL SUO PRIMO ROMANZO – Valentina Petri vive a Vercelli, dove insegna lettere all’istituto professionale Francis Lombardi. Dal 2017 condivide le sue storie di scuola sulla pagina Facebook Portami il diario. Che dà anche il nome al suo primo romanzo, in libreria per Rizzoli. Un libro in cui racconta la scuola dal punto di vista (autoironico) di una prof di lettere in un istituto professionale.

Quando entra in aula per la prima volta, Valentina è “Quella Nuova” e ha davanti ventotto futuri meccanici: c’è uno che si rifiuta di togliere gli auricolari e un altro che messaggia con la tipa; c’è Amebo che fissa il vuoto con aria indifferente; Piallato steso sul banco per nascondersi; il Trucido che ingurgita un panino al tonno. Siamo a settembre, ma l’anno scolastico sembra già lunghissimo. Eppure i giorni passano: passano sempre. E, tra petardi esplosi in cortile e turbolente gite all’Expo, capitano momenti di inaspettata meraviglia, in cui gli studenti abbassano la guardia e scelgono di fidarsi. Sono i momenti raccontati in questo libro, che ci riporta tra i banchi con lo sguardo amorevole e ironico di una prof. E ci ricorda che i ragazzi, se tendi loro la mano, sanno stupirti come nessun altro.

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