La parliamo tutti i giorni, la leggiamo dappertutto, ma siamo sicuri di conoscere fino in fondo tutte le parole della lingua italiana? Da “tartaruga” a “sicofante”, passando per “astruso”, “forbito”, ambaradan” e molte altre, ecco una selezione di termini la cui etimologia è capace di incuriosirci, divertirci e raccontarci vere e proprie storie sulla percezione del mondo…

La parliamo tutti i giorni, la leggiamo dappertutto, ma siamo sicuri di conoscere fino in fondo tutte le parole della lingua italiana? Dopotutto, anche chi se ne serve per studio o per lavoro non sempre ha il tempo di interrogarsi sull’origine di certi termini.

Eppure, alcune etimologie sono capaci di incuriosire, divertire e raccontarci delle vere e proprie storie su come veniva percepito il mondo e su come viene ancora definito.

Ecco quindi una selezione di lemmi che sentiamo spesso usare nella nostra vita, ma di cui forse non abbiamo ancora scoperto tutte le sfumature.

Alfabeto

Partiamo dalla parola delle parole, cioè da quella che idealmente le contiene tutte e permette di generarle in maniera combinatoria Chi conosce il greco, ci avrà già pensato: alfabeto deriva da alfa e beta, cioè dalle prime due lettere di questa lingua, e così è. Ma vi siete mai chiesti perché queste lettere si chiamavano proprio così?

La loro origine risale alla cultura fenicia, nella quale aleph voleva dire bovino e beth indicava invece la casa. Quando si cominciò a scriverla, infatti, la a veniva tracciata in maiuscolo e rovesciata, così da ricordare il muso di un animale, mentre la b maiuscola somigliava a un rettangolo diviso in due al suo interno, come un’abitazione con due stanze.

Tartaruga

Rimanendo in tema di dimore, vi sorprenderà forse scoprire che il sostantivo tartaruga arriva fino a noi con il significato greco di spirito immondo, derivato da tàrtaros e da èko, rispettivamente traducibili con la parola tartaro e con il verbo abitare.

Il tàrtaros nella mitologia aveva due significati: indicava o un abisso infernale buio e senza limiti, oppure una figura primigenia, capace di suscitare ammirazione e terrore al tempo stesso. Questo animale, insomma, che il cristianesimo riteneva un’incarnazione del male, è stato definito fin da sempre dal suo carapace.

Sicofante

Restiamo nell’antica Grecia, ma dalla casa ci spostiamo all’esterno. Secondo la teoria più accreditata, infatti, sicofante deriva da σῦκον (sukon), cioè fico, e da φαίνειν (fainein), ovvero indicare. In altre parole, il sicofante era chi denunciava i ladri di fichi sacri, oppure gli esportatori di fichi dall’Attica alle autorità.

Quest’ultima operazione godeva di una cattiva fama perché di fichi si cibavano soprattutto le persone più povere, motivo per cui, se se ne indicavano i responsabili, non si era uno spione nel senso negativo di oggi, anzi: quando si vinceva il processo si veniva addirittura ricompensati per la segnalazione.

 

Grammatica italiana

Astruso

Magari lo starete già pensando di questi termini, che sono un po’ astrusi, non è vero? E se vi dicessimo che anche perfino l’aggettivo astruso ha un’origine bizzarra? Sembrerebbe venire, infatti, dal latino abstrusus, participio passato di abstrudere, ovvero spingere via o nascondere. Un concetto astruso, di conseguenza, è così nascosto e avvolto su sé stesso da essere di difficile comprensione.

Lapalissiano

Fortuna che la lingua italiana non è tutta così e che include anche qualche definizione lapalissiana, cioè dal significato a dir poco ovvio. Se vi state chiedendo quale sia l’origine di questa parola, però, abbiamo una storia non meno curiosa delle altre da raccontarvi, che risale alla battaglia di Pavia del 1525.

Lo scontro fu perduto dai francesi e vide cadere soprattutto il maresciallo La Palice, la cui temerarietà volle essere ricordata dai suoi soldati con una strofa in suo onore: “Ahimè! La Palice è morto, / è morto davanti a Pavia; / Ahimè! se non fosse morto, / sarebbe ancora in vita“. Peccato che senza volerlo la considerazione suoni, per l’appunto, un po’ tautologica.

Forbito

Dall’altra parte, abitudine di chi padroneggia bene l’italiano, è evitare considerazioni grossolane come la precedente e optare per un linguaggio forbito, ovvero… lucidato. La parola, spiega infatti l’Accademia della Crusca, deriva dall’antico germanico *furbjan, poi passato all’alto tedesco, al francese, al provenzale e al catalano.

Il suo significato era quello di pulire o di lucidare, con riferimento alle armi, e nello Stivale fu attestato dal XIII secolo in poi – dapprima nel significato originario e poi, quasi subito, anche con quello metaforico di ricercato, pulito, elegante, come già accadeva nei testi di Bono Giamboni nel 1400.

Eleganza

A proposito di elegante: sapete da dove deriva questa affascinante qualità estetica? La lingua di provenienza stavolta è quella di intellettuali del calibro di Petronio (non a caso definito dalla corte di Nerone un vero e proprio arbiter elegantiae, cioè giudice di raffinatezza).

Per capirci di più dobbiamo osservare il verbo eligere, derivato da ex (tra) e ligere (scegliere): una persona elegante non aveva, pertanto, chissà quale dote innata, bensì una capacità acquisita col tempo di scegliere, di selezionare un elemento specifico tra una rosa di possibilità, grazie a un concentrato di stile e di buon gusto.

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Ambaradan

Praticamente all’opposto dell’eleganza, l’ambaradan è invece il risultato di un’accozzaglia disordinata e illogica di scelte, un caos a tutti gli effetti, che può addirittura sfociare in una baraonda o in un’operazione difficile da portare a termine, se non si fa affidamento su una gran dose di impegno e di organizzazione.

Questo perché, secondo alcune teorie, la sua etimologia coinciderebbe con il nome proprio Amba Aradam, massiccio montuoso situato in Etiopia e nei dintorni del quale, nel 1936, l’Italia combatté contro l’esercito abissino e vinse dopo una cruenta battaglia, passata alla storia per la sua confusione e difficoltà.

Arte

Di tutt’altra pasta sono senza dubbio le attività pensate ad arte, cioè nate fin da subito per uno scopo preciso. Dopotutto, lo stesso sostantivo arte ha una storia curiosa e accurata, che risale addirittura al sanscrito e allo zendo rtì o artì.

Il senso principale di questa parola era quello di andare, muoversi verso qualcosa, da cui poi è derivato il significato di aderire, attaccare, adattare, giunto fino all’antica Grecia. Creare arte, riformulando quanto indicato, vorrebbe dire perciò venirsi incontro, essere aderenti a qualcosa, in un ideale percorso verso la perfezione da cui è impossibile non lasciarsi incantare.

Robot

Concludiamo con un termine apparentemente antitetico al precedente, e che in realtà non deriva dall’arcinota parola inglese a cui potremmo pensare. La sua origine è da far risalire, piuttosto, alla lingua ceca, e in particolare al testo teatrale R.U.R. dello scrittore cecoslovacco Karel Čapek (1890-1938), nel quale apparve per la prima volta nel 1920.

Si trattava già allora di una derivazione dal sostantivo robota, cioè lavoro forzato, proveniente dall’antico termine slavo rabota (schiavitù). Nella visione dell’autore, quindi, il robot era un operaio artificiale non meccanico, una replica semplificata dell’uomo, che veniva impiegato per lavorare per (o con) lui.