Si è spento lo scrittore e insegnante sloveno con cittadinanza italiana Boris Pahor (nato a Trieste, nel 1913). Autore molto impegnato a livello sociale e politico, testimone dei capitoli più bui della storia del Novecento

All’età di 108 anni, si è spento lo scrittore e insegnante sloveno con cittadinanza italiana Boris Pahor. Nato a Trieste il 26 agosto del 1913, è stato un autore molto impegnato a livello sociale e politico, che fu arruolato durante la seconda guerra mondiale e prese parte alla resistenza slovena che si opponeva all’occupazione tedesca.

Molte delle sue opere raccontano episodi autobiografici relativi alla guerra, alla resistenza e alla deportazione (dopo essere stato arrestato dai collaborazionisti sloveni, fu internato in vari campi di concentramento in Francia e in Germania).

Voce dissidente, contro i poteri forti, Pahor (che fu anche direttore della rivista triestina Zaliv, che ospitava oppositori del regime di Tito) non aveva paura di denunciare nei suoi testi violenze e atrocità, tanto che venne bandito per due volte dalla Jugoslavia e le diffusione delle sue opere fu osteggiata.

Sposato con la scrittrice e traduttrice Frančiška Radoslava Premrl, da cui ebbe due figli, Pahor nel 2003 ha ricevuto il premio San Giusto d’Oro dai cronisti del Friuli Venezia Giulia. Tra i vari riconoscimenti anche il Premio Internazionale Viareggio-Versilia e il Premio Prešeren, maggiore onorificenza slovena in campo culturale.

Il memoir Necropoli (libro pubblicato da Fazi, che narra l’esperienza vissuta dall’autore nel campo di concentramento nazista di Natzweiler-Struthof) è stato finalista e vincitore del Premio Napoli per la categoria “Letterature straniere”, nonché Libro dell’Anno di Fahrenheit.

Addio allo scrittore Boris Pahor

Tra le sue numerose opere Figlio di nessuno (Rizzoli, con Cristina Battocletti), Così ho vissuto. Biografia di un secolo (Bompiani, con Tatjana Rojc), La città nel golfo (Bompiani, traduzione di Marija Kacin), Triangoli rossi. I campi di concentramento dimenticati (Bompiani).

In un lungo articolo di Repubblica, così lo ricorda Paolo Rumiz: “Diceva cose scomode. Per esempio che non c’era stato solo l’olocausto degli ebrei, ma la strage degli antinazisti tedeschi, passati anch’essi per il camino, come nel campo di concentramento di Dora in Turingia, dove gli oppositori irriducibili erano stati mandati a costruire i missili di Werner von Braun, per finire ghigliottinati a ogni esperimento fallito. Un orrore per il quale lo scienziato poi reclutato dagli americani, ricordava Pahor con orrore, non disse mai parole di pentimento”.

Libri consigliati