Consigliato di recente dal rapper e influencer Fedez, che ha contribuito a riportarlo in classifica, “La sottile arte di fare quello che c***o ti pare” di Mark Manson è un manuale dedicato al metodo scorretto (ma efficace) per liberarsi da persone irritanti, falsi problemi e rotture di ogni giorno, grazie all’idea che per affrontare le difficoltà non serva una falsa positività ma un reale riconoscimento delle difficoltà – Su ilLibraio.it un estratto
Per decenni ci hanno ripetuto che il pensiero positivo è la chiave per avere una vita intensa e felice. “Fan***o la positività“, afferma invece il seguitissimo blogger Mark Manson. “Cerchiamo di essere onesti, ogni tanto le cose non vanno come avremmo voluto, ma dobbiamo imparare ad accettarlo“.
Per affrontare meglio questo concetto, nel 2017 l’autore ha pubblicato La sottile arte di fare quello che c***o ti pare. Il metodo scorretto (ma efficace) per liberarsi da persone irritanti, falsi problemi e rotture di ogni giorno e vivere felici (Newton Compton, traduzione di Micol Cerato), manuale da poco consigliato da Fedez nelle sue stories di Instagram e tornato nella classifica settimanale dei libri più venduti.
“Se siete in un periodo in cui avete un po’ di ansietta, di attacchi di panico, se avete una crisi mistica, questo è un fott**issimo libro che fa per voi – e di conseguenza anche per me”, ha commentato il rapper e influencer milanese.
In effetti, nel suo libro Marson dice le cose come stanno, optando per una dose di cruda, rinfrescante, pura verità. L’idea sostenuta al suo interno, avvalorata da studi accademici e arricchita da aneddoti di vita reale, è che migliorare la nostra vita non dipende dalla nostra capacità di affrontare con falsa positività le difficoltà che incontriamo, ma dall’imparare a riconoscerle.
Una volta che abbracciamo le nostre paure, i difetti, le incertezze, possiamo cominciare a trovare il coraggio, la responsabilità, la curiosità, e il perdono che cerchiamo. Ecco perché La sottile arte di fare quello che c***o ti pare è concepito come uno schiaffo in faccia a chi non vede l’ora di risvegliarsi da un triste torpore e vivere secondo le proprie aspirazioni.
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Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, pubblichiamo un estratto dal libro:
Il paradosso del fallimento/successo
Ormai vecchio, Pablo Picasso sedeva in un bar in Spagna, scarabocchiando su un tovagliolo usato. Lo faceva con noncuranza, disegnando qualunque cosa lo divertisse sul momento – un po’ come gli adolescenti che disegnano peni sulle porte dei bagni pubblici –, solo che lui era Picasso, perciò i suoi peni scarabocchiati erano più simili a meraviglie di impressionismo/cubismo messe a decorare leggere macchie di caffè.
In ogni caso, accanto a lui c’era una donna che lo guardava incantata. Dopo qualche minuto, Picasso finì il suo caffè e accartocciò il tovagliolo per gettarlo mentre se ne andava via. La donna lo fermò. «Aspetti», disse. «Potrei avere il tovagliolo su cui stava disegnando? Glielo pagherò».
«Certo», rispose Picasso.
«Ventimila dollari».
La donna si ritrasse di scatto come se le avesse appena tirato un mattone. «Che cosa? A disegnarlo ci ha messo circa due minuti».
«No, signora», disse Picasso. «Ci ho messo più di sessant’anni».
S’infilò il tovagliolo nella tasca e uscì dal bar.
Qualunque miglioramento è basato su migliaia di piccoli fallimenti, e l’ordine di grandezza del tuo successo dipende da quante volte hai fallito. Se qualcuno è più bravo di te in qualcosa, probabilmente è perché ha fallito più volte. Se qualcuno è meno bravo, probabilmente non è passato per tutte le dolorose esperienze d’apprendimento per cui sei passato tu.
Se pensi a un bambino che sta imparando a camminare, sai che cadrà e si farà male centinaia di volte. Ma non si fermerà mai a pensare: “Oh, camminare probabilmente non fa per me. Non sono bravo”.
Evitare il fallimento è qualcosa che impariamo più tardi nella vita. Sono sicuro che molto dipenda dal nostro sistema educativo, che giudica rigorosamente in base alla performance e punisce chi non va bene. Un’altra grande fetta di responsabilità spetta a genitori autoritari o critici che non permettono ai figli di sbagliare abbastanza spesso, e li puniscono invece ogni volta che provano qualcosa di nuovo o non predefinito. E poi abbiamo i mass media che ci espongono a un successo straordinario dopo l’altro, senza mostrarci le migliaia di ore di tedio e noioso
esercizio che sono state necessarie per ottenerlo.
Prima o poi, quasi tutti arriviamo al punto in cui abbiamo paura di fallire, in cui evitiamo istintivamente il fallimento e ci limitiamo solo a quello che ci mettono davanti o in cui siamo già bravi. Questo ci confina e ci soffoca. Possiamo avere veramente successo solo nelle cose per cui siamo disposti a fallire. Se non siamo disposti a questo, non abbiamo intenzione di avere successo.
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Buona parte di questo timore deriva dall’aver scelto dei valori del cazzo. Per esempio, se mi misuro in base allo standard del “Riuscire a piacere a tutti”, sarò in ansia, perché il fallimento è definito al cento percento dalle azioni degli altri, non dalle mie. Non ho il controllo;
perciò il mio valore dipende dal giudizio altrui. Mentre se adotto come metro di giudizio il “Migliorare la mia vita sociale”, posso rispettare il mio valore delle “buone relazioni con gli altri” indipendentemente da come gli altri reagiscono.
La mia autostima è basata sui miei comportamenti e sulla mia felicità.I valori del cazzo, come abbiamo visto nel capitolo 4, fanno riferimento a obiettivi esterni e tangibili al di fuori del nostro controllo. Perseguire questi obiettivi genera molta ansia. E se anche riusciamo a raggiungerli, ci fanno sentire vuoti e spenti, perché una volta ottenuto il risultato non ci sono più problemi da risolvere.
I valori migliori, come abbiamo visto, sono orientati al processo. Qualcosa come “Esprimermi con onestà verso gli altri”, un parametro del valore dell’“onestà”, non finisce mai del tutto; è un problema che ci impone di metterci costantemente in gioco. Ogni nuova conversazione, ogni nuova relazione porta con sé nuove sfide e occasioni di esprimersi onestamente. Il valore è un processo continuo che sfida il completamento.
Se il tuo metro di giudizio per il valore “successo secondo gli standard mondani” è “Comprare una casa e una bella auto”, e passi vent’anni a farti il culo per quello, una volta raggiunto l’obiettivo quel metro di giudizio non ha più niente da darti. Perciò dai pure il benvenuto
alla tua crisi di mezza età, perché ti hanno appena tolto il problema che ti ha guidato per tutta la vita adulta.
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Non ci saranno altre opportunità di crescere e migliorare, eppure è proprio la crescita a generare felicità, non una lunga lista di risultati arbitrari. In tal senso gli obiettivi, per come sono definiti convenzionalmente – laurearsi, comprare una casa sul lago, perdere sette chili – possono portare alle nostre vite solo una felicità limitata. Possono aiutarci nel conseguimento di benefici veloci e a breve termine, ma come guide per la nostra traiettoria generale fanno schifo.
Picasso è rimasto prolifico per tutta la vita. Ha vissuto fino a novant’anni suonati e ha continuato a produrre arte fino alla fine. Se il suo metro di giudizio fosse stato “diventare famoso” o “fare un fracco di soldi nel mondo dell’arte” o “dipingere mille quadri”, a un certo punto del suo percorso si sarebbe inaridito. Sarebbe stato preso dall’ansia o dal dubbio. Probabilmente non sarebbe più migliorato e non avrebbe innovato la sua arte come fece decennio dopo decennio.
La ragione del successo di Picasso è esattamente la stessa per cui, da vecchio, era felice di scarabocchiare da solo su un tovagliolo in un bar. Il suo valore sottostante era semplice e umile. Ed era infinito. Era il valore dell’“onesta espressione”. Ed è questo che rendeva tanto
prezioso quel tovagliolo.
(continua in libreria…)