Il cinema degli ultimi anni è spesso rimasto incantato dai loop temporali. Ora arriva nelle sale “Prima di domani” (“Before I Fall”), diretto da Ry Russo-Young e tratto dal romanzo young adult di Lauren Oliver. Un film che non è capace di trasformare gli innumerevoli déjà vu del melò adolescenziale attraverso il dispositivo narrativo e filosofico potente dell’incastro temporale… – La recensione

Il titolo originale di Prima di domani (tratto dal romanzo omonimo di Lauren Oliver pubblicato in Italia da Piemme), Before I Fall, richiama quella caduta (e ogni caduta, naturalmente, echeggia quella originaria) che la lingua inglese lega indissolubilmente alla malattia (to fall ill), al sonno (to fall asleep) e, non a caso, alla dimensione amorosa (to fall in love). Di questo abisso, porta e precipizio verso una vertigine – particolarmente nota agli adolescenti ma non estranea a ogni età – di sofferenza, sogno e sentimento, parla innanzitutto questa storia di coming of age, ideata dalla giovane, acclamata e fortunatissima autrice di successi per young adult, e messa in film dalla cineasta indipendente Ry Russo-Young (scrittrice e regista, entrambe newyorkesi, sono tutte e due nate all’inizio anni Ottanta).

La storia di Samantha e delle sue tre amiche racconta infatti un passaggio della linea d’ombra che, nell’ovattato e ricco ambiente di un college americano di provincia immerso fra le montagne, indaga le zone oscure e ci cala nelle foreste notturne dell’ingresso all’età adulta di una giovane donna, fra incomprensioni famigliari, rete amicale seducente ma ricattatoria e soffocante, pegni sociali da pagare e da far pagare che non tutti sono capaci di sostenere. È il giorno di Cupido, preludio/premessa di San Valentino, e il dono anonimo di una rosa (chi ne raccoglie di più colleziona più consenso) è un segno tangibile di apprezzamento sociale ma anche il simbolo di un rito di passaggio, suggestione fiabesca e cinematografica che, dal rosebud di Quarto potere al bagno di petali di Mendes, ben incarna le inquietudini, amorose, erotiche ed esistenziali, dell’American Beauty. E se la Bella della fiaba chiedeva al padre in regalo una rosa (in pieno inverno!), aprendo così la strada all’incantesimo della prigionia nel castello della Bestia, qui Samantha rimane incastrata nel giorno in cui ha progettato di perdere la verginità, che si rivela invece un eterno e mortifero incidente dal quale sembra impossibile salvarsi.

Una rosa è una rosa è una rosa, si potrebbe dire in poesia. E, proverbialmente, non c’è rosa senza spine. La ri-petizione ha il fascino abissale e ipnotico di una domanda di senso (e dei sensi) circolare, puntuta e dolorosa. La forma-formula di Ricomincio da capo, film capolavoro di Harold Ramis, diventa così la matrice (il seme) di un genere, forse un filone, o meglio un girone (avevamo già visto un remake italiano ufficiale, non troppo felice, con Albanese: È già ieri), di cui Prima di domani non è che l’ultima triste (nei toni, e per molti versi anche negli esiti) declinazione. Poiché non tutti i gironi, va detto, vengono col buco, e la ricorsività infernale dello stesso giorno, apoteosi della routine e ipostasi della paralisi, fatica di Sisifo (qui didascalicamente sottolineata da un professore alla lavagna) ed eterno ritorno, può pure girare a vuoto.

La condanna al sempre uguale mostra senz’altro una esigenza di intensione, di focus e concentrazione, potremmo dire di profondità, rispetto al dominio odierno dispersivo dell’estensione e della superficie (abbondanza consumistica, information overload, paradosso dell’eccesso di scelta che non permette di scegliere), ma lo stesso giochino può dimostrarsi un motivo stanco e ripetitivo quanto si era pensato e visto potesse rappresentare un tema originale e ficcante. Ché la tautologia può essere lapalissiana oppure profondamente e poeticamente rivelatrice: a volte basta un minimo scarto. Ecco che non è sufficiente rispolverare il perfetto meccanismo a orologeria, è proprio il caso di dirlo visto che del tempo si tratta, di una sceneggiatura impeccabile, capace di costruire, a partire da un meteorologo disincantato e cinico che rimane incantato e in bilico nel “giorno della marmotta”, un racconto filosofico profondo sostenuto da una fabula leggerissima. Non basta adattarla al “giorno della matricola”, attraverso il canovaccio convenzionale del libro della Lauren con gli stilemi del teen melodramma, calando la vicenda nei panni di una protagonista femminile sull’orlo dell’età adulta costretta ad affrontare crisi esistenziale e d’identità, per farne automaticamente qualcosa di nuovo e di valore.

Il cinema degli ultimi anni è spesso rimasto incantato dai loop temporali (si veda la curiosa pagina di Wikipedia dedicata al sotto-genere), e Prima di domani traduce alcuni dei dilemmi del geniale film di Ramis attraverso il filtro inquieto (a tratti horror), irrisolto (a tratti semplicemente mal scritto) e pieno di cliché, della narrativa da college. Tuttavia il film appare intrappolato nei suoi stessi topoi, prediligendo al ritmo comico preciso e spietato del modello, toni introspettivi e ridondanti New Age, e un gusto dell’immagine estetizzante da spot ben girato ma senz’anima.

E, gira che ti rigira, un film come questo, non è capace di trasformare gli innumerevoli déjà vu del melò adolescenziale attraverso il dispositivo narrativo e filosofico potente dell’incastro temporale. Ecco che il già visto perde ogni possibile vertigine dell’abisso, e anche la buona intuizione di chiudere il cerchio con la soluzione etica (e narrativa) di obbligare la protagonista a “mettersi nei panni dell’altro” non basta a redimere un film che manca di ritmo e che leviga ogni potenziale pietra d’inciampo, attutendo di fatto ogni caduta, e rendendo la pellicola un innocuo esercizio di stile e di stallo.

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