“Questione di virgole” non è una grammatica o un manuale, ma un racconto dedicato al corretto uso della virgola e del punto e virgola. E poi ci sono gli esercizi, le schede sugli “atroci dubbi” e le “provocazioni linguistiche”. Alla fine del percorso, si spera, si scriverà con un po’ meno virgole e qualche punto e virgola in più – Su ilLibraio.it un estratto

Questione di virgole (Laterza) è un racconto che, con leggerezza e rigore, accompagna il lettore per mano nel laboratorio alchemico della punteggiatura. Non è una grammatica o un manuale, ma una guida dedicata all’uso corretto della virgola e del punto e virgola.

Perché questi due segni? Perché rappresentano due tendenze contrapposte: la virgola ha fagocitato il punto e virgola e i due punti, e insieme al punto fermo rappresenta il novanta per cento della punteggiatura usata da chi scrive oggi; il punto e virgola, invece, è in via di estinzione. Con una virgola ben messa si può illuminare una pagina; con una virgola sbagliata si rischia di cambiare il senso del discorso o, peggio, di fare la figura degli asini. Ma perché la punteggiatura è così sfuggente? Nelle scuole primarie e secondarie, di interpunzione non se ne occupa più nessuno, all’università si scrive (e si corregge) sempre meno e pure chi dovrebbe dare il buon esempio, cioè giornalisti e scrittori, ha i suoi problemi. La punteggiatura sembra un accessorio da affidare al proprio istinto. Si ragiona “a orecchio” o, come si sente dire spesso, in “base alla respirazione”.

Questione di virgole

In questo libro, Leonardo G. Luccone, traduttore, agente letterario e fondatore dello studio editoriale Oblique, illustra gli usi corretti ed errati dei due segni, a partire dalla scrittura che abbiamo sotto il naso (giornali, romanzi, saggi, messaggi istantanei). E poi ci sono gli esercizi, le schede sugli “atroci dubbi” e le “provocazioni linguistiche”. Alla fine del percorso, si spera, si scriverà con un po’ meno virgole e qualche punto e virgola in più.

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it un estratto:

Quel vigile del punto e virgola

Ormai dovrebbe esservi chiaro: la punteggiatura mette in lu­ce le nervature del testo. Questi segnetti meravigliosi sono come torce che delineano la struttura, dando risalto ai piani del discorso, alla gerarchia dei contenuti e alle connessioni (attraverso meccanismi di avvicinamento e allontanamento). È per questo che una buona punteggiatura contribuisce a una buona leggibilità del testo e a una comprensione liscia del contenuto. Il punto e virgola, sulla base di questo criterio, è uno dei segni più potenti che abbiamo, perché ha un’incredi­bile capacità organizzativa dei segmenti del discorso.
Il punto e virgola dovrebbe essere congeniale a noi ita­liani, che abbiamo sempre mostrato una certa ritrosia per le decisioni nette, specie a quella grossa genia di amanti della sfumatura.
Il punto e virgola è un mezzotono, un modo per non fer­marsi bruscamente e per far capire che quello che segue è ben connesso con quanto appena detto. Vale quello che abbiamo sostenuto per la virgola: il punto e virgola separa e collega.
Il punto e virgola è il nostro grigio sulla tavolozza del bian­co e nero. Anzi è tutti i grigi. Per questo lo vogliono far fuori, perché è pieno di gente che non ama le mezzetinte.
Molte grammatiche se la cavano dicendo che il punto e virgola è una «pausa intermedia tra il punto e la virgola», but­tano lì un paio di esempi, precisando che è un segno, ahiloro, in via di estinzione (rieccola l’estinzione), provano ad elenca­re qualche buon motivo di redenzione e bum. Mi sembra che non sia nient’altro che un coccodrillo.
Ho detto «molte grammatiche», non tutte evidentemen­te, perché c’è un partito carbonaro di difensori del punto e virgola – scrittori, linguisti, gente comune – che lo usa con ossuta costanza.
C’è poi un drappello robusto di persone – anche piuttosto influenti, purtroppo – che negli anni si è accanito contro que­sto utilissimo segno. Purtroppo ce n’è uno che stimo parec­chio: Gérard Genette, e Genette ha detto: «Punto e virgola: colmo della villania; opporsi sempre».
A scuola, l’abbiamo ricordato, con la punteggiatura non ci si spezza certo la schiena, non si va a fondo e gli studenti esco­no dal liceo confusi. Più di un ragazzo ha ammesso: «Non so mai quando devo usarlo». Il punto e virgola è circonda­to da una nebbiolina d’incertezza. E poi c’è quest’altra cosa che mi fa andare fuori di testa. Ricordo che una volta quella buonanima della professoressa d’italiano disse che ci avrebbe fatto fare il dettato. Avevamo diciassette anni e voleva farci fare il dettato! «Prendo un brano di Savinio o di Malaparte, che usano tutti i segni di punteggiatura. Compreso il punto e virgola»; beh quel benedettissimo giorno arrivò e in classe eravamo in sei. «Vabbè, ragazzi, facciamolo lo stesso, non fa media». Avete presente mettere la punteggiatura a caso? Ricordo poi un terrore più che raddoppiato quando propo­si, più o meno con le stesse parole, ai miei allievi del corso per redattori di fare la stessa cosa. (E non ditemi che i bravi professori non vi lasciano qualcosa di definitivo.) Tre ragazze sono svenute, un paio si sono chiuse in bagno, un altro paio si sono fatte venire a prendere.
Perché la maggior parte di noi fino a un certo punto del­la vita è come se leggesse senza guardare la punteggiatura? Quante volte si sente dire: «Il più delle volte il punto e virgola può essere sostituito dal punto, o addirittura dalla virgola». Non sanno quello che dicono; non sanno quello che si per­dono.
Hanno fatto uscire dai gangheri pure uno compito come Piero Citati:

L’assassinio del punto e virgola è molto più grave dell’assassinio di padri, madri, figli, figlie, mariti, mogli, nonne, cognati di cui parla­no con infinita voluttà i nostri giornali. Una lingua deve la propria eleganza alla ricchezza dei suoi strumenti espressivi. […] Nessuno è inutile, perché essi segnano pause più o meno profonde, e danno ritmi diversi alla prosa. Se perdiamo la ricchezza della lingua, di­ventiamo incapaci di pensare, o di elaborare i nostri pensieri.
[P. Citati, Non uccidete l’eleganza del punto e virgola, «la Repubbli­ca», 7 aprile 2008]

Ha ragione su tutta la linea. Una volta un giornalista mi ha detto una cosa che mi ha fatto riflettere. «Ha troppa concor­renza, ci devi stare a pensare, e fai prima a usare il punto e la virgola». Per lui era una bandiera bianca, e rischia di esserlo per tanti, ma vedrete che avremo la meglio noi. Pronti?
Proviamo a fare tabula rasa partendo dall’ovvio, che è sem­pre meno ovvio. Il punto indica qualcosa di concluso: la frase è finita. Il che non vuol dire, chiaro, che la frase successiva non sia legata alla precedente. Diciamo che chi scrive ritiene opportuno (vedete come ho appena fatto io) ripartire con un nuovo impeto. La virgola ci mantiene sullo stesso passo, non conferisce al periodo particolari cambi di intensità. Il punto e virgola – che non a caso è un miscuglio tra i due segni – è una sirena per avvertire il lettore che la frase che sta per leggere è al tempo stesso indipendente e legata a quella che la precede.
A rigore, il punto e virgola si dovrebbe impiegare quando serve un’interruzione forte sul piano della forma (cioè quan­do la virgola non basta e il punto è troppo), ma quest’inter­ruzione non è così forte sul piano del contenuto. Che detto in altri termini vuol dire che ciò che viene dopo il punto e virgola è abbastanza legato a ciò che è stato detto prima.

(Continua in libreria…)

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