“Sete” è il nuovo romanzo di Amélie Nothomb, con il quale è arrivata seconda al premio Goncourt 2019. Nothomb questa volta si è cimentata in una personale versione della Passione di Cristo, in cui il Figlio di Dio, rappresentato in modo umano, riflette come voce narrante sul suo destino… – Su ilLibraio.it un estratto

“Ho sempre saputo che mi avrebbero condannato a morte”: pochi personaggi hanno questa certezza. E infatti, a parlare in prima persona in Sete (Voland), il nuovo romanzo di Amélie Nothomb, pseudonimo di Fabienne Claire Nothomb, è proprio Gesù Cristo, che è protagonista e voce narrante.

Nothomb, molto amata anche in Italia, è una scrittrice belga nata in Giappone, paese di cui è innamorata: non a caso sono numerose le sue opere ambientate in terra nipponica. Nella sua infanzia ha viaggiato tra Giappone, Cina, Stati Uniti e Bangladesh, vivendo esperienze che le sono state più volte di ispirazione.

amélie nothomb sete

Autrice prolifica, tra i suoi romanzi più conosciuti troviamo il suo esordio, Igiene dell’assassino, Stupore e tremori  (tradotti da Bruno Biancamaria), Biografia della fame (tradotto da M. Capuani, tutti editi da Voland), ma sono solo alcuni della sterminata produzione di Nothomb, nella quale rientrano anche saggi e testi teatrali.

Nothomb è celebre per la sua disciplina nello scrivere quotidianamente, che le ha permesso di pubblicare un libro all’anno e giungere, con Sete, al traguardo del ventottesimo romanzo; tradotti in oltre quarantacinque lingue, i suoi lavori sono stati anche oggetto di trasposizioni cinematografiche e teatrali.

Nothomb, che di solito per i suoi libri trae molta ispirazione dalle proprie vicende personali, questa volta si immerge nella mente di una delle figure che più ha cambiato la storia della cultura occidentale. Cristo è rappresentato in modo umano: innamorato di Maria Maddalena, figlio amorevole e sofferente nel corpo. Con Sete Nothomb riflette sull’incarnazione e sul corpo, sul peccato e sulla redenzione, mescolando cattolicesimo e laicismo.

Anche attraverso digressioni sulla fede e sulla forza consolatoria della religione, in quest’opera che si pone come versione personale della Passione, Cristo si interroga sul proprio destino di Figlio di Dio.  Arrivato al secondo posto al Premio Goncourt 2019, in cima alle classifiche di vendita in Francia, Sete è un una riflessione sull’amore e sulla colpa, che celebra la vita ed esalta l’intricato meccanismo con cui corpo e mente sono legati.

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it pubblichiamo un estratto del libro:

Non è un caso se ho scelto proprio questa regione del mondo: non mi bastava che fosse un paese dilaniato politicamente. Mi occorreva una terra ad alto tasso di arsura. Nessuna sensazione come la sete riesce a evocare meglio ciò che voglio ispirare. Forse perché nessuno l’ha mai provata quanto me.

In verità vi dico: ciò che sentite quando state morendo di sete, coltivatelo. Lo slancio mistico non è che questo. E non è una metafora. La fine della fame si chiama sazietà. La fine della stanchezza si chiama riposo. La fine della sofferenza si chiama conforto. La fine della sete non ha nome.

La lingua, nella sua saggezza, ha capito che non è possibile creare il contrario di sete. Ci si può dissetare, ma la parola dissetamento non esiste.

Ci sono uomini che pensano di non essere dei misti- ci. Sbagliano. Basta essere stati sul punto di morire di sete, anche solo per un attimo, per avere pieno diritto a questo appellativo. L’istante ineffabile in cui l’assetato porta alle labbra un bicchiere d’acqua è Dio.

È un istante di amore assoluto e di meraviglia senza limiti. Colui che lo vive, nel momento in cui lo sta vivendo, non può che essere nobile e puro. Io sono venuto a insegnare questo slancio, nient’altro. La mia parola è di una semplicità tale da risultare sconcertante.

È una cosa talmente semplice da essere votata all’insuccesso. L’eccessiva semplicità è un ostacolo alla comprensione. Bisogna conoscere la trance mistica per aprirsi allo splendore di quello che il pensiero umano di norma definisce come indigenza. La buona notizia è che la sete portata al suo estremo è una trance mistica perfetta.

Io consiglio di prolungarla. Che l’assetato ritardi il momento di bere. Non indefinitamente, ovvio. Non si tratta di mettere la propria salute in pericolo. Non chiedo di meditare sulla propria sete, chiedo di sentirla a fondo, corpo e anima, prima di estinguerla.

Provate a fare quest’esperienza: dopo aver patito a lungo la sete, non bevete l’acqua del vostro bicchiere d’un fiato. Prendetene un sorso, tenetelo in bocca per qualche secondo prima di mandarlo giù. Prendete coscienza di questa meraviglia. Questa sensazione abbacinante è Dio.

Non è la metafora di Dio, lo ripeto. L’amore che state provando in quel preciso istante per il sorso d’acqua è Dio. Io sono colui che prova questo esatto amore per tutto l’esistente. Questo è essere il Cristo.

Fino a oggi non è stato facile. Domani sarà mostruosamente difficile. Allora, per riuscirci, voglio prendere una decisione che mi aiuterà: non berrò l’acqua della brocca che il carceriere ha lasciato nella cella.

La cosa mi rende triste. Mi sarebbe piaciuto provare per l’ultima volta la più sublime tra le sensazioni, la mia preferita. Ci rinuncio in piena coscienza. È un’imprudenza: la disidratazione mi renderà più debole quando dovrò portare la croce. Ma mi conosco al punto da sapere che la sete mi proteggerà. Può raggiungere un’ampiezza tale da far tacere ogni altra sofferenza.

(Continua in libreria…)

Fotografia header: GettyImages 13-02-2020