Poco tempo fa, tutti credevano di sapere cosa fosse uno stupro, e non mancavano i pregiudizi. Ora, in parte, non è più così. Il cambiamento è iniziato già negli ’70, quando si diffuse l’espressione “cultura dello stupro”, che stava a indicare diverse forme di violenza, non solo quella fisica. Una violenza che non aveva a che fare con il desiderio sessuale, ma con il potere. E oggi, dopo l’esplosione del movimento #MeToo, cosa intendiamo quando usiamo la parola “stupro”? Un approfondimento, che parte dalla riflessione della giornalista Susan Brownmiller, passando per i saggi di Roxane Gay e Germaine Greer, fino ad arrivare a film e serie come “The Tale” e “Three Girls”

Nelle scorse settimane su Minima&Moralia è apparso Dove credi di andare, un racconto firmato da Violetta Bellocchio. Si potrebbe cercare di riassumere di cosa parla, ma sarebbe inutile e controproducente. Certe parole non meritano di essere contratte, racchiuse in una sintesi grossolana; meritano di essere lette. Tutte quante, senza saltare righe e paragrafi, senza fretta di arrivare alla fine. Soprattutto perché un pezzo come quello dell’autrice de Il corpo non dimentica (Mondadori, 2014) e La festa nera (Chiarelettere, 2018) non era ancora apparso su una rivista italiana. Erano stati pubblicati tantissimi post su Facebook e su Twitter, accompagnati da #MeToo o #Quellavoltache, ma un testo così non c’era ancora stato.

Fino a poco tempo fa, tutti credevano di sapere cosa fosse uno stupro. Ora non è più così. Il cambiamento non è certo cominciato adesso: già negli anni Settanta si inizia a parlare di stupro non tanto come un’azione, ma come un atteggiamento, un modo di pensare. Per questo viene coniata l’espressione “cultura dello stupro“, termine che serve a indicare diverse forme di violenza, non solo quella fisica.

È la giornalista Susan Brownmiller, nel 1975, a darne una definizione, secondo la quale lo stupro è “un processo cosciente di intimidazione con cui tutti gli uomini mantengono tutte le donne in uno stato di paura“. Nell’autunno dello stesso anno, Brownmiller viene nominata dal Time the first rape celebrity who is neither rapist nor rapee”. La sua celebrità è dovuta al successo di Against Our Will: Men, Women and Rape, il primo libro che parla dello stupro come un problema politico.

against our will

Nel saggio vengono analizzati e smontati due pregiudizi legati allo stupro: quello secondo cui è dovuto a un’incontenibile attrazione sessuale dell’uomo, e quello per il quale la donna, da essere masochista e seduttivo per natura, desideri intrinsecamente essere stuprata. In altre parole, secondo Brownmiller gli stupratori non violentano perché hanno voglia di fare sesso. Non violentano perché eccitati dalla vista di una scollatura provocante, o di una gonna troppo corta. Gli stupratori violentano perché desiderano esercitare un potere psicologico (e anche fisico) sulla donna.

Brownmiller elabora un nuovo discorso, svincolando lo stupro dalla dimensione sessuale e descrivendolo come espressione di una società patriarcale e misogina. Per convalidare la sua teoria, la giornalista cerca di ricostruire una “storia dello stupro“, raccontando episodi di violenza sessuale dal tempo dei babilonesi fino all’epoca moderna e mostrando come lo stupro fosse una vera e e propria tattica di guerra, usata per punire e degradare la vittima.

Con Against Our Will, Brownmiller analizza anche i comportamenti stereotipati che le donne e gli uomini adottano quando entrano in contatto. Nel momento in cui si relaziona con una donna, l’uomo si mostra benevolo, galante e utilizza complimenti per lusingarla. Ma dietro questi apprezzamenti, in realtà, si cela un atteggiamento maschilista che confina la donna a un ruolo subalterno, perché la pone in uno stato di costante soggezione. Si fa riferimento soprattutto agli apprezzamenti sull’aspetto fisico, o ai fischi per strada, che la giornalista definisce “un insulto deliberato a corto di assalto fisico”.

not that bad

Le posizioni di Brownmiller sono state spesso criticate perché considerate troppo estreme, soprattutto negli anni in cui sono apparse, ma è innegabile che sia stato il suo pensiero a porre le basi del movimento anti-stupro che oggi, oltre alle esperienze femminili, include anche quelle maschili.

Recentemente, la scrittrice e attivista Roxane Gay, che ha curato la raccolta di saggi Not That Bad, riprende il termine “cultura dello stupro” e lo utilizza per indicare tutto quello che c’è intorno allo stupro: relazioni tossiche, molestie da strada, circuizione, ma anche semplicemente paura che possa verificarsi una violenza sessuale. In particolare il saggio si concentra su come le vittime raccontano le proprie esperienze d’abuso. Spesso parlano dopo molti anni dall’accaduto e, di conseguenza, la loro versione è sempre più edulcorata. Come se, nel ricordo, l’evento apparisse meno grave.

Il film-documentario The Tale mostra esattamente come la memoria possa alterare (rimuovere, deformare, sfumare) lo stupro vissuto. È la storia autobiografica della regista, Jennifer Fox, che ritrova una lettera scritta quando era praticamente una bambina, in cui racconta di aver perso la verginità a 13 anni con il suo allenatore di equitazione quarantenne.

Già dal titolo si capisce che il centro del film è proprio il modo in cui la protagonista racconta a se stessa l’abuso subito. Non si definisce mai una vittima, perché ricorda il rapporto tra lei e l’uomo come un legame speciale e romantico. La consapevolezza di essere stata stuprata è completamente assente. Per questo molti hanno definito il film come “the mother of all #MeToo movies“, perché mostra con chiarezza come il concetto di consenso sia molto diverso da quello che pensiamo. La scelta registica più forte è nella messa in scena del ricordo: l’attrice che interpreta la Jennifer tredicenne ha un corpo e una fisicità già sviluppati, ma solo quando lo spettatore vede una fotografia reale si rende conto che Jennifer, ai tempi dell’accaduto, era una bambina.

Lo stesso argomento viene affrontato, anche se in modo molto diverso, nella mini serie Three Girls, che riporta un caso di cronaca avvenuto a Rochdale, una piccola località nei pressi di Manchester, dove un gruppo di uomini adescò, sfruttò e stuprò per anni ragazzine minorenni provenienti da famiglie difficili.

Le ragazze vengono irretite proprio come si fa con i bambini: offrendo loro cioccolata, panini, patatine e un posto lontano dagli adulti dove trascorrere i pomeriggi. Ma non solo: tra i regali ci sono anche alcol e sigarette, che altrimenti, data la loro età, non avrebbero potuto acquistare. Al di là della trama, quello che colpisce è la totale mancanza di percezione da parte delle vittime (se si esclude la protagonista, che non a caso è l’unica ad avere una rete famigliare forte): una di loro, quella più piccolina, è convinta di essere la fidanzata di uno degli stupratori. Afferma di esserne innamorata e di aver avuto con lui solo rapporti consensuali.

Un altro tema su cui insiste la serie è la difficoltà nel condannare legalmente uno stupro in assenza di prove. Nella maggior parte dei casi, chi subisce un abuso prova a denunciarlo senza essere ascoltato o senza che vengano presi provvedimenti. Nel saggio On Rape, l’attivista Germaine Greer arriva provocatoriamente  a dichiarare che le sanzioni penali per lo stupro dovrebbero essere ridotte, proprio perché non si può sempre dimostrare di essere stati abusati: questo è “l’irrisolvibile enigma del consenso”.

on rape

Nella maggior parte dei casi lo stupro non è un’azione violenta, ma piuttosto un sesso “pigro, distratto e insensibile”. Per questo Greer sostiene che è impossibile per le vittime ottenere giustizia attraverso un sistema che richiede che l’accusa dimostri oltre ogni ragionevole dubbio che il consenso era assente, e in cui solo una piccola parte di stupratori viene realmente punita. Per quanto sia stata attaccata per le sue dichiarazioni, Greer cerca di portare alla luce la difficoltà di riconoscimento delle vittime e ribadisce con insistenza la banalità dello stupro, la sua quotidianità: “Puoi stuprare una donna addormentata senza nemmeno svegliarla. Lo stupro fa parte del tessuto quotidiano della vita”. I perpetratori sono raramente “mostri”; di solito la vittima conosce l’aggressore e può non percepire l’assalto come uno stupro.

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È esattamente a causa di questa “banalità” che è difficile definire cosa sia uno stupro. Nella vita di tutti i giorni moltissime donne e ragazze si trovano a subire abusi, sessuali e psicologici, senza neanche rendersene conto. Torna in mente il racconto di Violetta Bellocchio citato all’inizio, in cui la scrittrice scrive: “Era una persona che mi piaceva e di cui mi fidavo, con cui c’era già stato un contatto fisico semi-consensuale, e con cui, se avessi potuto scegliere, penso sarei arrivata a fare quello che mi è stato imposto“. Probabilmente è la tendenza a parlare dello stupro solo con toni neri e tragici a generare questo equivoco. E non perché l’argomento non sia tragico, ma perché molto spesso la tragedia non è così evidente.

Prendiamo per esempio American Bitch, il terzo episodio della sesta stagione di Girls, di cui si è parlato ampiamente ma che, in questi casi, risulta sempre un ottimo riferimento. In un articolo del New Yorker, Emily Nussbaum scrive che la protagonista, Hanna, pur essendo stata manipolata e portata contro la sua volontà ad avere un contatto con un uomo, difficilmente potrebbe reggere un’accusa davanti a un giudice, perché non è stata costretta fisicamente, ma ha fatto spontaneamente una mossa verso di lui.

La puntata ha ovviamente attirato l’attenzione, soprattutto quella di chi ne elogiava la finezza e l’originalità con cui l’argomento veniva affrontato. Dall’altra parte, però, ci sono stati anche tanti che l’hanno ritenuta noiosa, sconclusionata e inutile nell’economia della serie. Tanti hanno sbuffato, pensando che si trattasse dell’ennesimo discorso femminista di Lena Duhnam (non si conta più il numero degli interventi di chi si lamenta di chi parla di femminismo). Ma forse è proprio ascoltando e leggendo questi commenti che vieni da chiedersi: davvero ne abbiamo parlato abbastanza? E in che modo? Abbiamo capito cos’è veramente uno stupro? 

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