Una rivisitazione in salsa vittoriana del mito di Amore e Psiche, ma anche una critica salace al mondo delle signore dell’epoca: ecco cosa propone ne “Il cuore vero” la scrittrice britannica Sylvia Townsend Warner (1893 – 1978), già autrice di “Lolly Willowes”, storia di una donna single che diventa strega per sfuggire alla società degli anni Venti… – Un approfondimento dedicato all’autrice e ai suoi romanzi (da riscoprire)

Una rivisitazione in salsa vittoriana del mito di Amore e Psiche, ma anche una critica salace al mondo delle signore dell’epoca, interessate alla beneficenza non per far del bene ai bisognosi ma per aspirare alla nobiltà. Ne Il cuore vero (Adelphi, traduzione di Laura Noulian) la scrittrice britannica Sylvia Townsend Warner crea un’eroina, Sukey Bond, che grazie alla purezza d’animo e a una serie di avventure rocambolesche riesce a ritrovare l’amato Eric, figlio di una signora che lo ha ripudiato per via della sua instabilità mentale, e a sposarlo.

Pubblicato per la prima volta nel 1929 e ambientato nelle marcite dell’Essex – che la scrittrice ha visitato più volte negli anni Venti, dopo aver acquistato una mappa della regione, attratta dai nomi inusuali di alcune località – Il cuore vero è il terzo romanzo di un’autrice che è stata dimenticata per anni, pur avendo raccontato i cambiamenti della società inglese dall’epoca vittoriana al primo dopoguerra.

Ne Il cuore vero, oltre a rileggere un mito in chiave contemporanea, si dedica a una critica della religione, che ha dato a Sukey una serie di prescrizioni su come vivere la sua vita che si rivelano del tutto inutili quando la ragazza si trova al di fuori dalle mura dell’orfanotrofio, e della società.

Figlia del direttore di un collegio maschile di Harrow, Sylvia Townsend Warner è stata educata in casa dal padre e alla morte di quest’ultimo, avvenuta nel 1916 – quando la donna aveva 22 anni – visse un trauma che definisce “una mutilazione”, tanto era stretto il legame con lui.

Appassionata di musica classica, ha studiato e svolto ricerche sulla musica medievale, ma nel 1922, proprio visitando l’Essex, ha una rivelazione: si sarebbe dedicata alla letteratura.

Scrive poesie e poemi ispirati alla forma classica della ballata, ma decide di trattare tematiche contemporanee come il sesso, la malattia, la morte.

Dopo aver letto i resoconti di alcuni processi alle streghe avvenuti in Scozia nel Sedicesimo secolo, rimane affascinata da come la stregoneria per le quelle donne fosse l’unica via di fuga dalle loro “vite dure e da un futuro noioso”. Così nasce l’idea di scrivere un romanzo sulla stregoneria, ma ambientato nella sua epoca, gli anni Venti.

Sylvia Townsend Warner

Lolly Willowes (in uscita nell’edizione tascabile per Adelphi, nella traduzione di Grazia Gatti), vede protagonista una donna “benestante e con tutta probabilità destinata a non sposarsi” che diventa strega per sfuggire alla vita da zia single che la società le vuole imporre.

Proprio nel primo dopoguerra la figura della donna single viene vista con ostilità. Se, fino all’epoca vittoriana, era naturale che le figlie non sposate rimanessero in famiglia per prendersi cura dei genitori anziani, dopo la guerra la paura di avere un “surplus” di donne per via delle ingenti perdite di giovani uomini durante il conflitto, influenza la visione della figura della donna single. Alla donna sposata si contrappone il “problema sociale” della “zitella”.

Nel romanzo Townsend Warner denuncia con ironia la situazione delle donne single e sottolinea come esse possano comunque accedere al potere che viene loro negato, attraverso vie illecite – come fa la protagonista tramite la stregoneria.

La figura della donna non sposata è probabilmente una riflessione che nasce dalla situazione stessa della scrittrice: per anni è stata legata a un uomo sposato, Percy Buck. E dal 1930 Sylvia Townsend Warner ha convissuto con la poetessa Valentine Ackland nella campagna del Devon, fino al decesso della compagna avvenuto nel 1969. La scrittrice, invece, si è spenta nel 1978. Dopo la sua scomparsa sono state pubblicate due raccolte dei carteggi tra le donne.

Anche nei romanzi non ancora tradotti in italiano – Mr Fortune’s Maggot, Summer Will Show, The Corner that Held Them, After the Death of Don Juan e The Flint Anchor – e nei suoi racconti l’autrice ritorna alle tematiche che l’hanno resa celebre: la figura della donna in una società patriarcale, la visione critica nei confronti della cristianità, personaggi bisessuali e le descrizioni della natura che diventano parte fondamentale della narrazione. L’ironia è la lente che le permette di denunciare le ingiustizie del suo mondo, mentre il fantastico è l’elemento che rende possibili le strampalate vicende imbastite dalla sua penna.

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