Al di là del titolo provocatorio (“Musica di merda – Parliamo d’amore e di Cèlin Dion, ovvero: perchè pensiamo di avere gusti migliori degli altri”), quello di Carl Wilson è uno dei saggi musicali più interessanti degli Anni Zero. Il Libraio pubblica il capitolo scritto dall’ex bassista dei Nirvana Krist Novoselic…

Nel 2007, Carl Wilson (critico musicale di Slate e collaboratore di New York Times, Atlantic e altre testate) decise di capire cosa si nascondeva dietro la popolarità (e, all’estremo opposto, il sarcasmo) di cui era oggetto una delle maggiori popstar del mondo, Cèlin Dion. La cantante canadese rappresentava la candidata ideale, seppur inconsapevole, per indagare un fenomeno che riguarda tutti noi, in quanto consumatori di prodotti culturali: come scegliamo di definire noi stessi, nel momento in cui stabiliamo cosa è “di qualità”, e cosa non lo è. Il risultato, “Musica di merda – Parliamo d’amore e di Cèlin Dion, ovvero: perchè pensiamo di avere gusti migliori degli altri” (ora nelle librerie italiane per Isbn edizioni), è un testo che nel corso degli anni è diventato un classico della critica musicale: divertente e colto allo stesso tempo.

Nella versione italiana sono presenti anche 13 brevi saggi firmati da scrittori e giornalisti come Nick Hornby, Jason King, Owen Pallett, Ann Powers, Marco Roth, Sukhdev Sandhu, Jonathan Sterne e l’ex bassista dei Nirvana Krist Novoselic

Musica Di Merda

Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo un capitolo

Con le luci accese è meno inutile

di Krist Novoselic 

Krist Novoselic, l’ex bassista dei Nirvana, sa bene cosa significhi trovarsi all’apice dell’equazione della coolness, e con quanta rapidità la situazione possa capovolgersi, trasformandoti da outsider dispensatore di critiche a bersaglio delle critiche stesse. Più tardi nel corso della sua carriera è passato a un settore che, pur non essendo privo delle sue peculiari forme di ostentazione, per molti versi è il contrario di quello musicale: il mondo entusiasta e instabile dell’impegno politico, in particolare nell’ambito del sistema elettorale statunitense. Ha fondato il jampac (Joint Artists and Musicians Political Action Committee) e ha fatto parte di altre organizzazioni di attivisti politici. Gli ho chiesto una riflessione su ciò che ha imparato da questi due diversi modi di sperimentare le tribù sociali e gli ideali democratici. – C.W.

 

La prima recensione di un disco dei Nirvana fu negativa. Mi ricordo che diceva che somigliavamo ai Lynyrd Skynyrd, ma con meno scintille. Un paragone del genere non poteva non inquietarci. I Lynyrd Skynyrd avevano scritto alcune belle canzoni (si veda il riff heavy di Saturday Night Special), ma c’erano altre implicazioni che andavano al di là della musica. Dal punto di vista culturale erano diversi da noi. Il confine consisteva nel fatto che eravamo contrari all’etica reazionaria sudista degli anni settanta. La bandiera dei ribelli confederati, che occupava un posto centrale nell’immaginario del rock sudista, era anche un’icona dello hair metal degli anni ottanta. Perciò, anche se era in gamba, un gruppo come i Lynyrd Skynyrd andava tenuto a distanza, per non contaminare la nostra etica e la nostra sensibilità. La posizione anti establishment dei Nirvana affondava le radici nel punk degli anni settanta e ottanta. Avevamo il nostro simbolo di ribellione: la A cerchiata dell’anarchia. Il fatto che le cheerleader la indossino nel video di Smells Like Teen Spirit non era una questione di moda: mostrare quel simbolo era un’affermazione di valori consapevole, anche se legata ai media del potere costituito. Nel 1992 era necessario dare l’assalto all’establishment del rock, e fu il nostro album «Nevermind» a guidare la carica. In pratica dal giorno alla notte si instaurò un nuovo regime musicale, e le band che si ispiravano all’hard rock anni settanta furono scalzate da gruppi legati al punk. Eppure, nonostante il cambiamento nello stile musicale, sotto molti aspetti l’industria del rock rimase la stessa. Cosa sarebbe successo se avessimo assunto posizioni di principio indipendenti, sul modello di gruppi come i Pavement o i Fugazi, che avevano rifiutato di firmare contratti con le major? Saremmo mai stati inseriti nelle principali reti di distribuzione che dominavano all’epoca? Io non credo. La rivoluzione dei Nirvana era trasmessa a rotazione continua su mtv, la consociata di una multinazionale. La nostra etichetta, la dgc, era una divisione che faceva capo alla Matsushita, un colosso industriale giapponese. Eppure, pensate alle interviste rilasciate dai Nirvana all’epoca del boom del gruppo, dove ci davamo da fare per promuovere band a noi affini ancora sconosciute. Sapevamo di trovarci nel ventre della bestia e volevamo operare un cambiamento sociale grazie al potere della musica. E sono convinto che siamo riusciti a trasmettere il messaggio. Sembra che ci sia stato un impatto che è andato al di là del fatto che altri gruppi facessero proprie le dinamiche musicali che noi conoscevamo così bene. L’arrivo di «Nevermind» al primo posto in classifica ha reso possibile un legame tra il rock e la coscienza sociale, proprio come era accaduto una generazione prima. È stato un effetto concreto. Tuttavia, una cosa è essere consapevoli dei problemi, e un’altra è organizzare un movimento. Noi eravamo un gruppo rock, non attivisti politici. C’erano i roadie, perciò non avevamo nemmeno più bisogno di trasportare e montare l’equipaggiamento. Suonavamo, ma non eravamo noi a organizzare gli spettacoli. Ai giorni nostri negli Stati Uniti c’è più gente che si impegna in politica attraverso internet e i social network rispetto a quella che va ad ascoltare le sedute pubbliche dei parlamenti locali o statali. I commenti in rete sono recensioni istantanee da parte dei lettori, che possono arrivare anche a diverse migliaia su un unico argomento. Ma chi diavolo volete che li legga tutti? D’altra parte, può capitare che a un’udienza pubblica ci siano solo un paio di persone a osservare autentici legislatori che svolgono la propria funzione di rappresentanti del popolo. Una riforma sociale concreta è possibile solo coinvolgendo il governo, ed ecco perché ce ne sono così poche! Al loro posto abbiamo idee di sovversione come quelle del recente movimento Occupy. All’inizio sembrava promettente, un gruppo di persone piene di passione riformatrice che si facevano avanti e cercavano davvero di ottenere qualcosa. Sfortunatamente poi si è trasformato in un branco di gente che correva alla cieca lungo i vicoli bui. Io me ne sono accorto abbastanza in fretta, perciò non ho mai aderito né appoggiato Occupy. Dev’essere stato un sollievo per molti uscire in strada a gridare quello che gli pesava dentro, un’attività molto più divertente che starsene lì seduti ad ascoltare una noiosa udienza pubblica. Quelli che vanno alle udienze sono tipi mainstream che probabilmente ascoltano Céline Dion, non certo il genere di musica sovversiva che fornisce la carica per dare l’assalto alle barricate. Nel 2000 ho visto le immagini della caduta di Slobodan Milošević su un canale di notizie della tv via cavo. Il parlamento serbo era preso d’assalto dai manifestanti, e a un certo punto sono caduto dalla sedia quando ho sentito una canzone rimbombare tra il fumo nero che si levava fuori dalle finestre: era Smells Like Teen Spirit! E ho pensato: «Accidenti, questo sì che è un bel video musicale!». L’organizzazione richiede la sottomissione a un gruppo, non la sovversione. Ricordate che un sinonimo di «band» è «gruppo»: la band lavora insieme per creare il proprio sound. In un’associazione politica invece di chitarristi e batteristi il gruppo elegge dirigenti e approva delibere, secondo le regole stabilite nel manuale di procedura parlamentare Robert’s Rules of Order o in testi simili. In Musica di merda, Carl Wilson sottolinea che non si può pensare di essere un hipster in politica, perché la politica coinvolge le vite degli altri. La verità è che quelli che coltivano un’immagine di sé da sovversivi hanno bisogno di lavorare a fianco dei fan mainstream di Céline Dion per realizzare i propri scopi riformatori. Questo non significa che uno debba per forza ascoltare le canzoni di Céline Dion, o che un altro debba per forza fare sua una certa sottocultura. Però è necessario ascoltare gli altri e lavorare con loro, proprio come succede in una buona band.  Vedetela così: immaginate che un movimento culturale alternativo riesca a prendere d’assalto un campidoglio. Dopo che la musica finisce e la gente se ne va, chi è che resta lì a pulire i vetri infranti e i mobili rotti e a organizzare riunioni per affrontare le esigenze del popolo? La risposta si troverà sempre tra le persone disposte ad affrontare ore e ore di riunioni, e la maggior parte di loro somiglia di più ai fan di Céline Dion. Questo non significa affermare che gli appassionati di musica rock che preferiscono dare l’assalto agli edifici non possano essere coinvolti; fa parte del viaggio al termine del buon gusto. Ma chi farà il custode del nuovo parlamento? Se il messaggio è che i fan di Céline Dion non devono proporsi, la cosa puzza molto di oppressione. Proprio come cantavano gli Who: «Meet the new boss, same as the old boss».  Non datemi del venduto perché ho l’aria di uniformarmi alle norme politiche precostituite. Sono il presidente dell’unico gruppo in tutti gli Stati Uniti che sostiene la rappresentanza proporzionale. Attualmente sono un elettore indipendente che si è schierato a favore della libertà di associazione politica, la quale sta soffrendo sotto il monopolio di stato sulle nomination di partito. Sono un membro attivo dell’Order of Patrons of Husbandry, un’organizzazione super partes con radici profonde che risalgono al xix secolo. Suono parecchio la fisarmonica, il che è molto poco hipster, immagino. Potrei sostenere che queste forme di impegno politico sono tutte assolutamente sovversive; ma se lo ammettessi farei saltare la mia copertura, perciò non lo farò. Wilson rende il concetto con questa affermazione: «Ciò che i critici liberal etichettano come sovversivo raramente ha a che fare con riforme sociali concrete». Io mi impegno per le riforme sociali concrete. Atteggiarsi a sovversivi è molto affascinante, ma senza un’azione concreta non è altro che una posa. Naturalmente certi hipster maltratteranno Céline Dion, ma si tratta di un atteggiamento troppo facile da parte di chi nutre e coltiva un’immagine autocompiaciuta di sé. Io faccio le cose a modo mio: perché, come canta Céline Dion, My Heart Will Go On.

 (continua in libreria…)

Fotografia header: Cèlin Dion

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