Da #OccupayIsbn (polemica sulla Isbn edizioni di Massimo Coppola – nella foto -, che da un anno e mezzo non paga traduttori e non solo), al difficile momento che vivono tanti piccoli editori (e, di conseguenza, tanti lavoratori). Nei giorni in cui si discute della probabile acquisizione di Rcs Libri da parte di Mondadori, si fa sempre più sentito il tema del precariato nel mondo del libro… – Il punto della situazione

Mentre sui giornali tradizionali a dividere il mondo dell’editoria sono la gestione futura del Salone del libro di Torino appena archiviato, come pure l’annuncio che l’Arabia Saudita sarà il Paese ospite al Lingotto nel 2016, da giorni, in rete e nelle discussioni private tra addetti ai lavori, tiene banco la polemica, ben più concreta, dal “titolo” #OccupayIsbn: come, in ritardo, e solo a querelle già scoppiata, ha spiegato lo stesso co-fondatore della casa editrice indipendente milanese Isbn edizioni, Massimo Coppola, ex volto di Mtv, conduttore di Masterpiece e attuale direttore dell’edizione italiana di Rolling Stone, da circa un anno e mezzo Isbn non paga traduttori, autori e collaboratori esterni.

Non solo: anche se in pochi l’hanno fatto notare, a Isbn è rimasto solo Coppola: tutti i dipendenti hanno infatti perso il loro posto di lavoro. “Stiamo ancora cercando una via d’uscita, ma la strada non sembra facile, tutt’altro. Faremo ogni sforzo, come abbiamo sempre fatto, per riuscire a pagare quel che dobbiamo…”, ha scritto Coppola scusandosi, e ringraziando Luca Formenton, già socio della casa editrice, per le cifre “davvero considerevoli immesse nell’arco dei dieci anni di vita dell’attività”. Della vicenda, dal punto di vista economico, ha scritto oggi Italia Oggi.

Un passo indietro. Come, lo scorso 8 maggio, è nato il caso (da alcuni tweet dello scrittore britannico Hari Kunzru) lo ha raccontato Wired, che ha citato altre situazioni difficili (sì, in difficoltà con i pagamenti non c’è solo Isbn Edizioni, come ben sanno, purtroppo, traduttori, autori, agenti e consulenti editoriali, ndr).

Poi sono arrivati numerosi altri post, tweet e articoli. Il blog minima et moralia ha prima ospitato un intervento di Christian Raimo e, a seguire, la lettera (firmata) che una dozzina di persone, che hanno lavorato per Isbn, hanno voluto inviare pubblicamente a Coppola, anche per criticare i toni da lui usati.

Le scuse tardive dell’editore, com’era inevitabile, non hanno infatti placato la rabbia di chi da Isbn non è stato pagato. E in questa vicenda, tra l’altro, va specificato che il carattere dell’editore ha giocato un ruolo…

Quanto a Isbn, inevitabili polemiche a parte, resta il rammarico per la fine che farà il catalogo della casa editrice, che in dieci anni (in cui non sono mancati alti e bassi) ha fatto esordire autori come Michela Murgia, pubblicato alcuni dei saggi musicali più interessanti degli ultimi anni, diversi testi controcorrente (soprattutto nella prima parte della storia di Isbn, segnata dalla presenza in squadra dello stimato co-fondatore Giacomo Papi, oggi editor di saggistica per Einaudi Stile Libero – qui un’intervista a Papi del 2010, ndr) e, alcune perle americane (una che avrebbe meritato più attenzione è senz’altro Vite pericolose di bravi ragazzi, l’unico romanzo scritto da Chris Fuhrman).

Allargando il discorso, anche in vista della probabile acquisizione di Rcs Libri da parte di Mondadori, si fa sempre più sentito il tema del precariato nel mondo del libro (la tensione è crescente e la paura di non fare i “nomi” è molto diminuita); come pure, sembra essere a rischio il futuro di tanti piccoli editori (e quindi di lavoratori) in una fase assai complessa per il mercato librario, nonostante i segnali positivi che arrivano soprattutto dalle librerie indipendenti.

A questo proposito, sul suo blog, Loredana Lipperini ha però fatto notare: “(…) Non tutta la piccola e media editoria sopravvive a spese del tempo e della fatica altrui, e non sempre. E, con i tempi che si prospettano, va difesa, e supportata al massimo”.

Per chiudere, val la pena riprendere il condivisibile finale della lettera pubblica inviata a Coppola: “(…) In conclusione vogliamo allontanarci dal caso specifico, per fare una riflessione sul lavoro culturale in genere, visto troppo spesso in questo paese come un hobby, una missione, una grazia ricevuta, un’occasione per acquisire fama e prestigio sociale. Tutto, insomma, tranne che come lavoro. Sì, ci piace scrivere, tradurre e curare libri, a volte ne siamo orgogliosi. Ma è un lavoro, che si basa su anni di studi e su un bagaglio di competenze acquisite. È un lavoro. Un lavoro come tutti gli altri e come tale va retribuito il giusto, nei tempi pattuiti. In denaro e non in visibilità o qualche rigo in più da aggiungere al curriculum”.

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