Non bisogna lasciarsi ingannare dall’apparente natura fiabesca della raccolta “Il latte dei sogni”, l’antologia di racconti (illustrati) dell’artista britannica Leonora Carrington (1917-2011). Ci troviamo davanti alla pura essenza della dimensione onirica, irrazionale, inquietante e persino orrorosa di quella che Dalì definì “la più importante artista surrealista-donna” – L’approfondimento

Quanta tradizione letteraria stravolta, omaggiata eppure grottescamente deformata, e quanto folclore ci sono nella produzione narrativa di Leonora Carrington (1917-2011)? E quali debiti alla mitologia e all’immaginario del Messico, paese dove l’artista britannica ha vissuto tanti anni? Viene da chiederselo, leggendo e guardando i raccontini illustrati di Il latte dei sogni, tornato da pochi giorni in libreria in una nuova edizione per Adelphi, con la traduzione di Livia Signorini.

il latte dei sogni

Mai farsi ingannare dai quasi bambineschi disegni in copertina, né dalla apparente natura fiabesca degli incipit o dal lessico amichevole: in questa raccolta ci troviamo davanti alla pura essenza della dimensione onirica, irrazionale, inquietante e persino orrorosa di quella che Dalì definì “la più importante artista surrealista-donna“. Molto ci sarebbe da dire sullo sdegno di Leonora per quell’etichetta a suo parere riduttiva perché tanto maschilista, ma non è questa la sede per farlo. Ci si soffermerà, invece, sulla prima parte del messaggio, quella che rileva la centralità di Leonora Carrington in una corrente artistica eversiva, volutamente alogica (talvolta irrazionale), che molto rappresenta e niente spiega, spesso compiacendosi del nonsense e dell’accostamento di mondi inconciliabili nella realtà, ma non certo nella fantasia. 

Questi elementi si uniscono e si travasano in una continua osmosi tra pittura e racconto. Non c’è miglior schiaffo morale alla convenzionalità che raccontare l’impossibile rendendolo quantomeno plausibile: certamente non abbiamo mai visto bambini che si strappano la testa per le proprie orecchie a sventola e mamme che gliela riattaccano con il chewingum, né parlato con pezzettini di carne putrefatta che sono “al servizio” di una vecchia pericolosissima che vuole far del male ai bambini, o avvoltoi che cadono nella gelatina e vengono scambiati per frutti particolari. Eppure, quel che a prima vista è qui sintetizzato pare semplicemente impossibile, assume una qualche verosimiglianza nell’universo che risponde alle regole immaginifiche di Leonora.

Non è un libro per bambini, questo Il latte dei sogni, ma è un libro che i bambini accetterebbero senza entrare in conflitto con la razionalità. Ed è proprio con totale spirito di abbandono alla volontà dell’autore che occorre accostarsi a quest’opera imprevedibile. Niente è impossibile, sembra infatti suggerire l’artista, e i lettori che si sono già soffermati sulle sue opere lo sanno bene. E non ci si riferisce a un testo di grande impatto come l’autobiografia nata e incentrata sul suo periodo in manicomio dopo l’incarcerazione dell’amato Max Ernst, Down Below (edito a New York nel 1944; in italiano per la prima volta nel 1979, Giù in fondo, ora in libreria per Adelphi), ma alla sua vena romanzesca, che appare in tutta la sua forza nel rappresentativo Il cornetto acustico (apparso nel 1974) e nelle tante raccolte di racconti. 

In particolare, è proprio la misura breve del racconto a scatenare tutta la fantasia di Leonora e a generare continua sorpresa nel lettore: infatti, appena ci si ambienta e sembra di aver capito le regole di quel mondo, in cui ad esempio animali e persone discorrono e addirittura si scambiano di posto, arriva una conclusione imprevista e stilisticamente secca, talora lapidaria, che ancora una volta destabilizza. Non ci sono certezze, come non ci sono identità sicure e ben definite (concetto su cui Carrington torna più volte anche in pittura, rappresentando sé stessa come un manichino o con la faccia coperta da maschere).

Dunque, accostandosi a Il latte dei sogni o ai racconti di La debuttante (tradotti da Nancy Marotta e Mariagrazia Gini, e apparsi a luglio, sempre per Adelphi), non resta che abbandonarsi al gusto della scoperta, aprire la mente e lasciare che Leonora saboti tutte le convenzioni e le trasformi continuamente, ora con un tocco di ironia nera, ora con scene oniriche che minacciano di trasformarsi in incubo, ora giocando con i classici. Se qualche volta ci si proverà a frugare dietro scene gotiche in cerca di una morale o di un’interpretazione, si ricordi quel che solitamente amava ripetere un altro grande surrealista, Magritte: “Le immagini vanno viste quali sono, amo le immagini il cui significato è sconosciuto poiché il significato della mente stessa è sconosciuto.

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