La riflessione di Paolo Ambrosini (presidente Ali – Confcommercio) che parte da “The Store”, thriller distopico di James Patterson, per allargare il discorso all’avanzata di Amazon e dei giganti online. Un’ascesa non priva di rischi (non solo per le librerie indipendenti)…

I libri talvolta sono come un paio d’occhiali che ci permettono di meglio vedere ciò che ci scorre innanzi e questo è sicuramente il caso di The Store, il nuovo thriller di James Patterson, in libreria per Longanesi.

The Store è il più grande negozio online del mondo che – come recita lo slogan – “sa i tuoi bisogni prima che li sappia tu”: non solo può consegnare in tempi brevissimi ogni cosa di cui i clienti hanno necessità grazie all’utilizzo di droni, ma riesce a prevedere e anticipare le esigenze dei consumatori. È proprio questo aspetto che attrae due scrittori newyorkesi, avviliti e in difficoltà a causa dell’avvento dell’editoria digitale: certi di aver fiutato una buona storia decidono di scoprire quale verità si celi dietro a The Store infiltrandosi nell’azienda per scoprire dall’interno quali siano i veri meccanismi che governano quel colosso commerciale.

Qualche anno fa James Patterson dichiarava in un’intervista: “Non ho nulla da obiettare agli store online, ma se uccidono editori e librerie stanno facendo un danno grave. La prossima gazzella a finire nelle fauci del giaguaro potrebbe essere il consumatore”. Con The Store James Patterson dà concretezza narrativa a queste sue preoccupazioni e crea ex novo un mondo orwelliano in cui i singoli individui vengono ridotti a consumatori passivi, perdendo ogni giorno un pezzettino in più di privacy e autonomia di pensiero, senza neppure rendersene conto.

Il mondo delle librerie e dell’editoria in tutto il mondo sta vivendo un profondo cambiamento per la crescita costante delle vendite online e per il cambiamento di comportamento d’acquisto che questo porta con sé, ma se questo è un dato oramai noto ai più, ciò che in queste settimane  ha attirato l’attenzione dei commentatori economici è il ciclone che in America si è abbattuto sulla grande distribuzione organizzata che, proprio a causa delle vendite online e di Amazon in particolare, ha visto crollare le sue vendite con conseguente chiusura di intere catene e perdita di posti di lavoro.

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Dietro il successo di Amazon , c’è sicuramente un elemento di forte innovazione che ne rende più competitiva l’offerta commerciale rispetto agli altri operatori e alla stessa Grande distribuzione, che negli ultimi decenni aveva sbaragliato la distribuzione tradizionale; ciò che però per me non è chiaro ai più, e il libro di Patterson in parte lo mette in evidenza, è la conseguenza sulle nostre vite e sul sistema delle imprese e su alcuni importanti principi che sin qui hanno retto le società occidentali.

L’efficienza del servizio offerto da Amazon è infatti frutto anche di:

-condizioni di lavoro: in più occasioni con articoli e libri si è dimostrato che in Amazon i lavoratori devono rinunciare ad alcune delle conquiste ottenute grazie alle lotte sindacali del secolo scorso; tra i lavoratori molto penalizzati sono ad esempio i corrieri che devono garantire tempi di consegna rapidissimi a prezzi sempre più contenuti;

-tassazione: una recente denuncia dei colleghi inglesi, ha dimostrato che nel corso del 2016 Amazon ha aumentato del 54% il suo fatturato in Uk ma, cosa strana, ha ridotto di circa il 50% il valore delle imposte pagate, passate da 15.8 mln di sterline del 2015 ai 7.4 mln di sterline del 2016;

La riduzione del costo del lavoro e del livello delle imposte rappresentano due significativi vantaggi competitivi che Amazon oggi ha rispetto al resto delle imprese con le quali si deve confrontare, vantaggi che le permettono di far pagare meno i suoi servizi e di investire maggiori risorse nello sviluppo delle sue strutture; questo vantaggio competitivo è però pagato da noi tutti dato che la concorrenza di Amazon, come sta avvenendo in Usa per la Gdo, produce la chiusura di aziende con la perdita di posti di lavoro, che potranno essere anche ricollocati in Amazon ma con minori tutele sindacali, e quindi con un deterioramento delle condizioni complessive di vita.

Che l’elusione fiscale operata da Amazon, come da altri colossi del web, sia oggi un reale vantaggio competitivo a danno della collettività e della concorrenza di mercato, lo dimostra la recente vicenda che ha visto coinvolta Google Italia che proprio a seguito della transazione con il fisco italiano (304 mln di euro) ha dovuto rivedere il suo bilancio 2016 che da attivo ha chiuso in passivo per 60 mln di euro e con un patrimonio netto negativo di 47 mln che ha richiesto un’importante ricapitalizzazione della società controllante per 57 mln, situazione questa che molto probabilmente, a detta degli analisti, potrebbe ripetersi anche per il 2017.

Oltre a questo, però, è chiaro che la concentrazione della produzione di ricchezza in operatori che, come dimostrato dalla denuncia dei colleghi inglesi, versano meno imposte ha come riflesso meno risorse disponibili per gli investimenti pubblici, con conseguente riduzione di servizi, e ancora quindi con un peggioramento delle condizioni di vita.

E infine, il dato per me più preoccupante è quanto Patterson ci racconta, ovvero che grazie al comportamento del consumatore, Amazon e i grandi store online, conoscono del consumatore i gusti, gli interessi e le inclinazioni e quindi sono in grado di costruire un’offerta commerciale ad hoc.

Alibaba in Cina, l’altro grande store online, come anche Amazon in Usa, hanno aperto strutture commerciali fisiche nelle quali il mix di offerta tiene conto delle abitudini d’acquisto realizzate nel tempo in un determinato territorio.

Se queste sono le strategie che sottendono agli store online e se quindi al consumatore in un prossimo futuro verranno proposti anche nei negozi fisici acquisti in base ai propri gusti, come possiamo pensare che ci possa essere una crescita, uno sviluppo, se viene a mancare la prima molla per l’innovazione, ossia la curiosità, la ricerca del nuovo, del diverso nel nostro quotidiano?

In fondo noi librai, che per primi siamo stati coinvolti dal fenomeno Amazon, possiamo testimoniare come nel tempo il consumatore medio abbia perso la capacità di scoprire il nuovo e si sia rinchiuso nella rincorsa al già visto, al già letto, con una ripercussione preoccupante sul fronte produttivo che questa tendenza ha assecondato;  e solo grazie al nostro lavoro quotidiano fatto di ricerca di nuove voci, nuove idee, queste ancora possono emergere.

Se all’impoverimento culturale aggiungiamo poi che il proprietario di Amazon ha acquistato il più grande quotidiano d’America e che quindi, oltre ad indirizzare i comportamenti d’acquisto, può alimentare campagne di stampa magari indirizzate secondo i propri interessi, e che infine Amazon ha un alto valore di capitalizzazione di borsa, ovvero è fortemente sostenuto dal mercato finanziario, abituato, come ben sappiamo, a mettere i soldi a fronte di evidenze economiche certe, cosa che non avviene al momento per Amazon, sorge il legittimo sospetto che dietro a tutto questo vi sia un progetto, un’idea di società con al centro i grandi players dell’online che prevaricando tutte le regole della civile convivenza, in primis quelle fiscali e del mondo del lavoro, si arricchiscono alle spalle dei consumatori loro clienti, dando a loro la falsa percezione del risparmio, del vantaggio, ma in realtà privandoli della loro privacy e distruggendo le loro società, quasi come novelli vampiri.

E’ tempo, credo, che le nostre istituzioni aprano gli occhi e cerchino di trovare le misure necessarie per evitare tutto questo, per evitare, cioè, che oltre alla chiusura di centinaia di migliaia di imprese e oltre alla perdita di posti di lavoro, a implodere siano le nostre stesse comunità statuali e l’idea di civile convivenza che ne è alla base, con l’affermarsi di organizzazioni sociali rette dai grandi operatori online, o meglio dall’unico grande operatore online, The Store, come Patterson ci racconta nel suo thriller.

(l’autore dell’intervento, libraio, è presidente di Ali – Confcommercio)

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