A 5 anni dalla morte dell’autore de “Il nome della rosa”, nella monografia “Le avventure intellettuali di Umberto Eco” Stefano Traini introduce al percorso di uno studioso e scrittore, conosciuto in tutto che il mondo, che si muove dalla scolastica medioevale all’arte di avanguardia, dall’analisi della comunicazione alla storia della filosofia – L’approfondimento

Ripercorrere e riassumere la carriera intellettuale di Umberto Eco (Alessandria, 5 gennaio 1932 – Milano, 19 febbraio 2016) appare un’impresa disperata, anche solo per la difficoltà nel trovare una chiave di lettura unica per la sua opera: lettore enciclopedico (il video in cui letteralmente attraversa la sua enorme biblioteca personale è diventato ormai inseparabile dalla sua immagine pubblica), continuamente in grado di affinare e ripensare le sue posizioni metodologiche, Eco sembra essere uno di quegli autori che può essere spiegato davvero e integralmente solo con un’opera mastodontica: com’è quella appena pubblicata da La nave di Teseo, La filosofia di Umberto Eco, 912 pagine che raccolgono contributi di studiose e studiosi sui vari aspetti del suo percorso intellettuale, accompagnati da alcune risposte dello stesso Eco.

La filosofia di Umberto Eco

Questa difficoltà – di sintesi e sistemazione, che pure si impone a cinque anni dalla morte – è affrontata da Stefano Traini che pubblica, sempre per La nave di Teseo, una monografia dal titolo Le avventure intellettuali di Umberto Eco, che vuole essere un’introduzione (ma un’introduzione precisissima, approfondita e criticamente avvertita) a questo percorso quasi picaresco (le avventure, appunto) di uno studioso che si muove dalla scolastica medioevale all’arte di avanguardia, dall’analisi della comunicazione alla storia della filosofia.

Le avventure intellettuali di Umberto Eco

È lo stesso Traini a dichiarare in apertura l’impossibilità di scegliere una chiave di lettura unica per un’opera così vasta (per orizzonti culturali, per metodologie e campi di analisi): “lui stesso si considerava soprattutto come uno storico della filosofia, e riflettendo sul suo lavoro ha riconosciuto di aver speso la sua vita intellettuale nel tentativo di dare una risposta alla domanda quid sit veritas (…).

Storico della filosofia, dunque, o ancor meglio storico delle idee e della cultura, se consideriamo l’angolazione enciclopedica dei suoi interessi e la vocazione metodologica ai grandi inquadramenti storici”.

Così  il percorso intrapreso da Traini si dipana su una duplice scansione degli argomenti, cronologica e tematica al tempo stesso. Uno dei meriti del libro di Traini sta proprio nel ripercorrere un cammino intellettuale, mostrandone le fasi intermedie, gli sviluppi, i ripensamenti, tenendo pur sempre presente un piano del discorso orizzontale capace di mettere in evidenza alcune costanti di riflessione che tornano e si richiamano di opera in opera e focalizzandosi su alcune questioni specifiche (come la riflessione sui media) che sono spesso anche quelle più attuali o semplicemente più felicemente ripensabili per la nostra contemporaneità (e forse non a caso la questione etica, di frequente allusa nelle pagine del libro, viene esplicitata solamente nelle conclusioni).

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Il volume di Traini si apre sulla formazione di Eco e, in particolare, sulla sua tesi di laurea, discussa a Torino con Luigi Pareyson, dedicata al pensiero estetico di Tommaso d’Aquino ed è interessante che già qui si inizino a delineare alcune costanti di riflessione: il pensiero medievale, che tornerà anche in un bel saggio su Joyce (Le poetiche di Joyce) in cui si rintracciano degli elementi della scolastica proprio nella poetica dell’autore irlandese, e tornerà a nutrire l’immaginazione narrativa di Eco in più d’un romanzo; l’attenzione al rapporto fra opera e destinatario, che già nella tesi di laurea era un problema affrontato attraverso la teoria della formatività di Pareyson e che poi si ripresenterà in tutte le “avventure” di Eco: dall’Opera aperta agli scritti dedicati più esplicitamente alla teoria della ricezione contenuti in Lector in fabula fino alle sua analisi dei media: perfino la pubblicità, e non era una cosa scontata negli anni ’60, non era vista semplicemente come una persuasione occulta che lo spettatore riceveva passivamente, le analisi di Eco, come quelle di Roland Barthes, “partono dal presupposto che il messaggio pubblicitario non colpisce in modo subliminale un destinatario passivo, ma si struttura in un sistema complesso di strati e registri, e costringe il pubblico a cooperare”.

Un altro aspetto che è continuamente affrontato da Traini, ed è certamente uno dei più importanti e rappresenta una delle maggiori eredità di Eco, è la messa a punto di un metodo: dall’incontro con lo strutturalismo che fa maturare la convinzione di ricercare delle forme invarianti con cui analizzare i prodotti culturali, pur tenendo sempre in considerazione i modi di produzione e ricezione, fino alla progressiva messa a fuoco della semiotica (è del 1975 il Trattato di semiotica generale), attraverso dei processi di rielaborazione costanti, in continuo dialogo con discipline diverse – d’altronde questa grande disponibilità di Eco verso forme di espressione e riflessione eterogenee era già testimoniata da Opera aperta (1962), che non a caso nasce dopo l’esperienza di Eco in Rai e l’incontro con gli ambienti culturali milanesi (la Milano de Il Verri, di Anceschi, dello Studio di fonologia musicale diretto da Luciano Berio, della pittura informale).

Traini spiega nel dettaglio i problemi di metodo affrontati da Eco e l’evoluzione di un percorso che si mostra sempre molto coerente e rigoroso e costantemente riporta le problematiche metodologiche sul piano dell’analisi concreta dei prodotti culturali, ricordando alcune delle più suggestive letture di Eco: da quella dedicata all’everyman Mike Bongiorno (“egli rappresenta un ideale che nessuno deve sforzarsi di raggiungere perché chiunque si trova già al suo livello. Nessuna religione è mai stata così indulgente con i suoi fedeli”), al carattere ideologico conservatore di Superman, alla Neo-Tv (che sarebbe interessante rileggere a fianco al saggio di David Foster Wallace E unibus pluram), fino ai Peanuts, quelle “mostruose riduzioni infantili di tutte le nevrosi di un moderno cittadino della civiltà industriale” che Eco tanto amava.

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