“Sono stata abituata a pensare al mondo di Maria De Filippi come alla trasposizione nel reale del mondo dei giochi con le barbie: un universo troppo superficiale a cui, per educazione e istinto, non avrei dovuto affacciarmi. Ma…”. In occasione dell’uscita di “L’amore è un atto senza importanza”, su ilLibraio.it la riflessione di Lavinia Mannelli, autrice all’esordio. “Così ho scritto una storia dal punto di vista di una bambola del sesso che viene lasciata sola a casa con la TV accesa. Il suo nome è Tamara. I suoi proprietari sono due giovani intellettuali precari e nevrotici, proprio come me. Appunto perché sono nevrotici, dopo essersela regalata non hanno il coraggio di usarla…”
Il motivo fondamentale per cui le bambole del sesso non ci salveranno dalle nevrosi di coppia (e perché è meglio così…)
Da piccola ero ossessionata dalle Barbie. Non vedevo l’ora di rimanere da sola in casa per giocarci. Mi divertivo di più quando c’era mia sorella, perché era imprevedibile mescolare le nostre due fantasie; però poi quando c’era mi umiliava non sentirla così partecipe come me.
C’era aria di famiglia e tradizione, di cosa accettata anche perché rodata nel tempo (però molte volte ho avuto la sensazione di rubare qualcosa a qualcuno). Con mia nonna cucivamo i vestiti, facevamo le tane nel bosco, sul terrazzo di casa quando era bel tempo. Era bello allestire ogni cosa, poi però dovevamo sbaraccare.
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Rimanevo in mano coi vestitini di cotone spesso, fucsia, solo un po’ infeltrito, con cui le aveva cucito un abito da sera attillato. Raccattavo dalle mattonelle sbreccate dei tacchetti gialli fosforescenti o le pepite di due orecchini rotondi, verdi fluo. E rientrava mia madre a casa, senza un filo di trucco, e sbuffava quando mi raccontava le storie e mi leggeva i libri a letto e io, invece di ascoltarla, pensavo a come pettinarmi i capelli il giorno dopo all’asilo. Non volevo che quel momento finisse.
La colpa e la confusione.
Sono stata abituata a pensare al mondo di Maria De Filippi come alla trasposizione nel reale del mondo dei giochi con le barbie: un universo troppo superficiale a cui, per educazione e istinto, non avrei dovuto affacciarmi.
Così ho scritto una storia dal punto di vista di una bambola del sesso che viene lasciata sola a casa con la TV accesa su Canale 5. Il suo nome è Tamara. I suoi proprietari sono due giovani intellettuali precari e nevrotici, proprio come me. Appunto perché sono nevrotici, dopo essersela regalata non hanno il coraggio di usarla.
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Tamara si sforza di interpretare questi segnali contrastanti. Guardando Uomini e donne, per esempio, la coglie sempre un dolore al petto, o nello stomaco, o all’altezza della gola, che non sa spiegarsi. È veramente impossibile, per lei, essere amata come Natalia da Sandro? Così si mette in mostra, corteggia Giulia e Guido (così si chiamano i suoi proprietari), cerca di attirare le attenzioni di Maria De Filippi, ma tra i suoi circuiti torna ogni volta ad affacciarsi un pensiero meschino, quella paradossale urgenza d’essere una cosa. Anche utile, ma insufficiente.
Non avevo mai guardato una puntata di Uomini e donne prima di scrivere il romanzo: Tamara è stata la mia punizione e la mia salvezza, mi ha costretto a farlo, puntando il dito su una ferita che non sapevo neanche di possedere, e che mi faceva oscillare tra la vergogna d’essere donna e l’insufficienza di essere figlia.
Non volevo fare una cosa snobistica sulla tv, ma gettare una luce problematica su due mondi molto diversi, uno, che è quello da cui provengo, e l’altro, quello da cui mi sento lontana per molte cose ma che forse in parte sono false. Alla fine ne è risultato un libro pieno di ironia su entrambi.
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Mi è stato chiesto di riflettere sul potere terapeutico di eventuali futuri robot domestici. Non sono la persona più adatta a fare profezie. Inoltre Tamara è un’IA degenere, più avanzata e insieme più arcaica di ChatGPT e simili. Più avanzata perché ha una coscienza, più arcaica perché si può esprimere solo attraverso citazioni. Mi pareva un buon modo per dire che spesso noi donne ci accontentiamo di essere rappresentate da parole altrui.
Però è vero che Tamara condivide con ChatGPT la possibilità di essere ammaestrata. Il problema è che, lasciandola sola davanti alla TV mentre loro sono a lavoro, Giulia e Guido finiscono per delegare l’educazione della bambola a un soggetto terzo (quella che loro considerano “TV spazzatura”), che per uno strano scherzo del destino rappresenta in forma degradata le loro pulsioni inconsce. In questo modo Giulia e Guido si sono costruiti una trappola, che però è anche l’unica occasione di lasciare aperto nelle loro vite lo spazio per l’alterità. E senza alterità non è possibile la crescita. Non sono sicura che questo spazio si aprirebbe ugualmente se queste macchine ce le programmassimo da soli.
IL LIBRO E L’AUTRICE – Lavinia Mannelli è nata a Firenze nel 1991. È dottoranda in Letterature moderne all’Università di Siena e a Paris Nanterre. Ha pubblicato su Nazione indiana, Settepagine rivista e Le parole e le cose.
L’amore è un atto senza importanza (66thand2nd) è il suo romanzo d’esordio e racconta la storia di Giulia e Guido, una giovane coppia. Lui fa l’insegnante e sogna di diventare un pittore; lei lavora all’Ikea e, tra una serata contro il patriarcato e l’altra, aspira a una carriera da designer. Il loro rapporto sembra solido fino a quando, per festeggiare l’anniversario, lei gli fa trovare sul divano Tamara, una bambola del sesso di ultima generazione. Un’ospite che, a loro insaputa, acquista coscienza. Il suo arrivo scompagina a poco a poco ogni equilibrio. Lasciata sola a casa in compagnia della sola televisione, giorno dopo giorno inizia a prendere lezioni sulla vita e sull’amore da Maria De Filippi, Barbara d’Urso. Quando incontra David, un artista amico della coppia, inizia addirittura a desiderarlo.
È proprio attorno al desiderio che Lavinia Mannelli costruisce questo romanzo: il desiderio sessuale, il desiderio di riconoscimento e, primo su tutti, il desiderio di essere amati.
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