Addio, a 85 anni, a Franco Abruzzo, appassionato “giurista prestato al giornalismo” (generazioni di praticanti hanno studiato i suoi manuali sul giornalismo in preparazione dell’esame di Stato a Roma), “per diciotto anni e 22 giorni” presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, molto attivo nel sindacato. Ma, soprattutto, autore di una mitica newsletter (prima che diventassero di moda). Un pioniere, un antesignano, un giornalista serio e rigoroso, che aveva capito – prima di tanti altri – che il giornalismo stava prendendo altre traiettorie, imboccava nuove strade…

C’è stato un periodo in cui tra noi giornalisti si scherzava amabilmente sul fatto che la sua newsletter riusciva a raggiungere tutti, ovunque, “anche i colleghi delle isole Tonga e della Patagonia”, come diceva ironicamente qualcuno. Era un modo, affettuoso, per dire quanto fosse importante, e attesa, quella sventagliata di sentenze, progetti di riforma, attualità, cronaca, dati, protagonisti, comprimari, glorie (non poche) e miserie (tantissime) del mondo del giornalismo. Tra le tante cose, ricordate in queste ore, della lunga carriera di Franco Abruzzo – scomparso sabato, 12 aprile a 85 anni dopo una malattia – bisogna aggiungere anche questa: Franco Abruzzo è stato un pioniere, un antesignano, un giornalista che aveva capito – meglio e prima di tanti altri – che il giornalismo stava prendendo altre traiettorie, imboccava nuove strade, che bisognava conoscere e frequentare con competenza e professionalità, senza lasciare nulla al caso ma senza, al contempo, lasciarsi incantare dalle sirene di chi vuole destrutturare la professione, a cominciare da chi la fa sul campo tutti i giorni tra innumerevoli insidie e molti rischi.

Oggi quasi tutte le redazioni e moltissimi colleghi scrivono newsletter sui temi più disparati, per molti cronisti sono un biglietto da visita che attrae lettrici e lettori (soprattutto quelli che non leggono più i quotidiani) e diventano libri, eventi live, dibattiti, incontri.

Codice dell'informazione e della comunicazione

Ecco, tutto questo Franco Abruzzo aveva cominciato a farlo in tempi non sospetti. La inviava a raffica, con una puntualità svizzera, mettendo insieme sia le sentenze più importanti, italiane e comunitarie, sul giornalismo e il mestiere di cronista (memorabile quella della Corte europea dei Diritti dell’Uomo sulla tutela della segretezza delle fonti dei cronisti che lui rimandava ogni settimana, memore del motto repetita iuvant) che facendo da collettore di tutte le notizie che ruotavano attorno al mondo dei mass media: dalla riforma della professione alle carte deontologiche, dalla proposte di riforma dell’Inpgi o della Casagit, alle notizie di cronaca come i cronisti freelance sottopagati, le situazioni di sfruttamento nelle redazioni, lo strapotere dei colossi digitali della Silicon Valley capaci di sfruttare l’informazione senza pagare (“Giornali condannati a morte. Non fatevi ingannare dalle Pr di Facebook e Google. Facebook lancia News: la nuova sezione attiva negli Usa”, recitava un articolo di qualche anno fa, nel 2021), il pericolo per l’informazione di scivolare dalle notizie alle pillole social.

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Ogni puntata della newsletter era, al contempo, un database e uno sterminato archivio e ogni articolo segnalato rimandava al sito che aveva il nome del suo stesso fondatore e mentore, un sito ricchissimo, ancorché spartano nella grafica, ed efficace diviso in tante sezioni: i “Fatti della vita”, l’attualità, le notizie dell’Ordine dei giornalisti. In cima – e questo dice molto di come intendeva la professione – c’era, a sinistra il libro, scaricabile in pdf, dei cronisti martiri uccisi dalle mafie e, a destra, il libro, anche questo scaricabile, sulla vita di Walter Tobagi realizzato dall’Associazione lombarda dei giornalisti in occasione dei 25 anni della morte del cronista del Corriere della Sera ammazzato il 28 maggio 1980 a Milano da un commando di terroristi della “Brigata XXVIII Marzo”.

La newsletter di Franco, “Ciccio”, Abruzzo, l’abbiamo ricevuta tutti, e tutti, almeno una volta, siamo andati a ricercare una sentenza, leggerne il suo commento, analizzare un dato, capirne di più su questa o quella dichiarazione di qualche editore, collega o politico su questa affascinante e disgraziata professione.
La newsletter, che lui aveva ribattezzato “notiziario”, ha raggiunto oltre 70mila professionisti, non solo giornalisti ma anche magistrati e docenti universitari perché, soprattutto per gli aspetti giuridici e giurisprudenziali, era scritta in maniera chiara e rigorosa perché alla conoscenza dello specialista univa la capacità del cronista. “Ho capito che stava male quando ha smesso di inviarla. Era per noi un grande servizio”, ha commentato una collega quando è stata data la notizia della morte.

Molti si ritrovavano iscritti senza volerlo, e alla fine non si cancellavano. Altri scrivevano ad Abruzzo di non volerla più ricevere, e lui – con garbo e signorilità d’altri tempi – rispondeva puntuale, magari chiedeva il perché di quella richiesta e, attraverso questo contatto, iniziava a instaurare un rapporto con quella persona. In fondo a ogni puntata metteva tutti i suoi riferimenti (numero di cellulare personale compreso) e nel sito aveva una sezione ad hoc, “scrivimi”, che rimandava alla sua email.

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Non era pedanteria ma passione, come quei prof d’altri tempi che ci tengono ai propri allievi, attenzione ai colleghi, soprattutto i “suoi” amati allievi della scuola di giornalismo dell’Istituto “Carlo de Martino” che ha preparato in 30 anni 682 giornalisti professionisti e si è poi trasformato in un Master dell’Università di Milano e che lui, da presidente dell’Ordine lombardo, ha contribuito a potenziare perché, diceva, “senza preparazione e formazione non si va da nessuna parte“.

Senza questo stile, che poteva apparire invadente ma non lo era, non avrebbe potuto fare il presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia dal 1989 al 2007, “per diciotto anni e 22 giorni”, come precisava lui, vincendo sette elezioni per essere poi rieletto consigliere per l’ottava volta nel maggio 2010.

Calabrese di Cosenza, classe 1939, aveva iniziato a lavorare come cronista, dalla Calabria, al Tempo e al Giornale d’Italia. Primo praticante riconosciuto d’ufficio in Italia, nel 1962 si trasferisce a Milano, dove inizia a lavorare al Giorno, come cronista giudiziario, venendo anche minacciato da Luciano Liggio, capomafia che aveva organizzato diversi sequestri di persona, per poi diventare caposervizio, passare al politico e alle cronache nazionali. In mezzo, una laurea in Scienze politiche e storiche con 110 e lode all’Università Statale di Milano. Nel 1993 passa al Sole 24 ore come capo redattore centrale, articolista e inviato e dove è rimasto fino alla pensione nel 2001. Nel 1978 è stato fra i fautori, con Walter Tobagi, di Stampa Democratica. Il sindacato era un’altra delle passioni di Abruzzo che fra il 1975 e il 1982 fa parte a più riprese del Comitato di redazione de Il Giorno, del Consiglio e della Giunta dell’Associazione lombarda dei Giornalisti, del Consiglio nazionale della FNSI, il sindacato dei giornalisti.

Di sé diceva di essere un “giurista prestato al giornalismo” (ha insegnato Storia del giornalismo e poi Diritto dell’informazione prima alla Bicocca e poi allo IULM di Milano), e lo era per acume, preparazione, conoscenza, capacità di aggiornarsi costantemente e soprattutto applicando tutto questo ai problemi concreti della professione. Da qui la sua intensa militanza nel sindacato.

Aveva scritto diversi manuali, da Il giornalista, la legge e l’esame di Stato a Guida del giornalista e soprattutto il Codice dell’informazione e della comunicazione, oltre mille pagine su cui generazioni di praticanti hanno studiato in preparazione dell’esame di Stato a Roma.

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