Stabilire un contatto con i propri fantasmi (chiamiamoli anche sospesi emotivi) è pur sempre una buona intuizione; ma che cosa succede quando non vi prestiamo il giusto ascolto? Il romanzo di Matteo Cardillo, “Amarsi in una casa infestata”, ci racconta quanto sia complesso il rapporto con gli altri e di quanto a certi legami – di amore, di violenza, di abitazione – sia difficile mettere la parola fine. O la parola morte. Perché se è vero che di amore non si muore, certe emozioni (represse) ci logorano dentro fino al punto di convincerci di essere finiti per davvero. Come fantasmi, per l’appunto…
Stabilire un contatto con i propri fantasmi (chiamiamoli anche sospesi emotivi) è pur sempre una buona intuizione; rumorosi come porte che sbattono oppure silenziosi come brividi sulla pelle, ci parlano dal profondo del cuore per comunicarci messaggi, quelli che davvero non possiamo più ignorare.
Ma che cosa succede quando non vi prestiamo il giusto ascolto? Nella migliore delle ipotesi essi ci assillano senza sosta, ristagnando nella mente sino all’orlo della (p)ossessione; laddove tuttavia non ricevano riscontro, ecco allora la possibilità che straripino al di fuori, reclamando quel livello di attenzione all’esterno del corpo e nell’ambiente che ci circonda.
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Come accade ai tormentati spiriti di Amarsi in una casa infestata; ambientato in una palazzina liberty di proprietà delle Signore Morelli, il romanzo di Matteo Cardillo (primo italiano di Mercurio, fra i Libri sulla soglia) ci racconta quanto sia complesso il rapporto con gli altri e di quanto a certi legami – di amore, di violenza, di convivenza – sia difficile mettere la parola fine. O la parola morte. Sí perché nell’apparente semplicità dell’incipit (il protagonista si trasferisce nella nuova casa dopo un periodo di allontanamento dal fidanzato Marcel, e qui fa la conoscenza dei suoi vari coinquilini, dalla barista Samira alla matricola italo-tedesca Johann) ciò che invece emerge è un horror dalle atmosfere romantiche, una narrazione al di là dei generi che molto ha a che vedere sia con il tòpos della casa stregata (alla Suspiria, tanto per intenderci) sia con quello della coming-of-age (che comunque fa paura, soprattutto ai tempi del precariato generazionale e della liquidità emotiva).
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Esplorare l’antica dimora al viale XII Giugno di Bologna equivale, in tal senso, a una vera e propria seduta psico-spiritica; nascosti negli anfratti delle stanze, come pure nei ricordi di chi le vive, i fantasmi custoditi dalla casa iniziano a manifestarsi uno dopo l’altro, forse risvegliati dai comportamenti dei ragazzi che, nel pieno della propria vitalità, sembrano sfidarli suscitandone l’invidia. Dei tanti (dispettosi ed elusivi) è lo spirito della “moglie bianca” quello che più di tutti governa le dinamiche dell’infestazione: presenza arcaica che dimora nella casa sin dai primi del Cinquecento, è a seguito della sua apparizione che nel villino si sono verificati una straordinaria serie di omicidi-suicidi, l’ultimo dei quali – quello della precedente inquilina – ancora oggi privo di spiegazione.
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Matteo Cardillo nella foto di Barbara Nicoletti
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E allora, vien facile domandarsi, che non sia stata la “moglie bianca” ad attrarre a sé i ragazzi nell’abitazione, e ciò al fine di nutrirsi delle loro emozioni e così alimentare la spirale di delitti che da tempo si è abbattuta sulla città? Sono queste le pagine che più nobilitano il romanzo: a differenza di tanti altri horror ove i fantasmi agiscono per un puro istinto di vendetta, qui la presenza spiritica è una sorta di monito ad aver coraggio, l’invito ad affrontare i nostri irrisolti (traumi infantili, violenze subite, relazioni in sospeso) per evitare che essi ci depauperino nella nostra predisposizione ad amare.
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Ecco allora il rituale di esorcismo trasformarsi in una vera e propria catarsi collettiva; guidati dalle indicazioni della medium Beniamina “degli spiriti” – che consegnerà loro un antichissimo tomo di demonologia, lo Hyakumonogatari kaidankai – i ragazzi si sottoporranno a un vero e proprio viaggio iniziatico, una pratica di magia nera che li porterà ad affrontare i propri non-detti nelle forme che hanno assunto per effetto delle loro paure (dal “guardiano senza volto” alla “vecchia strega del deserto”).
Se poi il protagonista riuscirà a sconfiggere la “moglie bianca” – e con ciò a far chiarezza sul suo rapporto con Manuel, da tempo insidiato dall’attrazione per Mattia – questo è il finale del libro ma non la conclusione dello stesso; ciò che infatti emergerà nelle ultime pagine del romanzo sarà ben più liberatorio di una storia che finisce, talché recuperarne coscienza segnerà non soltanto la casa infestata ma, puranche, l’intera popolazione di Bologna: “Vivere in una casa infestata mi ha insegnato che non si dimentica mai veramente”, ci dice l’autore in prologo al romanzo, “(…) Ora so che i morti vogliono le stesse cose che vogliamo noi. I morti vogliono essere visti”.
Perché se è vero che di amore non si muore, certe emozioni (represse) ci logorano dentro fino al punto di convincerci di essere finiti per davvero. Come fantasmi, per l’appunto.
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