Su ilLibraio.it un capitolo da “Le radici profonde – La destra italiana e la questione culturale”, il nuovo libro di Valerio Renzi, giornalista che da anni si occupa di destre radicali e culture di destra

Che cosa leggono gli uomini e le donne di destra? Su cosa fonda la propria formazione politica e il proprio apprendistato sentimentale la “generazione Atreju” che oggi è al potere? Quali libri si trovano nelle librerie e negli scaffali di ministri, vicesegretari e parlamentari?

Valerio Renzi, giornalista, da anni si occupa di destre radicali e culture di destra, prova a rispondere in un saggio in uscita per Fandango, Le radici profonde – La destra italiana e la questione culturale.

L’autore, caporedattore della cronaca romana del quotidiano online Fanpage.it, ha scritto La politica della ruspa – La Lega di Salvini e le nuove destre europee (Edizioni Alegre, 2015) e Fascismo Mainstream (Fandango Libri, 2021). E con Le radici profonde punta a indagare sull’atteggiamento della destra nei confronti della cultura.

In pochissimi, per Renzi, hanno infatti un’idea anche solo vaga della cultura, degli autori, della genealogia delle idee e della bibliografia di cui si è nutrita la destra italiana dal dopoguerra a oggi. Di conseguenza, ricostruire la “dieta culturale” di chi oggi ha in mano le leve del potere del Paese è un’esigenza essenziale per capire come vede il mondo.

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La destra oggi al potere, per l’autore di Le radici profonde, è ossessionata da un complesso d’inferiorità nei confronti della sinistra che si porta dietro da sempre. Rivendica per sé una nobile tradizione intellettuale e, allo stesso tempo, denuncia come l’unico settore della società in cui persisterebbe un’esclusione a priori nei propri confronti è proprio la produzione culturale. Ma la cultura della destra italiana cosa ha prodotto negli ultimi cinquant’anni?

La passione per Tolkien e l’ombra di Julius Evola, la musica identitaria e la stagione dei Campi Hobbit, la lettura di Gramsci della nuova destra, sono solo alcuni degli argomenti affrontati nel volume.

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Valerio Renzi Le radici profonde

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:

L’anti-intellettualismo della destra

Dare dell’intellettuale a qualcuno è un insulto. L’intellettuale viene assimilato a un determinato tipo di figura, e il termine, di per sé sfaccettato, viene ricondotto a uno stereotipo. L’intellettuale è una persona ricca e sofisticata, lontana dai bisogni delle persone normali, dell’uomo medio, del cittadino ordinario. Una persona eccentrica e che si ritiene superiore agli altri in virtù del suo capitale culturale, che non sa comunicare con chi ritiene inferiore (cioè quasi tutti), e proprio per questa distanza sostiene valori astrusi e universali solo perché può permettersi di farlo. La solidarietà, l’empatia, il sostegno a un’idea di società egualitaria vengono così associati al privilegio. È lo stereotipo radical chic, l’intellettuale dei salotti, che possiede una seconda casa a Capalbio e la barca a vela. Ma l’intellettuale è anche un uomo o una donna che porta con sé comportamenti devianti e pruriginosi, che sostiene l’assoluta libertà e la sregolatezza nei comportamenti sessuali e sociali, che così vuole demolire l’unità della società (la famiglia) e che non riconosce la tradizione come fonte di autorità. Più in generale l’intellettuale ha in odio quello che per gli altri, le persone normali che credono in quello che si è sempre creduto, è l’ordine naturale delle cose. La verità però è che, se questo intellettuale esiste davvero, non è certo la realtà, non rappresenta decine di migliaia di lavoratori dei settori della cultura, dell’editoria, dell’informazione e della comunicazione in Italia. Il lavoro culturale è sempre più impoverito e precario. Aggredendo l’intellettuale radical chic, la destra intende in realtà colpire non chi esercita, per mezzo della cultura, un potere, quanto quella diffusa e stratificata classe di persone impiegate nella riproduzione del sapere e nel terziario avanzato. Si tratta dunque di ricercatori, insegnanti, educatori che hanno la colpa di essere impiegati nel settore dell’istruzione e dell’università, e per questo guardati con sospetto. La destra italiana li ha infatti a lungo considerati i sacerdoti dell’istituzione più ostile e pericolosa di tutte: la scuola e l’università. Le istituzioni della formazione non sono solo i luoghi dove si riproduce una lettura della storia e della società che le destre ritengono pericolosa, dove si insegna che l’antifascismo è un valore, che il razzismo esiste ed è una cosa da combattere, e che l’uguaglianza è un orizzonte a cui tutta la società dovrebbe tendere; ma sono anche i luoghi dove più durature sono state le grandi conquiste della stagione del Sessantotto. Con tutti i loro difetti e nonostante le riforme neoliberali, scuola e università continuano a essere vettori di emancipazione sociale, e continuano a non essere completamente asservite a una logica di esclusivo profitto. Gli uomini e le donne che con abnegazione vi lavorano non sono per queste ragioni molto amati dalla destra, che li dipinge come manipolatori di menti nel caso degli insegnanti delle scuole, e portatori di un sapere astruso nel caso di chi manda avanti l’università con la prospettiva (un giorno, forse, chissà quando) di avere una cattedra stabile. Ma non sono solo i lavoratori del sapere. Stesso atteggiamento è rivolto ai creativi, ai lavoratori dell’informazione (quando non sono amici) e dei più svariati settori della cultura. Questi vengono identificati con una classe media urbana, cosmopolita e con un’educazione medio alta, anche se proletarizzata in termini di reddito. Una classe urbana con consumi culturali, stili di vita e comportamenti sociali considerati pericolosi o inammissibili alla propria visione del mondo. Aver reso obiettivi di una violenta e costante polemica politica negli ultimi anni figure come Zerocalcare, Michela Murgia, Christian Raimo, Roberto Saviano svela proprio questo evidente disprezzo per chi è occupato (o aspira a esserlo in molti casi) in alcuni settori pubblici e privati.

(continua in libreria…)

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Fotografia header: Giorgia Meloni (GettyEditorial 16-6-2025)

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